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    Latitante dal 2009 catturato dai CC a Melicuccà

     

    Latitante dal 2009 catturato dai CC a Melicuccà

    20 nov 15 Un latitante ricercato dal 2009, Paolo Alvaro, 50 anni, è stato arrestato a Melicuccà dai carabinieri del Reparto operativo del Comando provinciale di Reggio Calabria insieme a quelli dello Squadrone Cacciatori Calabria e della Compagnia di Palmi, dopo essere stato scoperto in un bunker sotterraneo realizzato in un capannone attiguo alla sua abitazione. L'uomo, ritenuto affiliato all'omonima cosca, detta "carni i cani", era sfuggito all'arresto in occasione dell'operazione Virus.

    --- Video Guarda il video degli arresti e del bunker

    Alvaro era ricercato in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Reggio Calabria su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, per associazione mafiosa, procurata inosservanza di pena e riciclaggio. L'uomo è stato individuato all'interno di un bunker in muratura di circa 15 metri quadri al quale si accedeva tramite una botola scorrevole su binari, ricavato nel pavimento di un capannone adibito a rimessa attiguo alla sua abitazione. Alvaro è ritenuto responsabile di aver fatto parte della cosca omonima, attiva a Sinopoli, Sant'Eufemia d'Aspromonte, Cosoleto, Villa San Giovanni, Reggio Calabria e altri comuni della Piana di Gioia Tauro, con ramificazioni a Roma e Torino, e dedita al conseguimento di ingiusti profitti e vantaggi attraverso il controllo del territorio e delle relative attività economiche e produttive. Inoltre, insieme al padre Domenico, Paolo Alvaro si sarebbe prodigato per assicurare la latitanza del capo cosca Carmine Alvaro, fornendogli supporto logistico, rapportandosi con lo stesso per diramare i suoi ordini agli associati e per il compimento delle attività della cosca. In particolare, secondo l'accusa, ha messo a disposizione del boss la propria masseria in contrada Caracciolo, nel comune di Melicuccà, dove il latitante aveva trovato rifugio e base logistica e che utilizzava per incontrarsi con gli altri associati per la gestione degli affari della 'ndrina. Incontri ai quali partecipava lo stesso Paolo Alvaro che avrebbe svolto anche funzioni di vigilanza in favore del capocosca latitante e avrebbe fatto da tramite tra il boss e gli altri associati, in particolare per la gestione delle operazioni di riciclaggio di valuta estera.

    Dal bunker controllava gli affari. Dal suo bunker sotterraneo, Paolo Alvaro, il latitante arrestato dai carabinieri, "continuava a tessere le sue attività malavitose tenendo contatti con quella che può essere considerata come la 'galassia' denominata cosca Alvaro". A dirlo è stato il t.col. Vincenzo Franzese, comandante del Reparto operativo del Comando provinciale carabinieri di Reggio Calabria incontrando i giornalisti per illustrare i risultati dell'operazione. Il gruppo di abitazioni dove risiedono l'arrestato, i due fratelli, i genitori e una sorella, hanno spiegato gli investigatori, è al centro di un folto uliveto, raggiungibile soltanto da un'unica strada. "Ogni tentativo di arrivare per i controlli nei pressi di quelle abitazioni - ha detto Franzese - non poteva non essere notato dal ricercato o dai suoi familiari. Grazie alle particolari abilità dello squadrone Cacciatori è stato possibile arrestarlo". Paolo Alvaro è figlio di Domenico, 78 anni, detto "u rizzu", zio del presunto boss Carmine Alvaro. Secondo i carabinieri, ha trascorso i sei anni di latitanza all'interno di quello che è stato definito come una sorta di 'compound' abitato interamente dai suoi familiari, in contrada Saraponnica, nelle campagne di Melicuccà, nella Piana di Gioia Tauro. Al momento dell'arresto Alvaro era disarmato, non ha opposto resistenza e si è detto sorpreso per la presenza dei militari in quel luogo. All'interno del bunker sono stati trovati numerosi libri e materiale per scrivere che è al vaglio degli inquirenti. Paolo Alvaro è stato condannato in secondo grado a sei anni e otto mesi di reclusione, per associazione mafiosa, riciclaggio e procurata inosservanza della pena, nell'ambito dell'inchiesta "Virus", coordinata dalla Procura distrettuale di Reggio Calabria, relativa al riciclaggio di ingenti somme di denaro in Paesi dell'est europeo.

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