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    Farmacia e Scienze Unical denunciano impoverimento università pubbliche

     

     

    Farmacia e Scienza Nutrizione Unical denunciano impoverimento università pubbliche

    30 lug 10 La Facoltà di Farmacia e Scienze della Nutrizione e della Salute dell’Università della Calabria, nel manifestare la propria viva preoccupazione per la situazione di grave precarietà che investe l’Università italiana come conseguenza degli effetti combinati del dispositivo di legge 1905 e di manovre finanziarie di segno profondamente contradditorio ( 2008-2010), evidenzia come le disposizioni contenute nel decreto legge 31/05/2010 n.78 recante” misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria di competitività economica” costituisce l’ennesimo atto attraverso cui si articola il disegno complessivo di impoverimento e marginalizzazione dell’Università pubblica italiana che ha avuto tre segmenti temporali: 1) l’emanazione del DDL Gelmini con risultati che delineano una governance fortemente laceranti per la comunità accademica attuale; 2) l’inadeguata risposta all’istanza di riconoscimento di uno stato giuridico quale quello dei ricercatori universitari che ha dato legittimità all’attuale stato di agitazione; 3) recenti provvedimenti restrittivi ed indiscriminati di carattere finanziario riguardanti l’intero comparto universitario D.L. 78 del 31/5/10. Le nostre considerazioni critiche già rivolte all’impianto complessivo del DDL riguardano sia la formulazione materiale che i suoi contenuti di merito. Il Tit. I del DDL riguardante la governance degli atenei appare concernere più che una legge delega una legge ordinaria per il suo carattere fortemente prescrittivo e vincolante di un modello organizzativo omogeneo a cui deve attenersi la stessa scrittura degli statuti di ateneo al punto di configurare una sostanziale abrogazione dell’autonomia statuaria. Il Tit.II che contempla la qualità e l’efficienza del sistema universitario, contiene un gran numero di riorganizzazioni interne ancorate a criteri imprecisati e indeterminati negli obiettivi si da lasciare al governo margini di interpretazioni alquanto ampie da prefigurare un eccesso di “ deleghe”. Nel merito dei contenuti abbiamo espresso la nostra contrarietà all’intero impianto della governance che di fatto svuota gli organi elettivi concentrando il potere gestionale, nella figura del Rettore e nel Consiglio di Amministrazione, non dando voce alla rappresentanze che sino ad oggi hanno garantito la vita democratica degli atenei, accentuando il proprio carattere centralistico aprendo a pulsioni aziendalistiche la natura e la composizione degli organi stessi. Abbiamo ritenuto in diverse occasioni fare rilevare che se esiste disfunzione nell’assetto interno degli atenei non è con illusorie scorciatoie tecnocratiche che se ne ripristina l’efficienza ma che solo un’equilibrata distribuzione di poteri e funzioni può rivitalizzare l’autonomia delle sedi in una chiave di responsabilità regolate. Viene in altre parole presentata un modello di governance universitaria ispirata non a una logica di responsabilizzazione delle componenti che sino ad ora ne hanno contraddistinto in bene o in male l’autonomia della comunità accademica, ma ad una logica di “ mero commissariamento” degli organi collegiali preesistenti. Il Senato Accademico viene infatti depotenziato, le Facoltà non sono sostituite di fatto da organi collegiali essenziali al raccordo didattico-scentifico necessario a dare compiutezza ai diversi profili professionali capaci di elaborare in modo duttile i curricula formativi collegati con il mondo del lavoro e delle professioni. Ma ciò che resta senza alcuna risposta è la prospettiva di carriera di quella fascia generazionale di operatori dell’Università quale quella dei ricercatori da cui strettamente dipende ogni strategia di sviluppo e di innovazione dell’intero sistema universitario. In tale contesto trova legittima motivazione l’attuale fase di agitazione della componente dei ricercatori a cui dovrà corrispondere uno sbocco risolutivo che uno stato di diritto deve sapere garantire,facendo transitare il ruolo dei ricercatori a tempo determinato e a tempo indeterminato nel ruolo unico della docenza articolato a più livelli come avviene in tutti i paesi del mondo, assicurandone una copertura finanziaria adeguata e non attraverso la pratica mistificatoria di una transizione a costo zero. Una transizione che scaturisce proprio da una condizione di attesa per uno stato giuridico mai definito sin dai tempi dell’istituzione del ruolo DPR 382/80, come già del resto sottolineato dal CUN nell’adunanza del 5/11/2009. Siamo