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    Suicida in casa il giudice Giusti, era ai domiciliari

     

    Suicida in casa il giudice Giusti, era ai domiciliari

    15 mar 15 L'ex gip del Tribunale di Palmi, Giancarlo Giusti, agli arresti domiciliari dopo essere stato coinvolto in due inchieste delle Dda di Milano e Catanzaro su suoi presunti rapporti con esponenti della 'ndrangheta, si è impiccato nella sua abitazione di Montepaone, il centro del Catanzarese dove viveva da alcuni mesi. Giusti, che aveva 48 anni, viveva a Montepaone da quando si era separato dalla moglie. Sul posto si trovano il pm di turno della Procura della Repubblica di Catanzaro ed i carabinieri del Comando provinciale. Secondo i primi accertamenti, Giusti viveva da solo.

    Non sono corrotto. "Sono stato leggero. Mi pento di aver infangato la toga, ma non sono un corrotto". Ha sempre rivendicato la sua innocenza Giancarlo Giusti, l'ex magistrato trovato suicida nella casa dove stava scontando i domiciliari. E lo ha fatto anche nelle ultime interviste, che aveva concesso al programma di Kluas Davi. "Non mi aspettavo una condanna della Suprema Corte così dura visto che, come hanno potuto dimostrare i miei avvocati, il mio ufficio di gip non è mai stato coinvolto in questa vicenda mai una sola volta", aveva detto subito dopo che la Suprema Corte aveva confermato la sua condanna per associazione mafiosa". E si era definito un uomo "rovinato": "non ho più un lavoro" e vivere in Calabria "non è facile. Se ce la farò, bene se no sarò uno fra i tanti che smetterà di soffrire". Finito nei guai per i suoi rapporti con Giulio Lampada, capo dell'omonima cosca della 'ndrangheta, Giusti aveva spiegato di averlo frequentato il boss ignorando il suo spessore criminale: con lui "c'era un rapporto affettivo amicale; gli volevo bene, lo consideravo una persona da abbracciare, un confidente. Mi sono sentito accettato, coccolato e risollevato. Come accertato dai processi in primo e secondo grado, nel periodo in cui lo frequentavo io, non era assolutamente identificato come esponente della 'ndrangheta". "Ho sbagliato ad accettare che mi pagasse donne e cena - aveva ammesso l'ex magistrato - ma non gli ho concesso nulla in cambio. Non risulta nessun provvedimento del mio ufficio in favore del Lampada, tantomeno sentenze aggiustate. Mai ho preso soldi da lui. Si è trattato solo di quattro cene con relative quattro donne. Questo era il modo di fare di Lampada, di testimoniare la sua amicizia. Lo faceva con tutti quelli che gli capitavano. Li è stato il mio errore". Giusti aveva anche raccontato di aver incontrato Lampada "a una manifestazione politica a Lamezia Terme dove c'erano Scopelliti, Alemanno, Quagliariello e lui in mezzo. Era seduto vicino a queste persone. Sia chiaro: sia i politici citati sia il sottoscritto non sapevamo assolutamente nulla di Lampada altrimenti non sarebbe mai stato invitato a quelle manifestazioni. Lampada era anche di casa al consiglio regionale della Lombardia ma non saprei dirle con chi avesse contatti".

    Arrestato due volte. Era stato arrestato due volte, per i suoi presunti rapporti con esponenti della 'ndrangheta, Giancarlo Giusti, l'ex magistrato morto suicida nella sua casa di Montepaone. Un primo arresto a carico di Giusti fu eseguito nel 2012 nell'ambito dell'inchiesta condotta dalla Dda di Milano sulla cosca Lampada della 'ndrangheta, attiva nel capoluogo lombardo. Dall'indagine emersero, in particolare, i presunti rapporti tra Giusti e Giulio Lampada, presunto capo dell'omonima cosca. A conclusione del processo scaturito dall'inchiesta che portò al primo arresto di Giusti l'ex magistrato fu condannato a quattro anni di reclusione. Il secondo arresto di Giancarlo Giusti, sospeso dalle funzioni dal Csm dopo il primo provvedimento restrittivo a suo carico, fu eseguito nel febbraio dello scorso anno in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip distrettuale di Catanzaro su richiesta della Dda. In questo secondo caso l'accusa a carico di Giusti fu quella di avere ricevuto 120 mila euro per favorire, nella qualità di giudice del Tribunale del riesame di Reggio Calabria, la scarcerazione di tre elementi di spicco della cosca Bellocco della 'ndrangheta. In questo secondo caso a Giusti fu contestata l'accusa di corruzione in atti giudiziari, aggravata dal metodo mafioso.

