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      E' scomparso Gigi Riva, a Cosenza segnò il suo primo gol in Nazionale

       

      Il primo gol di Riva in Nazionale di testa a Cosenza contro Cipro

       

      E' scomparso Gigi Riva, a Cosenza segnò il suo primo gol in Nazionale

      22 gen 24 E' scomparso all'età di 79 anni un mito del calcio italiano, Gigi Riva. Il calciatore che disse no ai grandi club come Juventus e Milan per restare in quella Sardegna, lui che era lombardo, che lo aveva accolto col cuore ed eletto suo concittadino onorario ed imperatore del calcio. Riva, che è il miglior realizzatore della Nazionale italiana con 35 gol, ha segnato la prima rete in maglia azzurra proprio a Cosenza dove siglò una tripletta contro Cipro, gara valevole per gli Europei del 68, vinti proprio dall'Italia. In quel piovoso pomeriggio del 1 novembre 1967, in uno stadio San Vito nuovo di zecca, inaugurato da poco meno di tre anni, stipato in ogni ordine di posti, la gara finì 5-0 con doppietta di Mazzola nel primo tempo e le reti di Riva, la prima di testa, nella ripresa. Rombo di Tuono, così lo avevano soprannominato, era un gentiluomo del calcio perchè metteva l'onore sopra ogni cosa. E' morto in ospedale in Sardegna, dove viveva, dopo aver avvertito domenica un dolore al cuore dove era stato operato.

      Nel 1963, arrivo' nell'Isola dove doveva rimanere al massimo un paio di stagioni, per sfruttarla quale trampolino di lancio, e invece non se ne andò più, fino all'ultimo giorno della sua vita. "Perche' qui - spiego' a chi gli chiedeva il motivo di una scelta controcorrente - io che in pratica non avevo famiglia, ne ho trovate tante''. Riva rimase nella terra dei quattro mori, nonostante le grandi squadre lo avessero inseguito. L'allora presidente bianconero, Boniperti ne aveva fatto quasi una malattia. Lo inseguiva con offerte straordinarie ma lui continuava a dirgli di no e a segnare per i rossoblù.

      Divento' un simbolo dell'uomo libero e orgoglioso, al punto che persino il latitante Mesina, travestito da frate, lo andava a vedere al vecchio stadio Amsicora, soggiogato dalle giocate e dalla personalita' di Riva. Ma al di là del suo orgogliosissimo essere un sardo nato sulle rive del lago Maggiore, Riva incarnò presto un idolo per tutta Italia. Per la maniera dirompente di segnare (mai un gol d'astuzia, sempre grandi reti di testa o con il suo leggendario sinistro). E per quella generosità che lo portava a dare tanto a tutti, oltre a un paio di devastanti fratture alle gambe alla causa azzurra.

      Ha vinto poco, in relazione al moltissimo che valeva: e comunque uno scudetto con il Cagliari, quello storico del 1970. Quanti ne vale di quelli conquistati dagli squadroni del continente? Infatti con il razzismo tollerato di quegli anni, i tifosi di questi club accoglievano i giocatori rossoblu' chiamandoli ''pecorai, banditi": perchè, inopinati ospiti, partecipavano finalmente a un banchetto al quale non erano mai stati invitati. Il merito principale di quella squadra rivoluzionaria e vincente, e i suoi compagni di allora gliel'hanno sempre riconosciuto, era di Riva. Nel cui palmares ci sono anche il campionato europeo vinto con la nazionale in finale a Roma nel 1968 (con un suo gol in sospetto fuorigioco, ma allora le moviole non c'erano e nessuno gliel'ha mai rinfacciato), tre classifiche dei cannonieri vinte, il record, tuttora imbattuto, di 35 gol in 42 gare in maglia azzurra. Per non parlare di un secondo e un terzo posto al Pallone d'Oro, quando quella classifica non era specchio dei desideri degli sponsor.

      Non era questo il suo calcio, lui che una volta tolti gli scarpini non volle piu' giocare neanche una partita tra amici, figurarsi tra vecchie glorie... Probabile che gli pesasse quell'aggettivo, di sicuro non amava invecchiare. E preferiva il rumore del suo silenzio, un'altra delle sue caratteristiche 'tradita' solo quando da team manager della nazionale doveva difendere i giocatori azzurri. Lo fece alla grande nell'intervallo della finale del Mondiale 2006, spegnendo le intemperanze del ct francese Domenech: un segreto rivelato solo anni dopo da capitan Cannavaro, ma chiaro nel rispetto che tutti i giocatori avevano per lui. Ora a rendergli omaggio come fosse il loro team manager saranno in tanti, tutti quelli, molti milioni, che per una vita lo hanno amato. Perche' ha rappresentato il calcio delle bandiere, quelle che conoscevano solo i colori di una squadra. Perche' la sua avventura ha regalato l'anelito profondo del romanzo e del grande cinema (e infatti Pasolini e Zeffirelli lo volevano come attore) e non il ritmo sincopato dei tweet dei calciatori di oggi. E soprattutto perche' in un campetto spelacchiato, in uno spazio davanti a una scuola o addirittura per strada, illusi dalla leggerezza dei palloni "Super Santos" e "Super Tele", tutti quanti per un attimo abbiamo sognato di essere dirompenti come lui.

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