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Processo Fortugno

 

Processo Fortugno: nel 2006 il boss De Stefano rassicurò Audino

15 ott 08 Nell'aprile del 2006 il boss della 'ndrangheta Orazio De Stefano ebbe un breve incontro nel carcere di Parma con Domenico Audino, uno dei presunti assassini di Francesco Fortugno, esprimendogli la sua vicinanza. E' quanto hanno riferito, nel corso dell'udienza del processo per l'omicidio di Fortugno, i due agenti della polizia penitenziaria Maurizio Quagliarella e Fabio Ruffolo rispondendo alle domande dei pubblici ministeri Mario Andrigo e Marco Colamonaci. Secondo quanto hanno riferito i due agenti, Orazio De Stefano, mentre usciva dalla sua cella per l'ora d'aria, si fermò davanti la cella di Domenico Audino e gli strinse la mano attraverso la sbarre. "Se hai bisogno di qualcosa - disse De Stefano - ricordati che io sono qui". Il contatto fu interpretato come una rassicurazione da parte di De Stefano nei confronti di Audino in relazione ad eventuali problemi legati al regime di 41 bis. Un comportamento, hanno riferito Quagliarella e Ruffolo, che De Stefano non aveva mai adottato nei confronti di altri detenuti. Prima della conclusione dell'udienza i pm hanno chiesto alla Corte l'acquisizione degli atti dell'inchiesta della Procura di Chieti sul suicidio del pentito Bruno Piccolo, avvenuto a Francavilla al Mare nell'ottobre del 2007.

Sentiti agenti del carcere di Parma. Proseguono a Locri le udienze, in Corte d'assise, del processo per l'omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno, ucciso il 16 ottobre del 2005. L'udienza di oggi ha visto la deposizione di due agenti di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Parma, Maurizio Quagliarella e Fabio Ruffolo. I due agenti hanno riferito di alcuni contatti in carcere, nella primavera del 2006, tra il boss della 'ndrangheta Orazio De Stefano e Domenico Audino, accusato di essere stato uno dei responsabili dell'omicidio di Fortugno. Gli altri imputati accusati dell'assassinio sono Salvatore Ritorto, presunto esecutore materiale, ed Alessandro e Giuseppe Marcianò, padre e figlio, che sarebbero stati i mandanti. Nel processo sono imputati anche Vincenzo Cordì, Antonio e Carmelo Dessì ed Alessio Scali, accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso.

 

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