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      Blitz PS contro 'ndrangheta in tutta Italia, oltre 100 misure

       

       

      Blitz PS contro 'ndrangheta in tutta Italia, oltre 100 misure

      16 nov 21 Un blitz della Polizia è in corso in diverse regioni italiane contro presunti appartenenti alla cosca Molè, una delle storiche famiglie di 'Ndrangheta: sono oltre cento le misure cautelari chieste e ottenute da tre procure distrettuali antimafia, quelle di Milano, Firenze e Reggio Calabria. Al centro dell'indagine, nel corso della quale è stata sequestrata anche una tonnellata di cocaina proveniente dal Sudamerica, la cosca della Piana di Gioia Tauro, le sue ramificazioni in Lombardia e Toscana e le proiezioni all'estero. Gruppi che, seppur dotati di una certa autonoma, operavano in stretta sinergia. I reati contestati agli indagati sono, a vario titolo, associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, autoriciclaggio, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, produzione, traffico e cessione di sostanze stupefacenti, usura, bancarotta fraudolenta, frode fiscale e corruzione. A condurre le indagini sono state le squadre mobili di Reggio Calabria, Milano, Firenze e Livorno, coordinate dal Servizio centrale operativo della Polizia. Al filone milanese dell'inchiesta ha lavorato anche il Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Como.

      In Lombardia sequestrata azienda

      C'è anche una azienda del Comasco che opera nel settore logistico tra i beni per un valore complessivo di 2.2 milioni di euro sequestrati oggi in Lombardia nel blitz della Polizia e della Guardia di Finanza in diverse regioni italiane contro presunti appartenenti alla cosca Molè, una delle storiche famiglie di 'Ndrangheta, che ha portato a 100 misure cautelari, di cui 54 fermi. Nell'operazione, coordinata dalle Dda di Milano, Firenze e Reggio Calabria, sono stati sequestrati anche immobili e conti correnti. Per l'azienda è stata emessa una misura di prevenzione ed è già stato nominato un amministratore giudiziario. L'indagine che ha portato ai 54 fermi in Lombardia da parte della polizia e della guardia di finanza, spiega un comunicato congiunto predisposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, ha permesso di ricostruire 15 anni di presenza della 'ndrangheta nell'area fra le province di Como e Varese fino alla Svizzera, una storia che può essere suddivisa in tre fasi. Dal 2007 al 2010 ci sono state numerose estorsioni nei confronti di imprenditori locali. Nel lungo periodo fra il 2010 e il 2019 alle estorsioni si sono aggiunti il controllo e la gestione economica di appalti importanti per servizio di pulizia di grandi imprese grazie alla collusione di un imprenditore dalla "faccia pulita" che era formalmente il titolare di cooperative del settore con cui era stato realizzato un sistema di frode per evadere le tasse e finanziare la criminalità organizzata. Il sistema di frode è stato in parte scardinato con alcuni arresti e questo a portato dal 2018 alla ripresa "su larga scala" delle estorsioni. La 'ndrangheta non si è però infiltrata solo nel settore delle pulizie. Ci sono "gravi indizi" che sia arrivata a coinvolgere trasporti per conto terzi, il facchinaggio. Nel caso della ristorazione, c'è l'esempio di un ristorante milanese in un punto panoramico, gestito da una società riconducibile agli indagati, dichiarato fallito "per aver sistematicamente omesso il versamento delle imposte". E "in via indiziaria" sono accusati di aver usato estorsioni e violenza e di illecita concorrenza per gestire dei subappalti di una storica società lombarda del settore delle bevande, connessa alla logistica. Questa 'ndrangheta "2.0' non aveva però abbandonato i vecchi affari come quello del traffico di droga con un occhio alla Svizzera e in particolare al cantone di San Gallo, che era "una vera base logistica" per alcuni degli indagati che ci stavano stabilmente e avevano iniziato a ramificarsi per costruire ramificazioni locali, un filone d'indagine per cui autorità giudiziaria italiana e Ministero Pubblico svizzero hanno creato una squadra investigativa comune. E il coordinamento investigativo fra polizie giudiziarie e Dda di Milano e Reggio Calabria ha confermato "la struttura unitaria della 'ndrangheta" confermando il legame fra i 'locali' lombardi e calabresi e il "rilevante ruolo di Milano e della Lombardia" negli interessi della criminalità organizzata al Nord.

