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Decapitata la cosca Piromalli-Molè: 21 arresti

 

Decapitate cosche, duri i PM “La ndrangheta vive dei rapporti con il mondo della politica”. Miccichè parla di Tassone e Veltroni. Tentativi di alleviare 41 bis. Appalti in 24 ore. Sequestrata azienda nel porto

23 lug 08 Dalle indagini condotte dalla squadra mobile di Reggio Calabria ''emerge in tutta la sua reale portata la natura della 'ndrangheta che, da vera e propria mafia, vive dei rapporti che instaura col mondo politico per ottenere vantaggi, favori vari, ed in cambio e' in condizioni di offrire ciò che le deriva dall'esercizio del potere criminale mafioso sul territorio". E' quanto scrivono i magistrati della Dda reggina nel provvedimento di fermo. "Nessun altro motivo - proseguono i pm - possono avere importanti esponenti politici per non disdegnare i contatti con soggetti la cui mafiosità è nota e notoria. Non può dire con certezza questo Ufficio se le 'braccia' di cui parla Micciché siano veramente aperte come egli afferma. E' certo, però, per come asserisce Piromalli, e per come il complesso della attività investigativa dimostra, che Piromalli, Micciché (e gli Arcidiaco) tali contatti ricercano, e in parte riescono a stabilire, per precisi fini illeciti e questo refluisce chiaramente sulla loro responsabilità penale".

Dell’Utri non è indagato. "Sia chiaro, il sen. Marcello Dell'Utri non è indagato e la sua posizione è quella di persona informata sui fatti". Lo ha detto il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, incontrando i giornalisti per illustrare i dettagli dell' operazione che ha portato all'esecuzione di una ventina di fermi. "Aldo Micciché - ha poi sostenuto Pignatone - è in Venezuela e ancora lo stiamo aspettando che ci racconti la sua verità".

Miccichè cita Veltroni “Ha respinto ogni cosa”. "Hai capito il discorso? Hanno respinto ogni forma, ogni cosa!". Così Aldo Micciché in una conversazione intercettata, commentava, nel marzo scorso, la volontà espressa in un comizio dal leader del Pd, Walter Veltroni, di non volere i voti della mafia. Micciché, nel corso del colloquio, fa il nome di Veltroni e cita le frasi dette dal leader del Pd durante la campagna elettorale circa la volontà del partito di non volere i voti della criminalità. Il suo interlocutore gli risponde: "lo so, lo so... che loro non vogliono i voti!". E Micciché aggiunge: "hai capito il discorso? Hanno respinto ogni forma, ogni cosa!". "La mafia - scrivono i pm di Reggio Calabria nel provvedimento di fermo - percepisce come una sventura il rifiuto dei propri voti da parte di una formazione politica, a perfetta conferma, sia delle dinamiche comportamentali delle organizzazioni mafiose, che della particolare e spiccata mafiosità dei soggetti in questione, che delle ragioni per le quali hanno, invece, offerto il loro appoggio ad altra formazione politica i cui rappresentanti entrati in contatto con loro, non solo non hanno rifiutato, ma in qualche caso hanno accettato tale tipo di appoggio, e li hanno sollecitati ad attivarsi per la fornitura di tale appoggio".

Miccichè riferisce ai Piromalli di aver sentito Tassone. Per fare ciò, secondo la Dda di Reggio Calabria, Aldo Micciché, che era molto legato al figlio di Giuseppe, Antonio Piromalli, titolare di un'azienda per il commercio di agrumi verso gli Stati Uniti, non esita a contattare politici di vari schieramenti. Tra questi vi è anche il vice segretario nazionale dell'Udc, Mario Tassone. In una telefonata del novembre scorso, intercettata dagli investigatori, Micciché riferisce a Piromalli di avere parlato con Tassone. "Anche se in questo caso, non vi è prova di un contatto diretto", scrivono i magistrati, altre circostanze "lasciano intendere come pure in questo caso non si tratti di mere vanterie dell'interlocutore del giovane mafioso". Micciché aggiunge: "Ti stanno aspettando a braccia aperte, da Casini a scendere".

Un appalto in 24 ore. Tutto in 24 ore: il 31 gennaio 2008 un appalto vinto al porto di Gioia dai Piromalli e il giorno dopo l'eliminazione del capocosca dei Molé. L'acquisizione della All Services, la cooperativa per la movimentazione delle merci alla rinfusa nel porto di Gioia Tauro, è stata infatti all'origine della frattura tra i Molé e i Piromalli, da sempre alleati ed anche imparentati tra loro. Dopo che le cosche hanno posto la loro attenzione sull'azienda, dal 2006 due gruppi si sono contesi l'acquisizione: da una parte i Molé e dall'altra una cordata formata dall'imprenditore P.D. alleatosi, secondo l'accusa, con gli Alvaro di S. Procopio, con l'avallo dei Piromalli. I pm evidenziano la concatenazione di alcuni episodi: "la perdita da parte del gruppo Molé della battaglia per l'acquisizione della All Services, con la cessione, il 31 gennaio 2008, al gruppo del P.D.; la contestuale e quasi conseguenziale uccisione, il giorno successivo, di Rocco Molé, reggente della 'ndrina''. In più l'eliminazione, il 26 aprile, di Antonino Princi, imprenditore legato ai Molé e la rottura degli storici rapporti con la cosca dei Piromalli.

