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Brogli sul voto: La DDA andrà a sentire Miccichè

 

Brogli voto all’estero: La DDA andrà a sentire Miccichè, il faccendiere che truffò 25 milioni alla banda della Magliana. Le cosche puntano il 41bis, fermento dei boss in carcere

12 apr 08 Aldo Micciché, il faccendiere coinvolto nell'inchiesta sui presunti brogli nel voto degli immigrati italiani residenti in Sud America, sarà sentito dai magistrati della Dda di Reggio Calabria raccogliendo la sua disponibilità a chiarire la vicenda che lo riguarda. E' quanto si è appreso in ambienti giudiziari. Micciché, che risiede da molti anni in Venezuela, sarà sentito per approfondire il ruolo che avrebbe svolto nella vicenda e in particolare in merito ai suoi rapporti con il senatore Marcello Dell'Utri, con il quale ha avuto di recente un colloquio telefonico intercettato dagli investigatori che conducono l'indagine sui presunti brogli. L'inchiesta è partita da un accertamento sulle attività criminali svolte all'estero dalla cosca Piromalli. Attività in cui Aldo Micciché, secondo l'ipotesi accusatoria, avrebbe svolto un ruolo significativo curando gli affari della cosca in Sud America. Dall'indagine, infatti, sarebbero emersi frequenti contatti telefonici, intercettati dagli investigatori, tra Micciché ed esponenti della cosca Piromalli, che si sarebbero rivolti a lui anche per ottenere benefici in favore di affiliati alla cosca in carcere per l'attenuazione del loro regime detentivo.

Miccichè, il faccendiere che truffò 25 milioni alla banda della Magliana. Dirigente della Democrazia cristiana (é stato segretario provinciale a Reggio Calabria negli anni '80), giornalista , ma anche falso deputato, qualifica con la quale si era accreditato addirittura con la banda della Magliana per intervenire, in cambio di 25 milioni di lire, in favore di detenuto un affiliato al gruppo criminale romano. E' una personalità dalle mille sfaccettature quella di Aldo Micciché, 72 anni, l'affarista che sarebbe legato alla cosca Piromalli di Gioia Tauro, rifugiatosi da molti anni in Venezuela, che i magistrati della Dda di Reggio Calabria vorrebbero sentire in merito al presunto tentativo di brogli nel voto degli italiani emigrati in Sud America in cui compare anche Marcello Dell'Utri, peraltro neanche iscritto nel registro degli indagati. Quella di Micciché è una storia complessa. Calabrese di Maropati, centro a due passi da Gioia Tauro (e da qui i suoi rapporti con i Piromalli), abbraccia dapprima la carriera politica e si trasferisce poi a Roma, dove diventa consigliere provinciale per la Dc. Nel periodo in cui vive a Roma fa anche il giornalista, divenendo direttore dei quotidiani Italia sera e Eco del Sud. Nel 1983 per Micciché cominciano i guai giudiziari con il coinvolgimento in un'inchiesta sulla vendita di centinaia di case prefabbricate destinate ai terremotati dell'Irpinia. Nel 1987 il faccendiere viene coinvolto in un'altra inchiesta per un finanziamento di 800 milioni di lire ottenuto da una banca svizzera con una documentazione falsa. Un'inchiesta per la quale finisce agli arresti domiciliari anche un avvocato romano, Aldo Recchi. Nel dicembre del 1990 Micciché viene arrestato per la bancarotta della società Alma gestione appalti di Roma mentre é ospite di un albergo di Torino. Per arrestarlo i carabinieri escogitano uno stratagemma, facendogli servire la colazione in camera da un ufficiale travestito da cameriere. Dopo la scarcerazione ed una condanna per bancarotta fraudolenta e millantato credito, Micciché decide di trasferirsi in Venezuela dove diventa un emissario, per i suoi affari in America latina, della cosca Piromalli. Ma è un pentito della banda della Magliana, Maurizio Abbatino, a riferire dei presunti rapporti tra Micciché ed il gruppo criminale romano. E lo fa quando, nel 1997, nel processo davanti alla Corte d'assise di Perugia per l'omicidio di Mino Pecorelli, parla del tentativo di aggiustare la posizione processuale di uno dei componenti della banda, Maurizio Colafigli. Abbatino, nel corso della sua deposizione, riferisce che la banda si era rivolta a Claudio Vitalone per sistemare la questione di Colafigli "dopo che erano andati a vuoto i precedenti tentativi fatti con un presunto on.Aldo Micciché, rivelatosi un truffatore, che si è pure preso 25 milioni".

