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Decapitata la cosca Piromalli-Molè: 21 arresti

 

Decapitati vertici cosca Molè-Piromalli: operazione partita per evitare stragi e vendette. In esecuzione 21 arresti. Nelle intercettazioni Miccichè cercò contatti con Dell’Utri e Mastella

23 lug 08 I fermi disposti dalla Dda di Reggio Calabria nei confronti di 21 presunti affiliati al clan Mole'-Piromalli di Gioia Tauro sono stati decisi per evitare il compimento di omicidi in risposta al delitto del boss Rocco Molé, ucciso il primo febbraio scorso. Dalle indagini, in corso da oltre un anno, secondo quanto si é appreso, inquirenti e investigatori hanno avuto sentore che ci potessero essere reazioni a quel delitto ed hanno deciso di intervenire. Così le teste pensanti delle cosche Piromalli e Molé di Gioia Tauro, le più potenti della 'ndrangheta, sono state decapitate da un'operazione coordinata dalla Dda di Reggio Calabria che ha portato al fermo di 21 persone tra presunti affiliati, imprenditori e professionisti accusate di associazione mafiosa. Nel provvedimento di oltre 1026 pagine, firmato dal procuratore di Reggio, Giuseppe Pignatone, e dai suoi sostituti Boemi, Di Palma, Pennisi, Prestipino, e Miranda, c'é praticamente tutta la storia delle due famiglie una volta strettamente legate, anche per vincoli di parentela, ma che gli affari milionari del porto di Gioia Tauro hanno portato, negli ultimi mesi, a dividersi ed entrare in contrasto negli ultimi mesi. L'accelerata all'inchiesta, iniziata oltre un anno fa, è stata data per il pericolo che l'omicidio del boss Rocco Molé, ucciso il primo febbraio scorso, potesse aprire una stagione di sangue nella piana di Gioia Tauro. I fermi sono stati eseguiti dalla squadra mobile di Reggio Calabria e dai Ros dei carabinieri tra la Calabria, Roma e Milano. Nell'elenco delle persone fermate figura anche il nome di Aldo Micciché, un faccendiere originario di Marapoti, un centro poco distante da Gioia Tauro, in passato (negli anni '80) dirigente della Democrazia cristiana. Da anni si e' rifugiato in Venezuela ed è al centro di una inchiesta della Dda reggina, che nasce da quella che ha portato ai fermi, su presunti brogli degli italiani all'estero alle ultime elezioni. Brogli che, secondo l'accusa, avrebbero dovuto portare ad un'attenuazione del regime detentivo del 41 bis che Micciché avrebbe cercato di ottenere mettendosi in contatto con il senatore Marcello Dell'Utri. Alcune telefonate sono riportate nel provvedimento di fermo dei magistrati della Dda di Reggio Calabria di 1.026 pagine.

Miccichè ordino di contattare Dell’Utri Alla fine dello scorso anno, un amico di Antonio Piromalli, figlio del boss Giuseppe, Gioacchino Arcidiacono doveva incontrare Marcello Dell'Utri per prospettargli alcune situazioni riguardanti la famiglia Piromalli, la più potente della 'ndrangheta, e sollecitare un suo intervento. E' quanto scrivono i magistrati della Dda di Reggio Calabria nel provvedimento con il quale sono state sottoposte a fermo una ventina di persone. In vista di quell'incontro, Aldò Micciché il faccendiere calabrese riparato in Venezuela, sente telefonicamente Arcidiacono e gli dà istruzioni in vista dell'incontro. "La Piana - dice Micciché nel colloquio intercettato dalla squadra mobile - è cosa nostra facci capisciri. Il Porto di Gioia Tauro lo abbiamo fatto noi. Insomma! Hai capito o no? Fagli capire che in Aspromonte e tutto quello che succede là sopra è successo tramite noi, mi hai capito?". Quindi Micciché aggiunge: "ricordati che la politica si deve saper fare. Ora fagli capire che in Calabria o si muove sulla Tirrenica o si muove sulla Ionica o si muove al centro ha bisogno di noi. Hai capito il discorso ? E quando dico noi intendo dire Gioacchino ed Antonio, mi sono spiegato?". Antonio e Gioacchino, per gli investigatori, sono due componenti della famiglia Piromalli. Gioacchino Arcidiacono, secondo quanto emerso dalle indagini, "ha fatto visita" a Dell'Utri, "ma di tale incontro - è scritto nel provvedimento di fermo - non è stato possibile apprendere il contenuto".