Sequestrata azienda nel Porto di Gioia. E' stata sequestrata la All Services, l'azienda che svolge attività di movimentazione delle merci alla rinfusa nel porto di Gioia Tauro che, secondo l'accusa, era controllata dalle cosche. Nel corso dell'operazione è stato anche fermato il titolare. Il titolareè riuscito ad ottenere, ad inizio 2008, la cessione della All Services attraverso l'affitto d'azienda, "grazie - è scritto nel provvedimento - alla complicità dei liquidatori della cooperativa, le cui informazioni e le cui illecite attività di ausilio si sono rivelati al riguardo determinanti; grazie al vero e proprio patto d'azione con gli Alvaro, che in tal modo sono stati coinvolti nelle attività della cooperativa non più come semplici beneficiari di quote di ricchezza frutto di prelievo estorsivo, ma come veri e propri partecipi alla gestione imprenditoriale di tali attività; grazie infine all'avallo 'concesso' dai Piromalli".

I Piromalli chiedevano un consolato per il fratello Antonio. Uno degli obiettivi dei Piromalli era quello di far ottenere l'immunità ad Antonio Piromalli, attraverso il conferimento di una funzione consolare per conto di un qualsiasi stato estero. E' quanto emerge dall'inchiesta della Dda reggina contro la cosca Molé Piromalli. A spiegare il progetto è Gioacchino Arcidiaco, per gli investigatori strettamente legato a Antonio Piromalli di cui è cugino, nel corso di un colloquio con Aldo Micciché, anticipandogli le richieste che rivolgerà al "senatore".
Gioacchino: "su questo abbiamo discusso in famiglia eh... noi abbiamo solo una richiesta che non è né finanziaria né di mio zio né di altri ... è che almeno, non tanto su di me, ma quanto su mio cugino gli venga riconosciuta in qualche forma ...in qualche cosa ...l'immunità.
Aldo: va bé è naturale.
Gioacchino: ...guarda Aldo che gli venga dato un Consolato. dello Stato Russo, Vietnamita, Arabo, Brasiliano non mi interessa ...perché...
Aldo: questo lo possiamo fare!.
Gioacchino: ...ecco perché se c'é zio fuori e pure lui ... poi siamo rovinati!.
Aldo: naturale.

Fallito tentativo di attenuare 41 bis. All'inizio di gennaio, Gioacchino Arcidiaco ed Aldo Micciché, per l'accusa legati ai Piromalli, hanno dovuto prendere atto del fallimento dei loro tentativi per far attenuare il 41 bis al boss Giuseppe Piromalli. Fallimento, scrivono i pm del provvedimento di fermo, "dovuto alla impossibilità dei referenti politici ed istituzionali contattati di affrontare e risolvere la situazione per tutto un insieme di problemi dovuti sia alla paura dei soggetti di muoversi in un terreno così pericoloso, e sia alle difficoltà giudiziarie del Ministro della Giustizia. Neppure 'il Senatore' ha possibilità di muoversi in questo campo".

Grasso “I boss danno ordini anche con il 41 bis”. Nonostante il regime di detenzione del 41 bis, ''ormai per i boss è possibile comunicare efficacemente con le loro organizzazioni". A dirlo é stato il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, oggi a Reggio calabria, dopo l'operazione contro la cosca Molé-Piromalli. Grasso ha spiegato che la decisione di procedere con i fermi é stata presa per il pericolo di fuga degli indagati, ma anche per "il probabile ricorso ad altri fatti di sangue" dopo l'omicidio del boss Rocco Molé, ucciso il primo febbraio scorso. "In questi mesi - ha detto Grasso - abbiamo registrato un'intensa attività da parte dei fratelli di Rocco, Domenico e Girolamo Molé, in carcere da tempo con pesanti condanne definitive, che davano istruzioni su come muoversi ai parenti. Tutto questo ci ha allarmati".

Divisi sulle risposte all’omicidio del boss. Dopo l'omicidio di Rocco Molé, i suoi fratelli Domenico e Girolamo assumono posizioni diverse sulla "risposta" da dare ai Piromalli. "Ammazzateli tutti" dice Domenico, mentre più cauto appare Girolamo, cui gli investigatori attribuiscono il ruolo di "testa pensante". "Ricordate - dice ai suoi - che abbiamo cento anni di storia e di legami con i Piromalli che non possiamo cancellare. Dobbiamo sapere aspettare". La circostanza è emersa nelle indagini condotte dalla squadra mobile di Reggio Calabria che ha portato ai fermi eseguiti in collaborazione con i Ros. "Girolamo Molé - ha detto il pm Salvatore Boemi - capisce di non avere molte frecce, comprende il pericolo che corrono figli e nipoti in una lotta impari e detta una sorta di politica delle alleanze". Molé, infatti, suggerisce ad uno dei figli di avvicinare la figlia di un potente boss di Rosarno, il cui esito non è però riscontrato. "Girolamo Molé - ha detto Boemi - cerca di riequilibrare i rapporti con i nemici-parenti alla luce anche di quello che appare come un vero e proprio accordo di cartello tra i Piromalli e gli Alvaro, i quali riescono ad entrare nelle attività portuali grazie ai buoni uffici dell' imprenditore P.D. e mettono le mani sulla All service cui aspiravano i Molé". "I Molé - ha spiegato un investigatore - chiedono la loro parte, ma ancora una volta rimangono a bocca asciutta. In questo clima, dunque, matura l'uccisione di Rocco Molé, un atto che sancisce in maniera simbolica e sanguinosa l'eclissi di un gruppo criminale fino poco tempo fa temutissimo".

 

 

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