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    Cosenza ricorda con un monumento il sacrificio di Sergio Cosmai

     

     

    Cosenza ricorda con un monumento il sacrificio di Sergio Cosmai

    10 mar 13 E’ stato il sole tiepido della primavera bruzia ad accogliere, sabato 9 marzo, la famiglia Cosmai a Cosenza: madre, figlia, figlio e nipotino di appena due mesi, tornati per l’ennesimo anno in Calabria in occasione, questa volta, di una speciale commemorazione del loro caro Sergio, indimenticato direttore della casa circondariale della città, trucidato dalla ‘ndrangheta nel 1985 sul viale che adesso non soltanto porta il suo nome ma ne ospita una significativa scultura a memoria. Tre ombre giganti pensate dall’artista Maurizio Orrico con le mani a forma di pistola, pronte a sparare sul mondo, dall’alto in basso. Ma lì, in basso, a circoscrivere le ombre della mafia c’è pure il serpentone di parole che rappresentano la tenacia della vita che resta della vittima, l’insegnamento che sopravvive al corpo e dunque non muore mai. “Ho visto un uomo, chiuso in un ottuso orgoglio. Un uomo che non vede oltre la propria persona e il proprio interesse, del tutto incapace di innalzarsi ad eccelse idealità, timido della verità. Ho paura che anche il mio rigagnolo finirà col riversarsi nello stesso fiume se non troverà un nuovo corso da seguire”. Le frasi, lette dal sindaco Mario Occhiuto pochi istanti prima di scoprire il monumento posto sulla rotatoria dove termina la strada dell’agguato, sono quelle ritrovate dalla consorte di Cosmai in un diario datato 1965, e impressionano per la lucida profezia insieme alla carica realistica con cui restano attuali. “Questa è una giornata importante per la nostra comunità – ha esordito il sindaco Occhiuto alla cerimonia – perché ricordiamo un uomo delle istituzioni che con la sua determinazione e con i suoi princìpi si oppose alla prevaricazione della ‘ndrangheta”. Citando don Ciotti, il primo cittadino ha ammonito proprio come la memoria debba restare viva facendosi impegno, “per questo – ha aggiunto – dovevamo alla famiglia un presidio che sul nostro territorio fosse testimonianza della lodevole esistenza di Sergio Cosmai, funzionario dello Stato ma anche uomo colto e dai mille interessi, ammazzato a Cosenza sotto il fuoco mafioso”. La voce rotta dalla commozione della signora Tiziana Palazzo in Cosmai, che da 28 anni non si stanca di chiedere alla società civile di non lasciare da soli lei e i suoi figli, Rossella (neo mamma di Alessandro) e Sergio (nato un mese dopo l’omicidio del padre), che le stanno accanto quasi a stringersi in una cosa unica, è un tuffo al cuore per la gente, le associazioni degli innocenti uccisi dalle mafie e per le autorità presenti. “Grazie per avere mantenuto la promessa – ha sussurrato con compostezza la vedova – Io credo che il senso della vita di mio marito sia racchiuso nelle parole che oggi vedete attorno a questa statua. La sua vita, interrotta con violenza da feroci assassini, era ricerca”. Ricerca è il termine-chiave per sperare in un domani migliore: “Il senso di questa ricerca – ha continuato Tiziana Palazzo – sta dentro di noi, non in maniera isolata, perché quando si è soli si muore. Mio marito cercava un nuovo corso da seguire, un corso che va condiviso perché non potranno ammazzarci tutti. L’isolamento uccide, la condivisione invece salva”. Il prefetto Raffaele Cannizzaro, sottolineando il valore degli intenti comuni che “danno calore”, ha poi affermato: “Abbiamo rinsaldato una situazione di debito, poca roba, naturalmente, rispetto a ciò che la famiglia e tutti noi abbiamo perso. Ma questa statua è un simbolo, e di simboli c’è bisogno”. Il 12 marzo 1985 fu una giornata maledetta per la città di Cosenza. Il sacrificio di Cosmai, integerrimo direttore del carcere che non si piegò alla prepotenza dei boss locali, si consumò mentre si stava dirigendo con la sua utilitaria a prendere la bambina a scuola. Fu una delle pagine più buie della storia del capoluogo bruzio, una fase che però, come ha evidenziato il vescovo Salvatore Nunnari nel corso di un toccante intervento, non deve oscurare il buono di questa terra. “La Calabria siamo noi, amici – ha dichiarato il Monsignore rivolgendosi direttamente alla famiglia del compianto direttore del carcere - La nostra cultura purtroppo viene sporcata dall’arroganza che si fa forte della nostra debolezza. Cosenza non ha dimenticato. Sono i miserabili a portarci via le figure nobili come Cosmai ma, certo, la lezione dell’amato Sergio rimane una pietra miliare nella ricostruzione dei luoghi calabresi dove il male ha prodotto tante vittime senza vincere. Il nome di Sergio Cosmai – ha concluso il Vescovo – è maestro del cammino nuovo della nostra Calabria”. Tutt’intorno alla cerimonia, avanzavano lungo il viale e la rotatoria gli automobilisti di passaggio. “Un nuovo corso da cercare”, ripeteva del resto Cosmai. Dopodiché, a conclusione della breve e vibrante commemorazione, il lenzuolone con il tricolore ha svelato le tre altissime ombre che onorano il ricordo di un grande esempio. Ancora più su, c’era il sole, sabato 9 marzo a Cosenza, a scaldare il fagottino del piccolo Alessandro, che non conoscerà mai suo nonno ma un giorno, ritornando qui, potrà dire di aver sentito sulla pelle un’altra primavera bruzia (ip).

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