Ass. vittime di via Gergofili “Le cosche affilano le armi contro il 41bis”. "Le cosche mafiose calabresi e siciliane affilano le armi in sede elettorale, contro il 41 bis: questo emerge da inchieste in corso. Scambio di voti, in cambio di assicurazioni che il carcere duro ai mafiosi, anche rei di strage, sarà abolito". Lo scrive in una nota Giovanna Maggiani Chelli, vicepresidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime di via dei Georgofili. "Noi - scrive Maggiani Chelli - siamo seriamente preoccupati. Da tempo andiamo dicendo che la mafia userà ogni mezzo, anche ai tavoli Europei, per far abolire il regime detentivo speciale di 41 bis, e che la pietà verso la mafia non deve trovare spazi. Dal carcere i capimafia, isolati con il regime di detenzione del 41 bis, non possono dare ordini per uccidere, estorcere e ordinare stragi, ma soprattutto non possono condizionare fino in fondo la vita democratica del Paese". Maggiani Chelli ricorda che a giorni "a Firenze metteremo in campo le nostre risorse migliori e terremo un convegno contro l'abolizione del 41 bis. Questa sarà la risposta delle vittime della strage di Firenze a chi lavora per favorire la mafia in Italia e all'estero". "Alla politica che non se la sente di condannare l' abolizione del 41 bis inflitto alla mafia stragista - conclude Maggiani Chelli - diciamo di vergognarsi".

Informative su fermento detenuti Milano, Roma e Palermo. Non solo a Reggio Calabria, sui tavoli di piu' d'una procura ci sarebbero segnalazioni di un interessamento delle mafie per il voto di domani e lunedi'. Non c'e' pero' conferma di inchieste avviate, con iscritti al registro degli indagati, per l'ipotesi di reato di voto di scambio (o scambio elettorale politico-mafioso come recita l'articolo 416ter del codice penale) o per altre ipotesi di reato. Tutto quanto finito all'attenzione degli inquirenti sarebbe però ad uno stato molto ''embrionale''. Il Corriere della Sera di oggi scrive di ''informative riservate'' inviate dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alle procure di Reggio Calabria, Napoli e Palermo per segnalare ''fermento'' tra i boss detenuti, di ''indicazione precise e circostanziate su come comportarsi ed orientare il voto nel tentativo di ottenere'' le contropartite che da sempre interessano le mafie, prima fra tutte l'alleggerimento del carcere duro (articolo 41bis dell'ordinamento penitenziario). Il Dap si trincera dietro il silenzio, le procure anche, ma indiscrezioni confermano che a Palermo qualcosa ci sarebbe. Da fonti ufficiose degli ambienti penitenziari, si apprende che il carcere nel quale sarebbe stato registrato ''fermento'' e' quello milanese di Opera nel quale, nella nuova sezione riservata a chi e' in regime di 41bis, ci sono una cinquantina di detenuti tra i quali diversi boss di spicco (compresi Riina ed i Lo Piccolo). Un'altra segnalazione risulta che sia arrivata, precedentemente e per altre vie, alla procura di Roma dal carcere di Rebibbia. Qui, nel controllo della posta di un detenuto al 41bis, Angelo Tornese, boss della Sacra Corona Unita, e' saltato fuori un appello a votare e far votare per i partiti che sono favorevoli all'abolizione dell'ergastolo. L'appello era di un gruppo di ergastolani del carcere di Spoleto ed ad inviarlo al boss era un affiliato alla stessa organizzazione di stampo mafioso, Angelo Spada. Le informazioni in possesso della procura di Reggio Calabria su un tentativo di brogli nel voto degli italiani all'estero, raccolte - a quanto trapelato ieri- da un'intercettazione telefonica disposta nell'ambito di un'inchiesta sulla cosca Piromalli, sembra fossero tanto concrete ed allarmanti che i magistrati hanno ritenuto di doverle segnalare al ministro dell'interno e questo ha rassicurato pubblicamente di aver dato indicazioni affinche' le schede 'a rischio' non fossero perse di vista. Sul rischio brogli nel voto degli italiani all'estero era circolata qualche voce, nel gran parlare di disguidi ed irregolarita' che avrebbero accompagnato la procedura piu' complessa che permette di raccogliere il voto degli italiani sparsi su tutto il pianeta, e la Farnesina era intervenuta a rassicurare, smentire, precisare ed altrettanto aveva fatto l'ambasciatore italiano in Australia. L'allarme che e' parso fosse piu' serio, tanto da far aprire un'istruttoria alle autorita' consolari, era stato in Germania, dove un settimanale aveva scritto di voci di un commercio di compravendita di schede. Non risulta che alle voci si sia trovata conferma. Ma se qualcosa di concreto ci fosse, potrebbe andare ad ingrossare il fascicolo della procura di Reggio Calabria, vista la presenza, nota e testimoniata di recente dalla strage di Duisburg, della 'ndrangheta in Germania.

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