consapevoli che circa il 40% dell’offerta formativa degli atenei italiani è ricoperta dai ricercatori ai quali le facoltà sopperendo alla carenza di professori di ruolo conferiscono insegnamenti universitari per affidamenti e supplenze in gran parte a titolo gratuito. I ricercatori contribuiscono con questo carico non solo alla sopravvivenza stessa di interi corsi di laurea, ma anche agli indicatori della didattica delle quote premiali di FFO degli Atenei. Negli ultimi anni è stato disatteso anche quanto previsto dalla legge 230 del 2005 art.1 comma C la quale prevedeva che una quota dei giudizi di idoneità di II fascia fosse riservata ai ricercatori confermati con almeno tre anni di insegnamento. Nei prossimi anni un numero sostanziale di professori di I e II fascia collocati in quiescenza libererà una notevole disponibilità di risorse per la copertura di un significativo numero di corsi universitari. A fronte di tale situazione di grave precarietà il legislatore, dimostrando una propria incapacità culturale a percepire la storia degli anni recenti dell’università italiana, non trova altra soluzione alle questioni sollevate dai ricercatori se non quello di metterne ad esaurimento il ruolo. Ne tantomeno le procedure proposte dal DDL sono sufficienti a garantire la progressione di carriera anche per quei ricercatori che hanno già titoli didattici e scientifici per accedere alla II fascia della docenza. Ma sono proprio le misure finanziarie adottate attraverso il D.L. 78 del 2010 che si riflettono sul comparto universitario ad essere fortemente penalizzanti per la nuova fascia generazionale di docenza e dei giovani ricercatori. Tali misure che comportano il blocco della progressione stipendiale per il prossimo triennio si rivolgono sia al personale a tempo pieno che a quello a tempo parziale. La manovra va denunciata non per mere rivendicazioni di” categoria” di tipo monetario ma proprio perché contraddice la presunta mission innovativa del disegno “Gelmini”. La manovra colpisce indifferentemente gli atenei con i conti in ordine e quelli con gravi problemi di contabilità interna. In tale modo si comprende come i principi della valutazione, della rendicontazione più volte invocati dal legislatore siano completamente disattesi rivelando il disegno di una sostanziale mistificazione anche nei confronti di una società civile chiamata a difesa di una meritocrazia di carattere meramente ideologico e strumentalmente utilizzata per montare l’onda denigratoria e irresponsabile nei confronti dell’attuale comparto dell’università pubblica. L’aspetto più critico della manovra è che il prelievo forzoso degli stipendi dei docenti e dei ricercatori contribuirà al finanziamento ordinario dell’amministrazione universitaria. Tutto ciò si colloca nella configurazione da parte del legislatore di una vera e propria” programmazione parallela “ a quella ordinaria prevista dalla legge n.43 del 2005 rispetto alla quale intende correggere l’approccio decentrato. Ne consegue che gli interventi appaiono privi del necessario coordinamento e in parziale contraddizione tra di loro con riferimento sia al metodo, ai contenuti dispositivi e alle fonti di finanziamento. In effetti mentre la programmazione ordinaria sceglie apparentemente proprio un approccio decentrato, essa di fatto è eterodiretta sin dalla legge finanziaria del 2008 da una programmazione dirigistica mediante il controllo diretto e preventivo della spesa e del suo impiego. Significativa a riguardo è la previsione secondo la quale verifica e monitoraggio della programmazione disposti dal ministro dell’università avvengono di intesa con il ministro delle finanze. In merito al sostegno finanziario per la realizzazione degli obiettivi, se la programmazione ordinaria interviene attraverso l’erogazione delle risorse del fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario ( FSU), “quella parallela “ agisce attraverso l’integrazione depauperativa del FFO(fondo di finanziamento ordinario) che dovrebbe avere una consolidata funzione gestionale corrente e non strategica. Tale contraddittorietà di tagli finanziari indiscriminati dà ulteriore precarietà ed incertezza per il futuro proprio alla componente più debole della filiera formativa quale quella dei ricercatori. In questo scenario la nostra solidarietà non è di facciata ma diventa piattaforma politica condivisa che dovrà dare dignità e visibilità alle aspirazioni di un’intera categoria di operatori che da tempo rivendica l’affermazione di un proprio stato giuridico e che per noi ancora rappresenta la certezza di un futuro di crescita dell’intera università italiana.

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