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Processo Fortugno

 

Processo Fortugno: chiesta la trascrizione delle intercettazioni in dialetto

03 apr 08 Dovranno essere riscritte nel rispetto rigoroso del dialetto le trascrizioni delle telefonate tra gli imputati intercettate nel periodo successivo all'omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno. A deciderlo è stata la Corte d'assise di Locri dove è in corso il processo per il delitto avvenuto il 16 di ottobre del 2005. La Corte c'assise ha concesso 30 giorni di tempo al perito Giuseppe Morabito, della polizia di Stato di Reggio Calabria, motivando la richiesta, su sollecitazione delle parti, con la necessità di evitare il rischio che l'italianizzazione dei dialoghi possa avere potuto modificare il senso di alcune parole. Morabito, nell'udienza di oggi, aveva riferito sui contenuti di alcune comunicazioni telefoniche intercorse tra gli imputati e riportate in italiano. Nel corso dell'udienza il pm, Mario Andrigo ha chiesto alla Corte la nomina di un altro perito per la trascrizione delle intercettazioni telefoniche relative al tentato omicidio dell'allora assessore regionale Saverio Zavettieri. La richiesta fa riferimento alle telefonate rilevate nell'ambito dell'inchiesta Arcobaleno 1 che portò all'arresto di Salvatore Ritorto, Carmelo Dessì e Domenico Audino, e Arcobaleno 2 con l'arresto di Giuseppe e Alessandro Marcianò, padre e figlio, ritenuti presunti mandanti dell'omicidio Fortugno. L'udienza è stata poi aggiornata al 7 aprile.

Il processo. Si è svolto, davanti la Corte d'assise di Locri, l'udienza del processo per l'omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno, ucciso il 16 ottobre del 2005. Il primo dei teste sentiti oggi è stato Giuseppe Morabito, un assistente della polizia di Stato in servizio nella Questura di Reggio Calabria che ha risposto sulle trascrizioni di alcune telefonate. Nel processo per l'assassinio di Fortugno sono imputati per omicidio Domenico Audino, Salvatore Ritorto, che sarebbe stato l'esecutore materiale, ed Alessandro e Giuseppe Marcianò, padre e figlio, accusati di essere stati i mandanti. Altri quattro imputati, Vincenzo Cordì, Antonio e Carmelo Dessì e Alessio Scali, rispondono di associazione per delinquere di tipo mafioso.

 

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