      Spumador parte offesa

      C'è una azienda del calibro di Spumador, società del Comasco e nota per la produzione di bevande gassate, come parte offesa nel filone dell'indagine coordinata dalla Dda di Milano che ha portato a 54 fermi tra la Lombardia e la Svizzera e che fa parte di una operazione più vasta contro la 'Ndrangheta con un centinaio di misure cautelari notificate in tutta Italia. Da quanto è stato spiegato stamane in una conferenza stampa indetta dal procuratore facente funzione milanese Riccardo Targetti, Sea Trasporti di Mozzate (Como), ora sequestrata in base a un provvedimento emesso dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale in quanto infiltrata, ha fornito servizi a Spumador. Nella trance dell'inchiesta milanese, in cui è stato scoperto un traffico di droga verso la Svizzera e di armi dalla Svizzera in Italia, emerge anche che tra gli affari della "'Ndrangheta 2.0", ossia 'moderna', ci sono gli investimenti, come ha spiegato l'aggiunto Alessandra Dolci, nel campo della ristorazione, come quelli nella società, poi destinataria di un provvedimento interdittivo antimafia, che gestiva Unico Milano, il ristorante cima alla WJC Tower, in zona Portello.

      boss 'arriviamo a casa come le raccomandate'

      "Noi siamo come le raccomandate, arriviamo direttamente a casa": così ha detto intercettata una delle persone finite in carcere oggi nel blitz contro la 'Ndrangheta, coordinato dalla Procura di Milano Firenze e Reggio Calabria. La frase che mostra "minaccia e autorevolezza" è stata citata durante la conferenza stampa indetta a Milano per spiegare il carattere di "arcaicità e modernità della 'Ndrangheta", con imprenditori, come ha spiegato il procuratore facente funzioni Riccardo Targetti, costretti a diventare "complici e a fornirei l loro know-how" sia con la permanenza degli aspetti della "tradizione" violenta delle cosche. L'inchiesta, ha detto Targetti, ha messo in luce anche "un traffico di droga dall'Italia alla Svizzera e di armi dalla Svizzera all'Italia", oltre al quadro di "imprenditori vittime di estorsioni", anche da 300-400mila euro, "e usura", finiti nel "terreno di caccia" della 'ndrangheta e che "per uscire dalla 'macchina infernale' si sono resi complici con il loro contribuito di know how". Un sistema che ha permesso di "mettere in piedi decine di cooperative nei settori delle pulizie, del facchinaggio e del trasporto". E di creare "ricchezze illegali" col meccanismo delle "fatture false, con l'omissione del pagamento delle imposte per milioni e milioni di euro sottratti al Fisco, all'Ue e all'Inps e che drogano l'economia e si pongono in maniera concorrenziale contro gli imprenditori onesti". Un'inchiesta che, come precisato dall'aggiunto Dolci, è la "rappresentazione plastica della 'ndrangheta, misto di arcaicità e modernità, di 'mangiate', doti e cariche, mimetizzazione, propaggini svizzere per l'espansione all'estero e mediazioni mafiose richieste dagli imprenditori". I clan, ha spiegato ancora, "hanno sostituito le mazzette con i proventi dell'evasione fiscale". E' in una riunione del 2010 a Gioia Tauro che si decise che andava "creato un sistema di cooperative per lucrare sui servizi di pulizie, facchinaggio e di inserirsi su un monopolista di servizi logistici che operava per conto di una grossa impresa nel settore del beverage", ossia la Spumador. I dipendenti hanno parlato di "15 anni di soprusi e minacce" dalle cosche, che volevano "indirizzare le commesse di trasporti" delle bevande. E uno di loro ha riferito "di essersi dimesso perché stanco delle continue violenze e minacce".

      13 in carcere per traffico 'coca' porto Livorno

      Ha portato all'emissione di 13 misure di custodia cautelare in carcere e a un obbligo di dimora nel Comune di Livorno, l'operazione della Dda di Firenze, condotta dalle squadre mobili di Firenze e Livorno, che ha sgominato un'organizzazione criminale finalizzata al traffico di cocaina proveniente dal Sud America e legata a due cosche di 'ndrangheta. Tra i destinatari delle misure, è stato riferito in una conferenza stampa alla procura di Firenze, anche alcuni soggetti che lavoravano nel porto di Livorno dove nel corso delle indagini sono stati sequestrati 430 chili di cocaina. Destinatari degli arresti anche soggetti ritenuti espressione di due cosche calabresi, un presunto broker che faceva da raccordo tra gli esponenti delle 'ndrine e altri complici in ambito nazionale e internazionale più un dipendente dell'amministrazione civile del ministero dell'Interno che avrebbe falsificato passaporti per alcuni latitanti.

