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    Al via processo Aemilia, pentito racconta di patto politico

     

     

    Al via processo Aemilia, pentito racconta di patto politico

    23 mar 16 Nel giorno in cui nell'aula speciale allestita a Reggio Emilia si apre il dibattimento di 'Aemilia', le prime dichiarazioni del primo collaboratore di giustizia dell'indagine sulla 'Ndrangheta in regione confermano e rafforzano le tesi dell'accusa. Giuseppe Giglio, detto 'Pino', imprenditore crotonese di 49 anni, da oltre un anno in carcere perché ritenuto uno dei motori organizzativi dell'associazione mafiosa individuata dalla Dda di Bologna, ha raccontato che gli esponenti delle cosche hanno tentato nel 2012 un patto con la politica, nella persona del consigliere comunale di Fi a Reggio Emilia, Giuseppe Pagliani. E ha parlato di un gruppo 'emiliano' di affiliati alla 'Ndrangheta, con un'autonomia, seppur legato al boss di Cutro Nicolino Grande Aracri. Lo rivelano i primi verbali depositati, ma Giglio potrebbe aggiungere molto altro ben presto e potrà tornare sui concetti visto che è stato indicato dall'accusa tra i possibili testimoni del dibattimento. Processo di criminalità organizzata con 147 imputati e dal grande valore simbolico, come ha testimoniato la presenza nella prima udienza di Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, parte civile. Sulle parole messe a verbale da Giglio è intervenuto, con una dichiarazione scritta, il legale di Pagliani, l'avvocato Alessandro Sivelli, dicendosi "esterefatto" per la loro pubblicazione. "Ancora una volta - ha argomentato - si è deciso di celebrare il processo sulla stampa anziché nelle aule del Tribunale. Non mi era mai accaduto che dopo che l'accusa e la difesa hanno svolto le proprie conclusioni e si sono lealmente confrontate sul materiale probatorio utilizzabile venga inviato (da chi?) alla stampa un verbale di dichiarazioni che non fa parte degli atti e che la difesa non conosce; verbale che contiene dichiarazioni rese non in contradditorio, da un soggetto che conosceva gli atti di indagine e che aveva evidentemente tutto l'interesse a compiacere ai Pubblici Ministeri". In aula, a parte l'appello dei presenti e lo 'show' di un imputato, allontanato dai giudici quando ha iniziato ad urlare frasi su Delrio e il terrorismo, è successo poco. Si entrerà nel vivo più avanti: tra gli imputati, Vincenzo Iaquinta e il padre, l'imprenditore Augusto Bianchini, Michele Bolognino, considerato uno dei vertici del gruppo, e 34 accusati di associazione mafiosa. Il processo sarà a porte aperte e impegnerà il tribunale per mesi. Ma il cuore dell'inchiesta dei Pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi sarà in realtà giudicato ben prima: quasi tutti i capi del sodalizio e diversi concorrenti esterni, tra cui Pagliani, hanno optato per l'abbreviato, che si dovrebbe concludere entro aprile a Bologna. Dove c'è anche Giglio, per cui la Procura ha chiesto una condanna a 20 anni. La decisione di pentirsi è arrivata poco più di un mese fa e subito ha avuto accesso al programma per i collaboratori e a futuri, eventuali, benefici. Ora le sue parole irrompono sulla scena. Fu Alfonso Diletto, personaggio vicino a Grande Aracri, a raccontare a Giglio di una riunione nel 2012, a cui l'imprenditore non partecipò. Diletto, ha riferito Giglio, gli disse: "Abbiamo la possibilità perché abbiamo fatto un patto con il politico Pagliani che ci darà del lavoro. In cambio noi gli dobbiamo trovare dei voti" e finanziamenti. "Questo - ha spiegato Giglio - era tutto, l'accordo e il patto politico, diciamo, che c'è stato". Ma poi non si concretizzò. Giglio, in quasi 300 pagine di verbali, con 'omissis' quando si inizia a parlare di appalti pubblici, ha ricostruito la struttura e i capi degli 'emiliani'. Ha fatto i nomi dei capi, già messi a fuoco dall'inchiesta: Nicolino Sarcone, Alfonso Diletto, Francesco Lamanna, Antonio Gualtieri, Gaetano Blasco e Antonio Valerio. Affiliati formalmente alla 'Ndrangheta, per Giglio: che lo seppe da Blasco, uno di quelli che fu intercettato mentre rideva al telefono parlando del Sisma del 2012. "Li chiamava fratelli", ha ricordato il pentito, definendosi non un 'battezzato', ma "un punto grosso di riferimento" per la sua esperienza con le fatturazioni. 'Loro' gestivano le operazioni al nord, con una propria autonomia, conferma Giglio. Ma mantenevano un rapporto con Grande Aracri: gli portavano i soldi in contanti in Calabria, usavano il suo nome per accreditarsi al nord.

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