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    Cassazione conferma condanna a ex dirigente scolastico

     

     

    Cassazione conferma condanna a ex dirigente scolastico

    14 nov 15 Venerdì 13 novembre la suprema Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna dell'ex dirigente scolastico, Catanzaro Pietro, a due anni di reclusione e interdizione dai pubblici uffici per concussione finalizzata all'ottenimento di favori sessuali (mai ottenuti) da una insegnante. I fatti contestati si riferiscono a comportamenti dell'ex preside posti in essere durante l'anno scolastico 2007/2008 quand'era in servizio presso l'istituto di Cropani (CZ). “È il segno che la giustizia esiste ancora”. Soddisfatta la parte offesa, l'insegnante Patrizia Aiello che, dopo aver saputo della sentenza della Cassazione comunicatagli dall'avvocato Natalina Raffaelli che l'ha assistita a costituirsi come parte civile anche nel terzo grado di giudizio, ha dichiarato di essere "soddisfatta" perché, ha spiegato, "la giustizia ha riconosciuto, ancora una volta, anche al terzo definitivo grado di giudizio, la completa responsabilità penale del dirigente scolastico per fatti che erano caratterizzati da una prepotenza inaudita e che, adesso, con la nuova legge buona scuola e con i relativi poteri attribuiti ai dirigenti scolastici c'è il rischio che possano diventare sempre più frequenti. Per una donna" - ha aggiunto - "è difficile denunciare molestie e richieste illegittime sul posto di lavoro, ma è possibile e, con l'esperienza personale, posso affermare che è anche un dovere morale farlo”. A dare notizia della decisione della Cassazione è il compagno, sindacalista dalla Gilda insegnanti di Catanzaro, Giuseppe Candido che, a tal proposito, ricorda come, a seguito di indagini durate oltre due anni su richiesta del Pubblico Ministero Simona Rossi, durante l'udienza preliminare del 30 aprile 2010, il GUP del tribunale di Catanzaro, dott.ssa Emma Sonni, aveva disposto il rinvio a giudizio dell'ex dirigente scolastico imputandolo di concussione (art.317 cp), tentata violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) e maltrattamenti (art.572 c.p). A poco più di un anno dal rinvio a giudizio, sentiti i testi dell'accusa e della difesa, secondo il collegio giudicante composto dalla dottoressa Mastroianni, dalla dottoressa Pezzo e dal Dott. Battaglia (Presidente), c'erano sufficienti prove per condannare l'ex preside. “Un continuo di atteggiamenti” – aveva sottolineato il Pm nella requisitoria del 30 aprile 2011 – ritenuti “inequivocabili per il raggiungimento del disegno criminoso” dal collegio giudicante di primo grado che aveva condannato il Catanzaro anche al pagamento delle spese processuali quantificate in tremila euro e a quindicimila euro di danni morali e materiali per la parte offesa. Il procedimento, ricordiamo, traeva origine dalla denuncia sporta, nel maggio 2008, dall'insegnante che "lamentava una serie di vessazioni subite dal suo dirigente, dopo averne respinto le attenzioni di natura sessuale che lo stesso aveva più volte esplicitato nei suoi confronti". Nelle motivazioni della sentenza in primo grado, ricorda ancora il sindacalista, tra le "valutazioni delle fonti di prova" rilevando "la credibilità intrinseca ed estrinseca della persona offesa" i giudici scrivevano che "Gli esiti dell'istruttoria consentono di poter affermare che il profilo personale professionale della Aiello è tale da conferire al suo narrato una credibilità soggettiva particolarmente forte". ... (E che, ndr) non si può non osservare che lo stesso (narrato, ndr) è caratterizzato da coerenza logica, precisione, genuinità e spontaneità, tenuto conto proprio delle modalità che l'hanno indotta, sia pure a distanza di tempo, a denunciare una vicenda che non riusciva a superare e che le aveva creato negli ultimi tempi una situazione di profondo disagio e malessere". "Il racconto, oltre che chiaro e lineare" - aggiungevano i Giudici nelle motivazioni alla condanna confermata in Appello e Cassazione - "è poi caratterizzato da una estrema costanza e coerenza, lungamente ribadito, nelle sue linee essenziali, nel corso di un esame testimoniale nel quale la donna non si è sottratta al fuoco incrociato delle domande e, quindi, rappresentativo di una vicenda che non può che essere il frutto, tormentato e angoscioso, di un'esperienza realmente vissuta che la Aiello non ha mancato di rappresentare in più occasioni e con diversi interlocutori, elementi che attribuiscono alla narrazione dei fatti un sicuro fondamento". Negli "elementi di riscontro testimoniali e documentali", i Giudici motivavano la condanna in primo grado nel 2011 scrivendo che vi erano "una serie di elementi oggettivi (testimoniali e documentali) che si possono assumere a conforto della versione offerta dalla persona offesa, ... fortemente confermata e corroborata dalle testimonianze ... e da circostanze di non poco conto che connotano in termini di riscontrata credibilità il racconto dell'Aiello ... ed indeboliscono la versione negatoria dell'imputato". Senza contare che, nota ancora Candido, sono i giudici a sottolineare che: "È proprio il racconto del dirigente a connotare di ulteriore credibilità le accuse formulate nei suoi confronti". E che: "La vicenda ripropone la rilevanza penale della (purtroppo ben conosciuta anche di recente) condotta di un soggetto che è posto in una posizione "privilegiata" rispetto alla vittima del reato, e che attraverso l'abuso di tale posizione richiede vantaggi indebiti ... che, nel caso di specie assume la rilevanza di fattispecie del reato di concussione così come disciplinato dell'articolo 317 cod. pen.". La condanna di primo grado, pienamente confermata nel merito dalla Corte di Appello di Catanzaro a marzo 2015, è stata adesso pienamente confermata dalla Suprema Corte di Cassazione che ha ritenuto il ricorso alla Corte dell'avvocato della difesa Pietro Funaro inammissibile e improponibile.

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