Telefonata da Miccichè a Mastella. La cosca Piromalli, per risolvere il problema del regime detentivo del 41 bis, era arrivata a "contattare vertici dello Stato nella sua espressione riguardante la organizzazione della giustizia". Lo scrivono i magistrati della Dda di Reggio Calabria nel provvedimento di fermo riferendosi ad alcune intercettazioni di Aldo Micciché in cui parla dell'ex ministro Clemente Mastella. Parlando con Antonio Piromalli, figlio del boss Giuseppe, Micciché, nell'ottobre scorso, riferisce di un colloquio avuto con una persona che, spiega, ha dato disposizioni ad altre persone di cui fa il nome e aggiunge di averli già contattati. Gli investigatori hanno identificato i nomi in due componenti la segreteria al Ministero di Mastella e di un esponente del movimento giovanile dell'Udeur. Successivamente gli investigatori hanno intercettato una telefonata fatta da Mastella a Micciché dopo che quest'ultimo aveva tentato invano di contattare il ministro. "Va detto - hanno scritto i magistrati - che la conversazione non affrontava alcun tema specifico e anzi Mastella si affrettava ad interromperla dopo aver compreso l'identità del suo interlocutore che gli parlava di possibili appoggi elettorali". "Poiché - proseguono i magistrati - sia Piromalli che Micciché erano consci delle difficoltà dovute al particolare momento in cui si viveva e che limitava obbiettivamente l'ambito di operatività dei loro referenti, nonostante tutta la buona volontà degli stessi, già pensava Micciché ad ulteriori vie per la soluzione del problema". "Ho l'impressione però - dice Micciché nel colloquio - che non si riesce a manovrare bene. Qua dovremo forse a mio avviso fare un altro tipo di rapporto e lo devo fare in Lombardia". Ovvero, secondo i magistrati alla "Massoneria".

Il faccendiere Miccichè e i Piromalli. Nell'elenco delle persone fermate nell'operazione contro la cosca Molé-Piromalli figura anche il nome di Aldo Micciché. Micciché è un faccendiere originario di Marapoti, un centro poco distante da Gioia Tauro, che in passato (negli anni '80) e' stato dirigente della Democrazia cristiana. Da anni si è rifugiato in Venezuela ed è al centro di una inchiesta della Dda reggina, che nasce da quella che ha portato ai fermi, su presunti brogli degli italiani all'estero alle ultime elezioni. Brogli che, secondo l'accusa, avrebbero dovuto portare ad un'attenuazione del regime detentivo del 41 bis che Micciché avrebbe cercato di ottenere mettendosi in contatto con il senatore Marcello Dell'Utri. Alcune telefonate sono riportate nel provvedimento di fermo dei magistrati della Dda di Reggio Calabria di 1.026 pagine. Nel provvedimento Micciché viene definito "personaggio dai rilevanti trascorsi penali, tali da valergli un cumulo di pena di anni 25 di reclusione e coinvolto anch'egli in una indagine relativa al traffico di stupefacenti che pesa sulla sua figura, nonostante l'esito per lui positivo del procedimento". I magistrati, inoltre, definiscono Antonio Piromalli, figlio del boss Giuseppe, come uno dei "pupilli" di Micciché.

