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      Le microstorie di Franco Panno in “Acqueforti”, album dei ricordi ricco di personaggi del passato

       

       

      Le microstorie di Franco Panno in “Acqueforti”, album dei ricordi ricco di personaggi del passato

      Franco Panno27 mar 23 E' un campionario di varia umanità quello che popola il libro “Acqueforti” di Franco Panno (a destra nella foto) pubblicato da “Coessenza” e del quale è già in preparazione una seconda parte. Una galleria di personaggi singolari e a volte anche bizzarri e nei quali non fa certo difetto la profonda umanità. Microstorie minimal, ma di grande profondità, che la dicono lunga sul tempo vissuto, di cui si ha la consapevolezza che non tornerà, ma che è importante fissare nello scritto, con la tecnica, appunto, delle Acqueforti. Dice bene Mauro Macario quando, nella prefazione al libro, scrive che i racconti di Panno sono una sorta di Spoon River e, in realtà, quella portata avanti dall'autore è un'operazione salvifica: contrapporsi alla cancel culture imperante che tende ad azzerare ogni forma di percezione del passato, di un vissuto fatto di uomini, donne e amori che somiglia ad un album dei ricordi, niente affatto ingiallito e bene impresso nella memoria e che la tecnocrazia dell'oggi vorrebbe spazzare via. E allora i racconti di Franco Panno diventano quasi una sorta di ribellione e un tentativo, ben riuscito, di rimescolare le carte e di tuffarsi a capofitto in quei ricordi. Non è un'operazione nostalgia fine a sé stessa, ma la tensione a voler riaffermare una sorta di primazia della memoria. Il fil rouge è proprio il racconto, quello dell'autore e dei personaggi che lui evoca e che raccontano a loro volta, all'interno della narrazione principale. “Acqueforti” è un libro che si legge tutto d'un fiato e Panno si rivela scrittore dalla prosa secca, senza fronzoli, che va dritta allo scopo. Le sue pagine hanno un ritmo sincopato. Sembra quasi di assistere ad una jam session di jazz. Panno raccoglie le sue passioni e le trasferisce nel libro: cinema, musica e la sua ars affabulatoria. E le figure di uomini e donne che hanno popolato la sua adolescenza e quella di tutti noi, si moltiplicano. Il lettore si imbatte così in una galleria di personaggi multiformi, ma accomunati dall'avere un cuore che pulsa – eccome se pulsa – anche a dispetto di una scorza apparentemente contrassegnata dalle durezze indotte dalla vita. C'è il meccanico che fa il pugile e che si addormentava sulla panchina della piazza e a cui Franco portava il caffè, che narra di aver incrociato i guantoni di Tiberio Mitri. Ogni racconto si chiude con la citazione di una canzone, una sorta di playlist che l'autore compone e suggerisce come se ogni frammento di quel che narra abbisognasse di una colonna sonora. Immaginate se il gioco fosse portato alle estreme conseguenze e se si rileggesse il libro con il sottofondo musicale di ogni brano indicato nelle pagine. Sarebbe un esperimento interessante e certamente non senza positive conseguenze. E se nel caso del meccanico dedito al pugilato, la canzone che accompagna queste righe non può che essere una ed una soltanto,“The boxer” di Simon & Garfunkel, quando Panno evoca la ragazza che cantava il blues, e cioè, Magda, la commessa del negozio di elettrodomestici, la canzone scelta è “The man in love”. I suoi personaggi, oltre che un cuore, sono capaci di ascoltare, come Milo, l'anziano signore con qualche conto in sospeso con la giustizia, che scrive lettere conto terzi e che ricorda lo scrivano di “Miseria e nobiltà” di Scarpetta e di Totò. I rimandi al cinema si sprecano, ad evocare una tra le tante passioni coltivate dall'autore, formatosi a pane e cinema, come a pane e tv e a pane e musica. Si ricordano “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo o la prima volta che l'autore vide “I soliti ignoti”, all'interno di una rassegna televisiva dedicata ad Age e Scarpelli la cui sigla era “Il cielo in una stanza”, ma nella versione di Franco Simone. Una visione condivisa, una sera di fine estate, con alcune persone sole che gravitavano