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    Processo Scajola-Rizzo-Matacena: ordinanza di arresto per Speziali

     

    Processo Scajola-Rizzo-Matacena: ordinanza di arresto per Speziali:"Sono perseguitato politco"

    08 mag 15 Il gip di Reggio Calabria ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare per l'imprenditore catanzarese che vive in Libano Vincenzo Speziali nell'ambito dell'inchiesta in cui è coinvolto Claudio Scajola. Lo ha detto il pm della Dda Giuseppe Lombardo nell'udienza alla moglie di Matacena Chiara Rizzo. Speziali è considerato latitante. Speziali è accusato di procurata inosservanza della pena, aggravata dall'avere agevolato un sodalizio mafioso, in favore dell'ex deputato Amedeo Matacena condannato in via definitiva a tre anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa ed adesso latitante a Dubai. Speziali era stato indagato sin dall'inizio dell'inchiesta che l'8 maggio dello scorso anno portò all'arresto di Scajola, della Rizzo e di altre sei persone. L'imprenditore, nipote omonimo dell'ex senatore del Pdl, secondo l'accusa avrebbe cercato di sfruttare i suoi contatti con politici libanesi di primo piano, tra i quali l'ex presidente Amin Gemayel, per aiutare Scajola a fare trasferire Matacena da Dubai a Beirut, in Libano, Paese ritenuto dagli indagati - sempre secondo l'accusa - un luogo più sicuro per evitare un'eventuale estradizione dell'ex parlamentare di Forza Italia. Il pm Lombardo ha annunciato che la settimana prossima depositerà al tribunale gli atti riguardanti Speziali.

    Speziali: Sono perseguitato politico. "Ho sempre sostenuto di essere un perseguitato politico, oggi ne ho la prova". Lo ha detto l'imprenditore catanzarese Vincenzo Speziali, residente in Libano, alla notizia di un ordine di custodia cautelare nei suoi confronti emesso dal gip di Reggio Calabria nell'ambito dell'inchiesta su Claudio Scajola. Speziali ha aggiunto di non essere "latitante", come detto dal pm della Dda Giuseppe Lombardo, affermando che l'atto gli andava notificato a Beirut, dove risiede, essendo iscritto all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero. "Considero questo atto un inutile sfregio - ha proseguito Speziali - perche' per un anno intero, da quando ho ricevuto l'avviso di garanzia, ho chiesto ripetutamente tramite i miei legali e la stampa di essere ascoltato, convinto di potere spiegare alla lettera, al di la' delle interpretazioni scandalistiche, le intercettazioni telefoniche su cui si basano gli atti dell'inchiesta". Interpretazioni che, ha aggiunto l'imprenditore, "sono una forma di pressione a mo' di tortura". Speziali ha sottolineato che la sua "fiducia nei confronti dei giudici risulta essere assoluta, totale, piena e ossequiosa, poiche' essi gestiscono e garantiscono ad ogni cittadino italiano la certezza del diritto". "Cosi' - ha detto - non posso affermare nei confronti del pm, il quale pervicacemente mi ha sempre dimostrato ostilita' preconcetta". Un atteggiamento, secondo Speziali, dimostrato dall'uso di un "termine improprio, quello appunto di latitante". "Non posso essere considerato tale - aggiunge Speziali - avendo inviato alla magistratura italiana due atti in cui, a norma di legge, chiedo che ogni notifica mi sia inviata a Beirut". L'imprenditore catanzarese afferma inoltre che d'ora in poi non rilascera' altre dichiarazioni e non replichera'. "La discrezione e i comportamenti dignitosi - conclude - possono essere di maggiore ausilio per comprendere la mia natura, la mia onesta', la mia moralita', e per meglio difendere, da adesso e fino alla morte, la mia dignita' e la serenita' della mia famiglia".

    Depone funzionario Polizia. E' stata dedicata alla deposizione del vicequestore della Polizia di Stato Leonardo Papaleo, già in servizio alla Dia di Reggio Calabria, l'udienza di oggi del processo che vede imputata la moglie di Amedeo Matacena, Chiara Rizzo, ed il collaboratore dell'ex deputato di Fi, Martino Politi. Papaleo, in particolare, ha parlato di alcuni contatti intercorsi tra Matacena e Bruno Mafrici, consulente calabrese con studio in via Durini a Milano e già indagato in un altro troncone dell'inchiesta Breakfast, quello che nel 2012 coinvolse anche l'ex tesoriere della Lega nord Francesco Belsito, entrambi ritenuti responsabili dalla Dda reggina di riciclaggio aggravato dall'avere agevolato la cosca di 'ndrangheta dei De Stefano. Nei colloqui intercettati, risalenti al periodo tra aprile e giugno 2011, ha detto il funzionario di polizia, "emerge la richiesta di denaro di Matacena a Mafrici che si impegnò nella vendita della casa reggina del politico". Quindi Papaleo ha ricostruito i rapporti tra Chiara Rizzo e i fratelli Cecilia e Giorgio Fanfani, figli di Amintore, destinatari, giusto un anno fa, l'8 maggio 2014, di un decreto di perquisizione emesso dalla Dda di Reggio Calabria nell'ambito dell'inchiesta sulla latitanza di Matacena, ma non indagati. Da alcune telefonate, ha detto Papaleo, emerge che Cecilia Fanfani aveva indicato nell'avvocato Ottavia Molinari la persona adatta ad assistere Matacena a Dubai dopo il suo arresto avvenuto pochi giorni dopo l'arrivo negli Emirati Arabi Uniti. Matacena in seguito fu scarcerato e si trova tuttora libero a Dubai. Dalle intercettazioni, ha proseguito l'ex funzionario della Dia reggina, sono emerse anche le richieste di incontro fatte dalla Rizzo nei confronti di un banchiere monegasco che si sarebbe detto disponibile a fare da tramite con un altro banchiere al fine di costituire una posizione finanziaria usufruibile dalla stessa Rizzo. L'udienza è stata aggiornata a martedì prossimo.

    Legali Rizzo: confermata sua versione. La difesa di Chiara Rizzo, in una nota, "manifesta soddisfazione per quanto emerso oggi dall'esame del vice questore Papaleo". "Con onestà intellettuale - prosegue la nota - lo stesso ha dato atto che i colloqui ed i contatti telefonici tra la nostra assistita ed alcuni funzionari di banca, ma in parte anche con l'on. Scajola e la di lui segretaria, avevano ad oggetto la richiesta di aiuto per trasferire fondi di sua proprietà da un conto corrente proprio ad altro conto corrente dalla stessa intrattenuto a Montecarlo. Questa è la versione fornita dalla Rizzo agli inquirenti sin dal suo primo interrogatorio in carcere ed oggi si è avuta la prova che diceva il vero. Nessun illecito maneggio di denaro ma semplicemente le conseguenze delle difficoltà tecniche incontrate nel voler accreditare su un proprio conto somme di sua esclusiva pertinenza". "A causa dei problemi giudiziari del marito - conclude la difesa di Chiara Rizzo - le banche creavano difficoltà e la nostra assistita cercava solo l'aiuto di qualche funzionario che le risolvesse il problema e le consentisse di poter fruire del proprio denaro in terra Monegasca".

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