    Aveva tentato suicidio in carcere. L'ex giudice Giancarlo Giusti, suicidatosi nella sua abitazione di Montepaone, aveva già provato ad uccidersi nel settembre del 2012 nel carcere di Opera. Il primo tentativo di suicidio da parte di Giusti si verificò il giorno dopo la condanna a quattro anni di reclusione inflittagli dal Tribunale di Milano per i suoi presunti rapporti con la cosca Lampada della 'ndrangheta, attiva nel capoluogo lombardo Giusti, soccorso dalla polizia penitenziaria, era stato ricoverato in ospedale con prognosi riservata ed aveva ottenuto successivamente, a causa della sue precarie condizioni psicologiche, gli arresti domiciliari.

    Disse: Dovevo fare il mafioso. "Io dovevo fare il mafioso, non il giudice". È la frase pronunciata dall'ex giudice Giancarlo Giusti, morto suicida nella sua casa di Montepaone, nel corso di una telefonata intercettata dai magistrati della Dda di Milano, con il presunto boss della 'ndrangheta Giulio Lampada. ''Non hai capito - fu la frase pronunciata da Giusti nel corso del colloquio telefonico - chi sono io ... sono una tomba, peggio di ... ma io dovevo fare il mafioso, non il giudice''. Un altro elemento che emerse dall'inchiesta che portò all' arresto di Giusti, come scrisse il gip di Milano nell'ordinanza di custodia cautelare, fu quella che gli inquirenti definirono l'''ossessione" dell'ex giudice per il sesso, oltre che per "i divertimenti, gli affari e le conoscenze utili''. In un ''diario informatico'' tenuto da Giusti e sequestrato dai magistrati milanesi, Giglio annotava tutto cio' che faceva facendo riferimento anche ai suoi incontri a scopo sessuale. ''Venerdi' - scriveva l'ex giudice - notte brava con (...) Simona e Alessandra. Grande amore nella casa di Gregorio''.

    Sappe: Notizia drammatica, riformare pena. "Una notizia drammatica, ma sintomatica del fatto che le tensioni e le criticità nel sistema dell'esecuzione della pena in Italia sono costanti. E che a poco serve un calo parziale dei detenuti, da un anno all'altro, se non si promuovono riforme davvero strutturali nel sistema penitenziario e dell'esecuzione della pena nazionale". Lo afferma Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, commentando il suicidio dell'ex giudice del Tribunale di Palmi Giancarlo Giusti. "La Polizia penitenziaria sventò un suo tentativo di suicidio anche quand'era detenuto nel carcere di Milano Opera", ricorda Capece. E, citando un recente pronunciamento del Comitato di Bioetica sul suicidio in carcere, aggiunge: "Anche se l'atto di togliersi la vita contiene una irriducibile componente di responsabilità individuale, la responsabilità collettiva è chiamata in causa per rimuovere tutte quelle situazioni legate alla detenzione che, al di là del disagio insopprimibile della perdita della libertà, possano favorire o far precipitare la decisione di togliersi la vita. Il richiamo alla responsabilità sociale - prosegue l'esponente del Sappe - è rafforzato dalla considerazione della particolare vulnerabilità bio-psico-sociale della popolazione carceraria rispetto a quella generale (i detenuti sono più giovani, più affetti da malattie, più poveri, meno integrati socialmente e culturalmente). Ne deriva il preciso dovere morale di 'garantire un ambiente carcerario che rispetti le persone e lasci aperta una prospettiva di speranza e un orizzonte di sviluppo della soggettività in un percorso di reintegrazione sociale'; ma prima ancora di riconsiderare criticamente le politiche penali che siano di per sé causa di sovraffollamento, poiché così facendo si pongono direttamente in contrasto col principio di umanità delle pene".

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