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    Liberazione Reporter, i retroscena: definiti infedeli, minacciavano taglio mani

     

     

    Liberazione Reporter, i retroscena: definiti infedeli, minacciavano taglio mani. Anche algerini e marocchini

    13 apr 13 I ribelli "ci hanno fermato davanti a una chiesa profanata, pensavano che avremmo attribuito l'episodio a loro, anche se effettivamente non sapevamo chi avesse danneggiato l'edificio": così Susan Dabbous, la freelance liberata oggi in Siria al Telegraph. Gli altri tre reporter "erano tenuti insieme in una stanza, li accusavano di essere dei 'kafir' (infedeli, ndr), e che li avrebbero portati davanti a una corte islamica "per il giudizio e la punizione".

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    --- Liberato il cetrarese Ricucci e gli altri 3 sequestrati in Siria. Grande festa in Calabria

    Taglio delle mani. I ribelli che hanno fermato Susan Dabbous, una dei quattro reporter italiani fermati in Siria e liberati oggi, "mi minacciavano di tagliarmi le mani perché pensavano che avrei scritto un articolo su di loro": lo riferisce la stessa Dabbous al Telegraph. "Temevo che mi avrebbero ucciso, ho avuto veramente molta paura", aggiunge la Dabbous.

    Algerini e marocchini tra sequestratori. Nel gruppo di ribelli che ha fermato i 4 reporter italiani in Siria, rilasciati oggi, "si pensa ci fossero anche algerini e marocchini". Lo scrive il britannico Telegraph pubblicando una intervista con Susan Dabbous, la freelance di origini siriane.

    SNoi miracolati. sconsiglio di andare in Siria. "Mi arrivano tante mail di chi mi chiede consigli su come entrare in Siria: sconsiglio a tanti giovani colleghi di andare, la situazione (nel nord, ndr) è decisamente peggiorata, e non tutti possono contare sull'appoggio di uno Stato come quello italiano": così Susan Dabbous, la reporter italo-siriana rilasciata oggi da un gruppo di ribelli jihadisti, ringraziando l'Unità di crisi della Farnesina per la liberazione. "Siamo dei miracolati", ha aggiunto.

    Separata dagli altri. Susan Dabbous è stata separata dagli altri tre reporter fermati in Siria dai ribelli e rilasciati oggi: lo riferisce lei stessa in una intervista al Telegraph. La donna è stata presentata a alla moglie di uno dei ribelli, "abbiamo passato del tempo cucinando assieme" in una casa scossa di notte dai bombardamenti delle forze governative. "Pregavo ogni giorno, e sapevo che dietro ai loro comportamenti mostruosi erano uomini con madri e mogli", ha aggiunto riferendosi al gruppo dei ribelli.

    Presi per spie ma trattati bene. La voce stanca dall'altro capo del telefono è di Amedeo Ricucci, l'inviato della Rai liberato oggi dopo dieci giorni di 'fermo' nel nord della Siria da parte di islamisti armati assieme ad altri tre colleghi. E a pochi minuti dall'annuncio del rilascio, è il primo segnale concreto della sua presenza in territorio turco. Da un albergo di Antiochia, nel sud-ovest dell'Anatolia, dove i quattro reporter sono giunti nel pomeriggio dopo la liberazione avvenuta stamani nella regione siriana di Idlib, Amedeo racconta frammenti di una vicenda ancora tutta da chiarire. "Stiamo bene, stiamo tutti bene. Ci hanno trattato bene e non ci hanno torto nemmeno un capello", rassicura, affermando che "ovviamente la privazione della libertà è una tortura psicologica". Ricucci si affretta a dire subito che anche Susan Dabbous, unica donna del gruppo, "sta bene". Nei giorni scorsi si erano rincorse voci sul fatto che i sequestratori avessero diviso i tre uomini dalla Dabbous. Una circostanza confermata oggi dalla diretta interessata. Ed è proprio la giornalista italo-siriana a raccontare al Telegraph episodi molto meno rassicuranti sulla vicenda: "Minacciavano di tagliarmi le mani perché pensavano avrei scritto un articolo su di loro. Temevo che mi avrebbero ucciso, ho avuto veramente molta paura", ha detto, aggiungendo che tra i sequestratori c'erano algerini e marocchini. "Siamo stati in mano a un gruppo islamista armato che non fa parte dell'Esercito libero siriano", riprende a raccontare l'inviato Rai Ricucci, che ci tiene a sottolineare l'estraneità del gruppo dei sequestratori con la causa della rivolta popolare contro il regime del presidente Bashar al Assad. Sulle cause del loro 'fermo', Ricucci assicura: "Si è trattato di un malinteso... ci trovavamo in una località originariamente cristiana e stavamo filmando una chiesa. Ma i miliziani hanno creduto che stessimo riprendendo una loro base logistica". Il giornalista Rai ammette che "all'inizio ci hanno presi per spie" e che gli uomini armati volevano "controllare quello che avevamo girato" e che per far questo "ci hanno messo un sacco di tempo". In attesa che ulteriori dettagli del loro 'fermo' vengano resi noti, Ricucci si limita a dire che i sequestratori "ci hanno tenuti in posti diversi, non proprio prigioni sotto certi aspetti, per altri sì". E a chi afferma che forse lui e i suoi colleghi sono stati "incauti", il cronista di RaiStoria risponde: "Che qualcuno lo possa pensare lo trovo di cattivo gusto. Siamo stati cauti fino all'ennesima potenza". La prima telefonata di Ricucci è stata a sua madre, Rachele Ferrara, raggiunta dal sud della Turchia a Cetraro, in provincia di Cosenza: "Amedeo mi ha chiesto scusa per la preoccupazione di tutti questi giorni", ha riferito la donna, 82 anni, visibilmente commossa.

