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Processo Fortugno
Processo Fortugno, depone il boss Cordì: “Non conosco Novella e Piccolo” 11 apr 08 Nuova udienza, davanti alla Corte d'assise di Locri, che si svolge di pomeriggio, del processo per l'omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno, ucciso il 16 ottobre del 2005. L'udienza è cominciata con l'annuncio di uno degli imputati, Vincenzo Cordì, di voler rilasciare dichiarazioni spontanee. Cordì è accusato di associazione mafiosa, ma non dell'omicidio Fortugno. Vincenzo Cordì, considerato il boss dell'omonima cosca, nel dicembre 2005, scrisse due lettere dal carcere al nipote Domenico Novella e a Bruno Piccolo, perché preoccupato che i due, come così avvenne in seguito, decidessero di collaborare con gli investigatori. "Tu - scrisse al nipote - rispetta tutti quelli che ti rispettano e ti raccomando, stai nel tuo e se c'é qualche problema me lo fai sapere subito". La letterà a Piccolo, il collaboratore che si è ucciso alla vigilia del secondo anniversario dell'omicidio Fortugno, invece, non arrivò mai in quanto lo stesso Piccolo, in quel periodo, era sottoposto al particolare regime detentivo che prevede la censura della corrispondenza. Nel processo per l'assassinio di Fortugno sono imputati per l'omicidio Domenico Audino, Salvatore Ritorto, che sarebbe stato l'esecutore materiale, ed Alessandro e Giuseppe Marcianò, padre e figlio, accusati di essere stati i mandanti. Altri quattro imputati, Vincenzo Cordì, Antonio e Carmelo Dessì e Alessio Scali, rispondono di associazione per delinquere di tipo mafioso. Sono estraneo alla vicenda. ''Se si decidera' per una condanna chiedo che mi comminiate il doppio della pena che chiedera' l'accusa''. A dirlo ai giudici della Corte d'assise di Locri e' stato Vincenzo Cordi', concludendo le sue dichiarazioni spontanee che hanno caratterizzato l'udienza di oggi del processo per l'omicidio di Francesco Fortugno. In precedenza Cordi' aveva sostenuto di non meritare la condanna ''perche' questa vicenda mi vede estraneo''. Alessandro e Giuseppe Marciano', infine, hanno detto alla Corte di non volere aggiungere altro a quanto gia' detto perche', hanno sostenuto, ''siamo stati gia' abbastanza esaustivi nell'interrogatorio di garanzia''. Il processo e' stato quindi rinviato al 21 aprile prossimo. Non conosco Novella e Piccolo. "La galera è un mondo diverso da quello esterno. Per questo motivo e come gesto di conforto è mia abitudine mandare lettere ai locresi o a chi conosco che entra in carcere". A dirlo è stato Vincenzo Cordì, considerato dagli investigatori il boss dell'omonima cosca, in dichiarazioni spontanee rese davanti ai giudici della Corte d'assise di Locri nell'ambito del processo per l'omicidio Fortugno. Cordì, che nei mesi scorsi aveva sostenuto di non essere lo zio del collaboratore Domenico Novella, oggi ha negato di conoscere sia Novella che l'altro collaboratore Bruno Piccolo che si è suicidato lo scorso anno, ricordando di essere detenuto da sette anni. Cordì, che ha negato l'esistenza di una cosca Cordì, ribadendo che era sua abitudine scrivere ai nuovi detenuti, ha sostenuto che si tratta di un elemento facilmente riscontrabile. Per quanto riguarda l'omicidio Fortugno, per il quale non è imputato, Vincenzo Cordì ha sostenuto che "Novella e Piccolo hanno parlato perché avevano paura della galera, ma sono innocenti come gli altri".
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del 28/01/2004
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