nel palazzo o nel quartiere. E la settima arte ritorna nel ricordo di Gino l'imbianchino, chiamato Ringo dalla maschera di un cinema perché era amante dei film western, soprattutto quelli con Giuliano Gemma. E cosa dire di Don Ciccio che torna dalla guerra in Montenegro e che ricorda il personaggio di Totò in “Letto a tre piazze” e che dà alla primogenita il nome di Vasnja come quello della ragazza che lo nascose in quegli anni prendendosi cura di lui? Non c'è nel libro di Panno una identificazione ben precisa dei luoghi, anche se un contributo non da poco in tal senso lo danno le belle foto di Astolfo Lupia. Quei luoghi tratteggiati nelle pagine hanno una loro universalità. Sono le località marine dove Franco e gli amici trascorrono le estati vissute al suono del jukebox, strumento da presidiare ed occupare quasi militarmente. O dove le rotonde realizzate con le canne di bambù diventano lo spazio per eccellenza per fare la corte alle ragazze ballando i lenti che facilitano l'approccio, meglio se “Feelings” di Morris Albert. Le estati qualunque di Franco Panno sono di quelle che regalano tre minuti per l'inverno e servono come il fieno in cascina in attesa che tornino presto. In ordine sparso, altre figure rimangono impresse: gli attori di fotoromanzi un po' maudit che si affacciano sulla scena e che ricordano il mito di un Franco Gasparri o di un Alex Damiani, i ragazzi difficili, come Peter il tornitore, o la generosità di Anacleto, 'u barese. A molti di questi personaggi Franco Panno deve anche delle scoperte. A Nando, anziano signore napoletano dei luoghi delle vacanze estive che amava i versi di Salvatore Di Giacomo, è debitore della scoperta della canzone napoletana e di Fernando De Lucia, tenore napoletano la cui ugola superava addirittura quella di Enrico Caruso. L'album continua a sfogliarsi evocando altre immagini indelebili: i giochi nel cortile, “correvamo dietro un Supersantos. Non avevamo bisogno d'altro. Ci si divertiva con poco”, o i pomodori per le conserve strizzati al ritmo dei Tavares, la visione in tv di “Giochi senza frontiere”, insomma, un mondo che non è più. O gli acquisti condizionati dai Caroselli televisivi, come il deodorante usato da Pelè. Episodio questo, ispirato all'autore dal ritrovamento di una vecchia nota della spesa, ancora leggibile, in un vecchio cappotto della sua adorata mamma. Una diffusa malinconia pervade il lettore quando Panno indugia su alcuni episodi che toccano nel profondo le corde dei sentimenti, come nel caso del racconto del ragazzo biondo non vedente, figlio di una signora che abitava nei pressi della piazzetta dove oziare nei pomeriggi d'estate che precedevano la partenza per le vacanze. Al ritorno dalle vacanze seppe che era morto e per pura coincidenza un suo amico gli fece ascoltare un brano di Bill Evans, “Lover man”, che quel ragazzo gli aveva suonato al pianoforte. Un'emozione simile a quella provata per Silvia, la ragazza con la quale stava nascendo un'intesa e che d'improvviso lasciò il palazzo dove abitava per trasferirsi altrove. “Era bella, cuciva con grazia, suonava Chopin”. Nel libro le emozioni più profonde si mescolano ai sorrisi. Come non azzardare il paragone tra Piero il pescivendolo, detto Yanez per la sua straordinaria somiglianza con l'attore Philippe Leroy, che ammanniva chi lo ascoltava con racconti di suoi improbabili viaggi in Malesia, e Manuel Fantoni, il personaggio interpretato da Angelo Infanti in “Borotalco” di Carlo Verdone? Il cargo battente bandiera liberiana di Fantoni è pari a quello sul quale a Piero era stato offerto di salire da parte di uno sceicco che gli aveva promesso in cambio una consistente somma di danaro. Anche qui torna l'elemento della generosità che accomuna molti dei personaggi del libro. Con i pesci invenduti, Piero preparava delle cene a famiglie in difficoltà, servendoli addirittura in livrea. Racconti inventati entrambi, eppure capaci di suggestionare allo stesso modo l'ascoltatore. Ed è questo il valore aggiunto di un libro che non si può fare a meno di avere nello scaffale preferito.

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