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    Il Rigoletto cambia pelle ma non il succo

     

     

    Il Rigoletto cambia pelle ma non il succo

    25 feb 12 Vedere la realtà, al di là di ogni apparenza. E proiettarsi nel presente, per capire meglio l'opera. E' questa la sfida del "Rigoletto" targato Francesco Antonio Castaldo, il regista che ha allestito l'opera lirica la cui prima è andata in scena ieri sera al Teatro Rendano di Cosenza. Castaldo ha scelto di compiere un'operazione alquanto rischiosa, ossia stravolgere completamente l'ambientazione e traslarla dalla Mantova cinquecentesca all'attualità dei nostri giorni. Vediamo quindi il Duca di Mantova diventare un ricchissimo playboy da strapazzo che si diverte con le donne degli altri, ed è circondato da una pletora di portaborse in giacca, cravatta regimental fuori misura e ventiquattrore, che hanno il compito di assecondarlo offrendogli sempre quello che chiede, a partire dal campionario femminile rigorosamente in tacchi a spillo e abiti succinti. E qui il richiamo all'attualità – in verità già passato prossimo – ci sta tutto: soldi, feste private, portaborse, bunga bunga… E in questo contesto, Rigoletto dismette gli abiti da gobbo buffone di corte e diventa il simbolo di quel gruppo di lacchè al servizio del padrone, e, anche lui rigorosamente in giacca, cravatta e valigetta d'ordinanza, è in ogni momento pronto a scatenare il riso, giocando, denigrando e offendendo, fino al dramma che ne segnerà per sempre la vita: Gilda, sua figlia, emblema di purezza e disincanto, verso cui nutre un sentimento di morbosa protezione, si innamora del Duca, e finisce per sacrificare la propria vita per lui. Scenografia quindi del tutto rivoluzionata, con uno schermo che ogni tanto proietta scene che richiamano episodi della vita dei protagonisti, e poi il letto simbolo dell'alcova al centro delle scene a Palazzo Ducale, e, a partire dal crocifisso (presente anche nella locanda di Sparafucile) all'occhio piramidale simbolo del Potere dove ogni cosa è parte di un sistema di equilibri, una serie di elementi che destabilizzano lo spettatore, creando qualche comprensibile sbandamento, superato in alcuni, meno in altri. Ieri sera, infatti, al primo cambio di scena, un gruppo di "melomani", sentitisi evidentemente traditi dall'attualizzazione dell'opera, hanno inscenato una contestazione a suon di "Vergogna!" "Ridateci i soldi!" e altre menate del genere, ma sono stati poi zittiti prontamente dagli applausi della stragrande maggioranza degli spettatori presenti. E il rimando mnemonico è andato alle tante scene di contestazione avvenute nei teatri di tutto il mondo: allora il Rendano come la Scala? Non sappiamo con certezza se gli strali fossero motivati da autentico gusto per il "melò" o se ci fosse anche dell'altro… anche se un filo di sospetto verso la contestazione organizzata a fini "politici" c'è tutto… a chi ha gridato ieri sera il proprio disappunto, ci piacerebbe chiedere cosa abbia pensato del "Telesio" di Battiato (che – per sgombrare il campo da ogni equivoco - a chi scrive è piaciuto, ma intorno al quale sono state inscenate forti polemiche per i soldi spesi, per la campagna elettorale in corso, eccetera eccetera). Tornando all'opera, da rilevare la bravura dei cantanti, su tutti il baritono Damiano Salerno, un Rigoletto che solo al prologo e all'epilogo appare come Verdi e Piave (e prima di loro, Victor Hugo) lo avevano immaginato, gobbo e giullare, destinato a vestire per sempre i panni del dolore e della disperazione per la perdita dell'amata figlia. E poi il soprano Sandra Pastrana, la Gilda dall'amore puro e immacolato, che sacrifica la propria esistenza per amore di chi l'ha sedotta e la sta tradendo sotto i suoi occhi. E infine il tenore Alessandro Liberatore, che con le celebri arie dell'opera ben interpretate ha richiamato a sé anche i più distratti, e forse anche i novelli contestatori orfani del melodramma, più "Funiculì Funiculà" (vedi "No, grazie, il caffè mi rende nervoso" di Ludovico Gasparini, 1982, con Lello Arena e Massimo Troisi) che Savonarola innamorati del bel canto. Un plauso poi agli altri cantanti, al coro "Francesco Cilea" di Reggio Calabria e all'Orchestra Lirico-Sinfonica del Rendano, diretta dal M° Giovanni Pelliccia, e ovviamente al regista Francesco Antonio Castaldo, che con coraggio ha portato avanti la bella intuizione di attualizzare il dramma verdiano. In sostanza questo "Rigoletto" in chiave moderna ci ha convinto. E ci dispiace per le urla poco gentili e in verità volgarotte della minoranza sparuta dei contestatori: a loro diciamo in amicizia che ogni evoluzione segna disorientamento e senso di smarrimento, vero, ma che esperimenti come questo vanno incoraggiati e apprezzati, e che se il contesto cambia, attualizzandosi e rinfrescandosi, non per questo l'arte si disperde: la musica resta, eterna e immortale, quella che il maestro Peppino Verdi da Busseto ha composto 160 anni fa… In altri termini, gridare "Vergogna" per una rappresentazione che non piace, peraltro disturbando i tanti che invece apprezzano e vogliono godersi l'opera in santa pace, sembra quantomeno esagerato. "Vergogna" andrebbe invece gridato a chi, in generale, continua ad esibire il Potere che esercita, piccolo o grande che sia, a propri fini e per raggiungere scopi dettati dalla propria bassezza. Certo, se qualcuno ieri sera, sentendo "La donna è mobile, qual piuma al vento" avrà pensato a versi scritti da Apicella, beh, dieci minuti di vergogna spettano anche a lui….! (Luigi Caputo)

    Foto © Mario Tosti

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