Il Porto di Gioia centrale di affari. Sono passati gli anni, le attivita' economiche nell'area del porto di Gioia Tauro hanno avuto un forte incremento, ma il potere di controllo esercitato dalle potenti 'ndrine Piromalli e Mole' sugli affari del porto è rimasto intatto. Anzi si è evoluto secondo un modello che ormai caratterizza il modus operandi delle più importanti organizzazione mafiose, quello del passaggio dallo sfruttamento parassitario delle risorse attraverso forme di imposizione 'esterne' alla scelta di 'farsi impresa', attraverso un complesso sistema di patti strategici con settori dell'imprenditoria, che ha visto la scomposizione degli storici cartelli mafiosi e la ricomposizione di nuove forme di alleanza tra le più potenti cosche insediate ed operanti nell'area della Piana. Istituito per essere asservito al V centro siderurgico, mai realizzato, il porto di Gioia Tauro è oggi il più grande terminal del Mediterraneo per il transhipment di containers da grandi navi transoceaniche a piccole navi per la distribuzione al dettaglio. L'attività del porto ha avuto, in breve tempo, un formidabile decollo, passando dagli oltre due milioni di containers del 1998 agli oltre tre milioni attuali, movimentati dalla Mct, società del gruppo Contiship Italia Spa, concessionaria della più grande parte di banchina disponibile con l'impiego di 1500 unità lavorative, indotto incluso. Dato che, insieme alle tremila navi che annualmente fanno scalo a Gioia Tauro, è valso al porto di Gioia Tauro il prestigioso riconoscimento della classificazione tra i porti di rilevanza internazionale.Secondo gli ultimi dati Mct è stata del 30% la crescita del traffico container del Porto di Gioia Tauro nel primo semestre del 2007 rispetto allo stesso periodo dell' anno precedente: da gennaio a giugno, infatti, sono stati registrati un milione e 787 mila Teu a fronte del milione e 388 mila teu dello stesso periodo del 2006. Nel solo porto di Gioia Tauro prevede di movimentare 5,4 milioni di TEU entro il 2012 (contro i 3,5 milioni del 2007). L'occupazione complessiva diretta del gruppo in Italia salirà dagli attuali 2575 addetti (dato 2007) a 3550. Oggi Gioia è il primo porto per numero di movimenti nel mediterraneo. Nell'ambito delle attività terminalistiche, oltre alla Mct, impresa leader nel settore della movimentazione dei containers, si distingue nel parallelo settore della movimentazione autovetture la Blg, Automobile Logistics Italia s.r.l., che gestisce in concessione una grande banchina per lo stoccaggio delle autovetture e, dal 1999, la All Services che svolge attività di movimentazione delle merci alla rinfusa. In sostanza, questa cooperativa portuale, a differenza della Mct, opera non solo nel settore del trasbordo dei containers, ma offre, attraverso il cd tramacco, consistente nello scarico e ricarico delle merci, servizi di movimentazione di numerose merci. Ed è su tale società cooperativa, la All Services, che si è rivolta l'attenzione delle cosche, un tempo limitata alle attività puramente estorsive, per attuare la nuova strategia volta ad affermare la propria presenza interna, come impresa, nella gestione degli affari del porto. Diventando così - come scriveva anni fa il prof.Pino Arlacchi - la mafia imprenditrice.

Boss Molè “Abbiamo una storia di oltre 100 anni”. Un potere mafioso frutto di ''oltre cento anni di storia". E' quello delle famiglie Molé-Piromalli a Reggio Calabria, e a definirlo così non sono magistrati o investigatori, ma uno dei capi delle stesse cosche, Girolamo Molé. La frase è riportata nel provvedimento di fermo emesso contro 21 presunti appartenenti alle cosche ed è rivolta al nipote, Domenico Stanganelli, indicato dagli investigatori come "il rampollo della famiglia" Molé. Il colloquio è del settembre scorso e nasce, scrivono i magistrati, dalla consapevolezza di Molé "dello strapotere accumulato dai Piromalli, della corrispondente perdita di posizioni da parte dei suoi uomini e del conseguente determinarsi di un clima di tensione e conflittualità tra le famiglie da sempre alleate". "Ti devi stare a posto tuo - dice Molé - perché qua ci sono 100 anni di storia che non la puoi guastare. Se ti vuoi alleare, se voi insieme o per fatti tuoi però su una giusta linea fai quello che vuoi. Però se tu questa linea la tieni, pure tu, devi sapere che ad un certo punto ognuno... Allora la storia qualcosa conta, i sacrifici, il carcere e tutto il resto conta. Noi rispettiamo il passato e rispettiamo la storia. E noi rispettiamo e rispettiamo. E noi ... di noi, non sbaglieremo mai mai!".

Perquisizioni nelle varie carceri italiane. Perquisizioni sono in corso in vari carceri italiani nell'ambito dell'inchiesta della Dda di Reggio Calabria contro la cosca Molé-Piromalli. I magistrati reggini, in particolare, hanno disposto la perquisizione delle celle degli istituti di massima sicurezza dove sono detenuti i principali esponenti della cosca Molé-Piromalli. Gli inquirenti, secondo quanto si è appreso, sarebbero alla ricerca di eventuali pizzini o messaggi che i boss detenuti dovevano inviare all'esterno e di altro materiale che potrebbe essere utile alle indagini

 

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