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    Longo "Sinistre ancorate al presente sempre piu' conservatrici"

     

     

    Longo "Sinistre ancorate al presente sempre piu' conservatrici"

    02 mag 11 "Da qualche anno le democrazie hanno smarrito un elemento fondamentale della vita individuale e politica: il futuro. Oggi ci troviamo immersi in un presente allargato e senza limiti. La parola futuro è sostituita da una parola più neutra, prospettiva". Così in una nota l'ex assessore all'ambiente del Comune di Cosenza, Ortensio Longo. "Tutto diventa imprevedibile -aggiunge Longo-, terrorizzante, impossibile da meditare, progettare. La molla che aveva spinto Ulisse a superare le colonne d'Ercole perché “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”, non anima più il modo di abitare la terra. Senza futuro il presente non è più messo a verifica e diviene quasi irresponsabile, vago, incapace di lasciar tracce di sé alle generazioni future. La grande debolezza della politica oggi, sembra essere la perdita del futuro. Ogni evento, ogni gesto, non includono il futuro. Il rifiuto del governo italiano di rinunciare definitivamente al nucleare, la miopia con cui si affrontano in Europa le difficoltà dell'immigrazione senza qualsiasi pensiero sulle evoluzioni demografiche, sono due esempi di cancellazione del futuro. Le sinistre che per anni hanno subito l'incanto delle ideologie totalitarie che trasportavano l'umanità verso un futuro prefissato e poco preoccupato delle esigenze, dei bisogni, dei pensieri, si sentono, oggi, paralizzate, incollate al presente e ci appaiono conservatrici. Possiamo affermare tutto tranne che le società, la politica e l'economia siano orientate verso il futuro. Nel nostro Paese il bene privato o partitico ha conquistato tutto lo spazio, sostituendosi al bene pubblico. Il sentimento ha vinto sulla ragione. I rapporti presentati negli ultimi anni dal Censis e dall'Eurispes confermano come la nostra società appaia sempre più ripiegata su se stessa, senza una autentica capacità progettuale. Anche se viviamo in un'epoca in cui i mutamenti stanno diventando sempre più rapidi (negli ecosistemi per i nostri sciagurati interventi, mutamenti nel sottosistema economico e produttivo da noi stessi creato), vi è un'estrema necessità di individuare percorsi possibili e alternativi del nostro futuro. E' fondamentale, quindi, che la politica e l'economia si pongano orizzonti temporali vasti e siano in grado di costruire scenari percorribili. E' necessario avere donne, uomini, comunità, città, province, regioni, Stati, capaci di futuro. Hans Jonas nel “Il Principio di responsabilità” scriveva che il servitore dello Stato non ha da coltivare speranze utopiche, e tantomeno speranze rivoluzionarie. Suo compito è pensare agli effetti nel lungo periodo delle proprie azioni, a come verranno tradotte in pratica, a come potranno essere utilizzate dai governi e dalle generazioni che succederanno ai governi e alle generazioni presenti. La sua responsabilità è per l'oggi e per il domani. E per questo futuro dovrà trepidare e temere, perché le persone che lo subiranno non sono gli odierni coetanei o compagni di partito, ma ancora devono venire e ancora non ci parlano in maniera distinta. La responsabilità per il futuro ha cominciato a farsi strada sui temi dell'ecologia, negli anni '70, per includere ai giorni d'oggi l'arte stessa del governare. L'ecologia politica si riappropria del tempo, sottraendolo alle ideologie, e dà vita a quel che viene chiamato principio di precauzione, sotto la cui guida si fanno le riforme, pensando agli effetti che esse avranno sul lungo periodo. Si avranno buoni effetti se esse sono adottate non in vista del tornaconto dei partiti che sono al potere, ma pensando a chi verrà dopo e all'obbligo civile di non ostacolare il futuro agire dei governi. Un antico proverbio africano ci ricorda che: “Noi non ereditiamo la terra dai nostri antenati, ma la prendiamo in prestito dai nostri figli”. Governare, dunque, in maniera tale che i governi successivi possano continuare a edificare senza distruggere, ancora una volta, il presente. Vedere se stessi come forza politica che governa e riforma in maniera preveggente, non che comanda soltanto. Che sa di essere inevitabilmente peritura, perché in democrazia i governanti sono licenziati quando non adempiono il loro dovere o quando non dicono la verità sugli effetti delle proprie riforme. E' quello che gli ecologisti ripetono da anni e che le classi politiche faticano ad imparare, e che il nostro attuale governo sembra aver dimenticato. Tuttavia agli ecologisti, ai verdi, viene spesso rimproverato di essere dei sognatori e degli idealisti e ciò non va molto d'accordo con la politica reale, perché, parafrasando Baudelaire, le loro ali da giganti impediscono loro di camminare. La situazione fa pensare a don Chisciotte, ma è dovuta, invece, a un sentimento profondo di responsabilità personale per il mondo. Gli ecologisti immaginano una politica il cui scopo è quello di creare delle condizioni di esistenza sopportabili e umane piuttosto che un profitto immediato o la realizzazione di questo o quel postulato ideologico. Credono in una politica i cui responsabili cercano di rispettare degli interessi comuni e durevoli piuttosto che degli interessi privati e immediati. Una politica che nasce dal sentimento che nessuno di noi, in quanto individuo, salverà da solo il mondo intero, ma deve comportarsi come se fosse nelle sue possibilità. Seguire questa via esige una pazienza infinita, una convinzione profonda, una solidità sicura, un grande spirito di sacrificio e un incessante coraggio. A Cosenza i verdi hanno scelto di far parte della coalizione guidata da Enzo Paolini, politico fortemente etico che risponde alla sete di trasparenza e verità degli elettori. E se si viene chiamati a partecipare al Programma elettorale e si rilevano punti in comune come il superamento delle divisioni, la difesa del lavoro, la rinascita culturale della città da troppo tempo avvilita, la difesa dell' acqua pubblica, il no al nucleare e l'utilizzo delle rinnovabili, ecc. come si fa a non unirsi?

     

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