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Molè catturato grazie alle intercettazioni

 

Il boss Molè catturato dai ROS grazie alle intercettazioni

11 giu 09 Lo hanno catturato prima di pranzo, sorprendendolo nella sua abitazione in contrada "Monacelli" di Gioia Tauro, considerata da sempre il regno della cosca. E' finita così, dopo un anno, la latitanza di Girolamo Molé, di 46 anni, considerato il reggente dell'omonima cosca, arrestato dai carabinieri del Ros di Reggio Calabria in collaborazione con quelli del Reparto eliportato di Vibo Valentia. Al momento dell'arresto l'uomo non era armato e non ha opposto resistenza. Alla cattura, ha spiegato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Michele Prestipino, gli investigatori, coordinati dalla Dda reggina, sono giunti al termine di una lunga attività di "investigazione pura, eseguita con sofisticati strumenti di controllo e di intercettazione senza i quali la cattura del latitante non sarebbe stata possibile". Una constatazione che ha spinto Prestipino a sottolineare "l'importanza delle intercettazioni, ribadita - ha aggiunto - anche al ministro Maroni in occasione di una sua recente visita a Reggio al quale avevamo prospettato alcune questioni squisitamente tecniche nel rispetto dei disegni di legge in discussione". Molé, detto "gancio", era ricercato dal luglio dello scorso anno quando sfuggì all'operazione "Cento anni di storia" che ha evidenziato i retroscena dello scontro tra i Piromalli ed i Molé e dell'omicidio con un'autobomba dell'imprenditore Antonino Princi. Per gli inquirenti era il reggente della cosca dopo l'omicidio, compiuto nel febbraio 2008, di un suo cugino, Rocco Molé. Altri due suoi cugini sono detenuti da tempo. Tra loro Girolamo "Mommo" Molé (i casi di omonimia sono frequenti) ritenuto dagli investigatori la "testa pensante" della cosca e arrestato, sempre dal Ros, il 12 luglio 1997 dopo quattro anni di latitanza quando il suo nome era inserito nell'elenco dei 30 ricercati più pericolosi d'Italia. Fu proprio lui, Mommo Molé, nel corso di un colloquio in carcere con un parente, a sottolineare come le cosche Molé e Piromalli, adesso in conflitto ma per decenni alleate, avevano un potere mafioso frutto di "oltre cento anni di storia". Un'affermazione che mirava a calmare il fratello Domenico che intendeva "rispondere" ai Piromalli per vendicare l'omicidio di un altro fratello, Rocco. Tra le "famiglie" Molé e Piromalli, legate anche da vincoli di stretta parentela, i dissidi erano scoppiati per il controllo di attività economiche all'interno dell'area portuale di Gioia Tauro. I Piromalli, secondo quanto emerso dall'inchiesta, si erano alleati con gli Alvaro di Cosoleto per fronteggiare gli attacchi degli alleati di un tempo, eliminando in maniera plateale Rocco Molé e Antonino Princi.

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