    La fine di un incubo. Per un "malinteso" hanno rischiato molto i quattro giornalisti italiani liberati oggi dopo esser stati "trattenuti" nel nord-ovest della Siria per ben dieci giorni da miliziani fondamentalisti in un territorio divenuto ormai tra i più pericolosi al mondo. Il rilascio dell'inviato Rai Amedeo Ricucci, del fotoreporter Elio Colavolpe, del documentarista Andrea Vignali e della giornalista freelance Susan Dabbous è stato salutato con sollievo e soddisfazione dalle più alte cariche dello Stato, a partire dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dal premier Mario Monti, che ha annunciato stamattina l'attesa fumata bianca. Unanime è stato il ringraziamento al personale dell'Unità di crisi della Farnesina, per aver lavorato giorno e notte al rimpatrio in sicurezza dei connazionali. Ma la loro vicenda, su cui indaga ora la procura di Roma, ha ancora numerosissimi punti oscuri. Anche perché sin dalla diffusione delle primissime notizie della loro scomparsa nella regione nord-occidentale di Idlib è stato chiesto e rispettato un doveroso silenzio stampa. I quattro facevano parte della troupe, guidata da Ricucci del programma Rai 'La Storia siamo noi', impegnata in teoria in Siria dal primo al 15 aprile per un reportage dal titolo "Silenzio, si muore". Si trattava di un primo esperimento di giornalismo partecipativo con un gruppo di studenti di San Lazzaro di Savena (Bologna), che avrebbero dovuto interagire attivamente con i giornalisti e fornire loro spunti circa storie da raccontare. ßß I quattro, accompagnati da un traduttore ("Maher"), un autista ("Abdin") e un altro siriano ("Ali"), aggregatosi al gruppo all'ultimo minuto, da Antiochia sono entrati nella Siria controllata dai ribelli la sera di martedì 2 aprile nell'area di Guvecci, facendo tappa all'ospedale da campo di Yamadiye, di fronte alla località turca di Yayladagi. Il programma di Ricucci era di rientrare ogni sera in territorio turco. ßß Le loro tracce si sono perse il 3 aprile, quando i telefoni di tutti i membri del gruppo sono risultati non raggiungibili. Ricucci ha saltato il primo collegamento via Skype con i ragazzi di San Lazzaro e il giorno dopo, all'ennesimo contatto telefonico mancato, è partito l'allarme. ßßßIn un primo momento, l'autista (misteriosamente rimasto ad aspettare i giornalisti a ridosso del confine) assicurava che i giornalisti stavano bene ma che si trovavano nella regione di Latakia, non coperta dalla rete telefonica GSM e satellitare. Solo venerdì mattina è giunta la notizia del loro "fermo" nel villaggio di Yaqubiya. La località, originariamente abitata in prevalenza da cristiani, è diventata una base del gruppo jihadista Jabhat an Nusra, tornato agli onori della cronaca nei giorni scorsi per aver ammesso il legame diretto con al Qaida. Stando ai primi racconti di Ricucci e della Dabbous, il gruppo è stato "fermato" mentre era intento a filmare alcuni graffiti sui muri di una chiesa di Yaaqubiye. I miliziani li avrebbero scambiati "per spie" anche perché - secondo le informazioni raccolte durante i giorni del loro "fermo" - Ricucci e gli altri non avevano chiesto le autorizzazioni necessarie per lavorare come giornalisti a tutti i gruppi armati presenti nella regione di Idlib. Non è chiaro perché la troupe si sia spostata - o sia stata trasferita - dalla regione di Latakia a quella di Idlib, notoriamente molto pericolosa. La sera del 5 aprile vengono intanto rilasciati "Maher", indicato come membro dell'Esercito libero siriano, e "Ali", la cui presenza assieme alla troupe non era nota alla redazione de La Storia siamo noi. ßßßAli è fratello dello "shaykh Khaled", che per giorni ha svolto un ruolo cruciale nel tentare di negoziare il rilascio. Di certo, almeno incrociando le varie fonti dal terreno, è emerso che da venerdì 5 aprile Ricucci, Colavolpe e Vignali sono stati separati dalla Dabbus, sulla quale i sequestratori - "di altre nazionalità arabe, tra cui algerini e marocchini" - avrebbero avuto a lungo i maggiori sospetti: forse a causa della sua doppia cittadinanza siriana e italiana, forse perché sul suo cellulare sarebbero stati trovati alcuni filmati amatoriali riguardanti proprio la Jabhat an Nusra. La Dabbous ha raccontato di esser stata minacciata dai sequestratori ("ti tagliamo le mani") che non volevano che lei scrivesse di loro. ßßßAlcune fonti affermavano che domenica 7 aprile i quattro giornalisti erano stati trasferiti a Bab al Hawa, valico di confine con la Turchia a nord di Idlib, per essere "giudicati dal tribunale islamico della Jabhat an Nusra". "L'inchiesta è alla fase finale - affermavano le fonti in contatto con lo shaykh Kamal - e saranno rilasciati presto, quale che sia il giudizio su di loro". Ma da allora sono passati altri interminabili sei giorni. Fino a stamattina, quando è finalmente arrivata la notizia che tutti aspettavano. I quattro, in serata, sono rientrati a Roma.

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