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    Sequestro beni a imprenditore vicino cosche vibonese, sigilli a impresa e 27 immobili

     

    Sequestro beni a imprenditore vicino cosche vibonese, sigilli a impresa e 27 immobili

    12 mag 17 Quattro imprese commerciali, le rispettive quote societarie, 27 immobili, svariati rapporti finanziari e assicurativi: sono i beni, per un valore di 28 milioni, sequestrati dai finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, del Nucleo speciale polizia valutaria e del Servizio centrale investigazione sulla criminalità organizzata all'imprenditore edile Angelo Restuccia, ritenuto contiguo alle cosche di 'ndrangheta Piromalli di Gioia Tauro e Mancuso di Limbadi. Il provvedimento, emesso dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale su richiesta della Dda, si fonda sulle indagini della Finanza da cui sarebbe emerso che l'imprenditore, nonostante abbia riportato solo condanne piccoli reati e risalenti nel tempo, avrebbe avviato ed accresciuto le proprie attività grazie agli appoggi dei Piromalli e dei Mancuso. Tale rapporto, risalente ai primi anni Ottanta, secondo l'accusa, avrebbe consentito all'imprenditore di prosperare e, nel contempo, avrebbe favorito gli interessi delle cosche. La figura di Restuccia è emersa nell'ambito dell'operazione "Bucefalo", condotta dai finanzieri e conclusasi, nel 2015, con l'esecuzione di provvedimenti cautelari personali e patrimoniali nei confronti di 11 persone tra le quali l'imprenditore Alfonso Annunziata, di 74 anni. In quella inchiesta, secondo gli investigatori, era emerso lo storico legame tra quest'ultimo ed i componenti di vertice della cosca Piromalli. Tra gli investimenti comuni indicati dagli investigatori figura la realizzazione del "Parco commerciale Annunziata" di Gioia Tauro per la realizzazione del quale, secondo l'accusa, erano state impiegate diverse imprese legate, direttamente o indirettamente, a cosche di 'ndrangheta. In questo contesto, la Restuccia costruzioni ha realizzato la struttura prefabbricata adibita a nuova sede del Parco oltre a due capannoni ed un fabbricato. Le investigazioni svolte, corroborate dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, avrebbero inoltre consentito di appurare come "..don Angelo Restuccia .." non solo conoscesse da tempo i vertici della cosca Mancuso, ma li frequentasse e si rapportasse con loro. Restuccia, quindi, per i magistrati della Dda di Reggio Calabria e gli investigatori della Guardia di finanza, è un esempio emblematico di "imprenditore mafioso", che ha instaurato con la 'ndrangheta, tanto reggina quanto vibonese, un rapporto interattivo fondato su legami personali di fedeltà e orientato ad un vantaggio economico. I finanzieri hanno poi evidenziato la sproporzione tra i redditi ed il patrimonio accumulato. Da qui la richiesta di sequestro avanzata dalla Dda reggina ed accolta dal Tribunale.

    --- Video Guarda il video del sequestro dei beni

    De Raho: Impermeabilità comincia a vacillare. "Pur non avendo finora subito alcun procedimento penale, Angelo Restuccia era cresciuto come imprenditore edile sotto l'ombra dei Piromalli-Mancuso". Lo ha detto il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho commentando l'operazione 'U patri nostru' che ha portato al sequestro di beni all'imprenditore per 28 milioni di euro. "Il sequestro - ha continuato - è frutto di un lavoro approfondito svolto dalla finanza che ha permesso alla sezione Misure di prevenzione del Tribunale, nonostante il permanere dell'insufficienza degli organici, di varare il provvedimento. É un'indagine basata non solo sulle intercettazioni, ma anche sull'apporto di alcuni testimoni di giustizia, segnale questo che dimostra come l'impermeabilità della 'ndrangheta comincia a vacillare". Secondo quanto accertato dallo Scico, Restuccia sarebbe scampato ad un agguato mortale voluto dal clan Molè, grazie all'intervento diretto di Antonio Piromalli, figlio di 'don' Pino, durante i lavori di realizzazione del centro commerciale "Annunziata". "La presenza costante del Piromalli sul cantiere del Restuccia - ha rilevato il vicecomandante nazionale dello Scico, col. Alessandro Cavalli - è stato come uno scudo di salvaguardia a protezione dell'imprenditore". "Con Restuccia - ha sottolineato il procuratore aggiunto Gaetano Paci - si delinea la figura dell'imprenditore strumentale, ovvero del 'patri nostru', di colui che poteva lavorare senza rischi di intimidazione in tutta la Piana e nel vibonese perché prima di aprire un cantiere chiedeva permesso ai Piromalli e ai Mancuso, pagando il 'dovuto'. Un atteggiamento che consentiva a Restuccia, quasi in regime di monopolio, di partecipare ad ogni gara d'appalto, e dall'altra, di esercitare una forte interdizione intimidatoria nei confronti di altri imprenditori falsando così l'economia e le regole del mercato". "Le indagini per noi - ha detto il comandante regionale delle Fiamme gialle, gen. Gianluigi Miglioli - non si concludono mai con gli arresti. Continuiamo a lavorare fino a scoprire il 'malloppo', le ricchezze illecite accumulate da mafiosi o imprenditori collusi. Solo per citare un dato, nella sola Piana di Gioia Tauro, a oggi, sono stati accertati e sequestrati 649 milioni di euro di ricchezza illecita". Per il comandante provinciale della finanza, Alessandro Barbera, neo-promosso generale di brigata e dal prossimo agosto destinato al comando generale dello Scico, "è in crescita il numero di coloro che non sopportano le angherie della 'ndrangheta e cominciano a testimoniare nelle aule di giustizia. Angelo Restuccia è un imprenditore 'a disposizione' che ha accumulato ingenti ricchezze personali, una figura come tante in Calabria che vanno non solo recise, ma estirpate per bonificare il terreno in profondità". "Nel corso delle perquisizioni - ha detto il comandante della sezione Tributaria, gen. Giovanni Padula - abbiamo rinvenuto e sequestrato molto denaro in contante. Migliaia e migliaia di euro di non giustificata provenienza. Come circola questo danaro? Voglio ricordare qualche dato: su 13 province a maggiore rischio riciclaggio, 4 sono in Calabria. Una situazione a massimo rischio dovuta anche allo scarso apporto investigativo fornito da banche e liberi professionisti, come notai e commercialisti"

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