      In carcere 3 portuali Livorno complici cosche

      Tre portuali di Livorno fanno parte degli arrestati in carcere oggi nell'ambito dell'inchiesta della Dda di Firenze contro il traffico di droga dal Sudamerica coordinato da cosche di 'ndrangheta: i tre avrebbero avuto proprio il compito di facilitare l'accesso dei criminali calabresi al porto toscano, sia per verificare l'arrivo dei carichi di cocaina sia per portare i carichi fuori dallo scalo. Inoltre un altro livornese, che invece il gip ha sottoposto a obbligo di dimora, avrebbe avuto il compito logistico di fornire appartamenti per le necessità di soggiorno degli 'ndranghetisti in trasferta a Livorno quando dovevano sovrintendere ai trasporti di cocaina. E' quanto emerge dall'inchiesta della Dda illustrata in una conferenza stampa alla procura di Firenze con 13 arrestati in carcere e un obbligo di dimora. Le indagini sono partite nei primi mesi del 2019, quando è stata segnalata la presenza a Livorno di presunti esponenti di vertice delle 'ndrine calabresi. Secondo quanto spiegato dalla polizia, alcuni precedenti sequestri di coca fatti nel porto di Gioia Tauro avevano indotto alcune cosche, in particolare la cosca Molè, a reindirizzare il traffico di stupefacenti verso i porti di Livorno e Vado Ligure (Savona). L'organizzazione criminale, specializzata nell'importazione di cocaina, poteva contare anche su aderenti stanziati in Olanda e in Sud America. Nel marzo del 2019 le indagini scoprirono un fallito tentativo di recupero di droga, che non era arrivata a destinazione, da un container contenente crostacei. Il 7 novembre 2019 gli investigatori hanno sequestrato nel porto di Livorno 266 panetti di cocaina, per un valore di 15 milioni di euro, contrassegnati col marchio H, in un container di legname. Il giorno dopo sempre nel porto sono stati sequestrati altri 164 panetti per in totale di 430 chili di cocaina. Nel gennaio del 2020 altri 22 chili di cocaina, prelevati da un presunto broker, sono stati sequestrati al porto di Vado Ligure.

      Pm Milano a 'società', non scherzare con fuoco

      "La criminalità organizzata non è un fenomeno incentrato solo in certe regioni, qua ha più difficoltà a prendere il controllo, anche politico, ma rischia di arrivare a prenderlo, se non si alza la soglia di allerta". E' l'appello alla "società civile" lanciato dal procuratore facente funzione della Procura di Milano Riccardo Targetti nel corso della conferenza stampa per illustrare il maxi blitz contro la 'ndrangheta che sta "inquinando" il tessuto economico lombardo. Per Targetti "chi si avvicina a questo mondo, per difficoltà o per timore nell'illusione di guadagnare migliori condizioni, deve sapere che sta giocando col fuoco". Agli atti dell'inchiesta anche un'intercettazione nella quale si sente uno degli indagati affiliato al clan che si presenta in un'abitazione per un recupero crediti e "il povero malcapitato", come spiegato dai pm, "dice 'mi fa vedere il tesserino?' e quello risponde 'il tesserino sono io!'". A dimostrazione della "tracotanza" della 'ndrangheta. Molte delle persone fermate oggi erano già state condannate in passato per associazione mafiosa e un indagato, uscito dal carcere, intercettato diceva: "Io sono uscito con gli stessi principi con cui sono entrato". Nell'ambito delle indagini, come chiarito dal pm Addesso, "5 consorzi e 28 cooperative sono state dichiarate fallite su istanza" della Procura. Indagine che ha mostrato la "acquisizione di fatto di società" le cui ricchezze "venivano drenate con condotte distrattive ed estorsive".

      Indagato anche ex sindaco del Comasco

      Nel filone lombardo della maxi inchiesta, coordinata dalle Dda di Milano, Reggio Calabria e Firenze, contro la cosca Molè della 'ndrangheta risultano indagati anche l'ex sindaco di Lomazzo (Como) Marino Carugati e anche un ex assessore della giunta che era guidata dal primo cittadino, entrambi, tra l'altro, già condannati per bancarotta. Lo ha precisato il procuratore aggiunto della Dda milanese Alessandra Dolci nella conferenza stampa in Procura a Milano. Dolci ha messo in luce i "rapporti" tra il clan, attivo in Lombardia soprattutto tra le province di Varese e Como, e "ex pubblici amministratori", ossia i due indagati. Stando a quanto spiegato dagli inquirenti nel corso della conferenza stampa in Procura a Milano, per descrivere i dettagli dell'inchiesta 'cavalli di razza' condotta per il filone lombardo dalla Squadra mobile milanese e dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Como, l'ex sindaco Carugati e l'ex assessore di Lomazzo Cesare Pravisano, avrebbero preso parte anche ad una "riunione" degli uomini del clan Molè a Gioia Tauro nel 2010. In quella riunione, come chiarito dal pm Pasquale Addesso, si sedettero al tavolo anche alcuni "imprenditori estorti" e accettarono "di fare entrare la 'ndrangheta a cui interessava investire". Nel 2019 Carugati, 79 anni, e Pravisano, ex funzionario di banca, erano stati arrestati (e poi condannati) in un'inchiesta della Procura di Como su un 'sistema di bancarotte' sempre con l'ombra della 'ndrangheta.

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