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    Rapporto Dna su ndrangheta: rapporto con politica e corruzione dilagante

     

    Rapporto Dna su ndrangheta: rapporto con politica e corruzione dilagante

    24 feb 15 Un'organizzazione unitaria, ramificata a livello internazionale ma con la testa pensante nella provincia di Reggio Calabria, che grazie al suo potere economico ha la capacità di essere interlocutore per la politica. E' il quadro della 'ndrangheta tracciato nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia presentata oggi dal presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi e dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. L'unitarietà della 'ndrangheta è divenuta "un dato accertato non solo con sentenze, ma anche confermato da investigazioni in corso che, se possibile, spostano ancora più in alto l'asticella". A cominciare dall'operazione Crimine-Infinito delle Dda di Reggio Calabria e Milano, dalle dichiarazioni del pentito Paolo Iannò, e per ultimo dalla sentenza del processo Meta alle cosche più importanti di Reggio. "Da tutte le indagini - scrive la Dna - risulta confermato che la legittimazione di un 'locale' deriva, esclusivamente, dal riconoscimento della cosiddetta 'Mamma di Polsi', dunque del Crimine reggino. Tuttavia, proprio l'emersione a livello giudiziario e la conseguente, ed ampiamente giustificata, enfatizzazione mediatica, della struttura unitaria e dei suoi rituali, ha determinato, come reazione 'difensiva', una (tendenziale) sommersione di queste manifestazioni esterne che davano diretta visibilità alle strutture unitarie e di vertice". Cautele che "non hanno permesso di disegnare il nuovo ed attuale organigramma della 'Provincia' o comunque di comprendere chi svolge le veci di quei capi ora detenuti". Ma da dove deriva la forza economica delle cosche? La Dna non ha dubbi: il narcotraffico. Ed in questo settore, "non solo in Italia, la 'ndrangheta non ha rivali e, per questo, da anni, essendo egemone, è diventata, in un panorama economico depresso, l'unico soggetto finanziariamente apprezzabile in Calabria e non solo", con una posizione "se non monopolistica, quanto meno oligopolistica, nel contesto del traffico di cocaina che dal Sud-America arriva in Europa". E ciò è reso possibile "anche e soprattutto dal controllo totalizzante del porto di Gioia Tauro dove gli 'ndranghetisti riescono a godere di ampi, continui, inesauribili, appoggi interni". Il capitale accumulato col traffico di droga consente all'organizzazione di "controllare imprese ed aziende, di costituirne di proprie e, attraverso queste, allargare i propri rapporti e la propria influenza in un contesto sempre più ampio, che arriva fino al cuore dell'economia legale". Una penetrazione che permette alle cosche di acquisire potere economico e finanziario, di collegarle con quella "zona grigia" che costituisce l'indispensabile anello di congiunzione con la politica, ma, soprattutto, di "aumentare la capacità di padroneggiare rapporti con il mondo imprenditoriale e, quindi, di generare e mediare iniziative economiche". "Si può affermare con un grado di approssimazione che si avvicina di molto alla realtà effettiva - scrive la Dna - che oggi, almeno nel settore edilizio, nel nord Italia, la 'ndrangheta non solo ha surclassato la capacità di penetrazione di tutte le altre mafie messe insieme ma, di fatto, è divenuta una dei principali operatori del settore". E se a gestire il narcotraffico sono le cosche dei mandamenti Ionico e Tirrenico, quelle del mandamento centro che operano a Reggio città sono "assegnatarie di un compito vitale, funzionale all'interesse di tutto l'organismo 'ndranghetista: curare per conto e nell'interesse dell'intera organizzazione i rapporti con la politica e le Istituzioni". Una funzione di collegamento, sottolinea la Dna, "con un ambito più elevato, che supera il rapporto con l'assessore e il Sindaco di un certo comune e si proietta in ambito regionale, nazionale e, talora internazionale che, inoltre, non si limita al rapporto con la sola politica ma, più complessivamente, si estende al mondo delle Istituzioni, quindi ai rapporti con gli apparati investigativi, la burocrazia ministeriale, la magistratura". Un ruolo, quello delle cosche di Reggio, che deriva da un "profilo decisamente più borghese" rispetto alle altre. La prima ragione per la quale la 'ndrangheta reggina è diventata borghese, viene indicata "nel fatto che essendosi consolidata da generazioni in ambito cittadino e non rurale, si è naturalmente evoluta, grazie anche alle risorse economiche, verso un più elevato livello sociale, mimetizzandosi in ambienti diversi da quelli di origine". Hanno poi "giocato un ruolo rilevante i rapporti massonici, nei quali si sono miscelate e rafforzate reciprocamente, in un grumo inestricabile di rapporti, le istanze 'ndranghetiste e quelle dei ceti alti della città". Infine hanno determinato questa particolare attitudine "ragioni storiche che risalgono, prima, ai moti di Reggio, in cui la 'ndrangheta e in particolare la famiglia De Stefano, ha avuto, al fianco della politica, un ruolo preminente e, poi, alle connessioni con destra eversiva ed apparati statali deviati". Per dare concretezza alla propria analisi, la Dna cita anche la vicenda dello scioglimento del Comune di Reggio Calabria. Un "unicum", scrive la Dna, visto che "mai, neanche nella Palermo degli anni ruggenti di Cosa Nostra, si era verificato che il Comune di una città capoluogo di provincia, che conta più di mille dipendenti, dovesse essere sciolto per condizionamento mafioso". Passando ad esaminare il distretto di Catanzaro, la Dna rileva che "sono sempre più evidenti i segnali di una affermazione di pariteticità delle più importanti organizzazioni del Crotonese, quali, in particolare, quella di Cutro facente capo a Nicolino Grande Aracri, il cui ambizioso progetto risulterebbe essere stato quello di realizzare una struttura paritetica alla Provincia reggina. Disegno che ha perso evidentemente consistenza a seguito dell'arresto e del prolungarsi dello stato detentivo dello stesso Grande Aracri".

    Corruzione dilagante. La corruzione, che in Italia "è un fenomeno di sistema", "assolutamente dilagante perché mai efficacemente contrastata e combattuta ma anzi per troppo tempo tollerata e giustificata" e sul cui fronte vi è stato un "deciso arretramento quando sono state assicurate ampie prospettive di impunità per il falso in bilancio"; la tratta dei clandestini, "che può alimentare il terrorismo internazionale"; i silenzi della Chiesa fino a Papa Francesco. Sono i tre punti forti contenuti nelle parole del procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, che oggi al Senato - con la presidente della Commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi - ha presentato la Relazione 2014 della Dna. L'attacco frontale è alla corruzione, "tacitamente accettata, non considerata un reato grave. Per questo la mafia se ne è servita". L'allarme, nelle parole del procuratore - che ha chiesto anche di poter disporre dei servizi centralizzati di polizia giudiziaria per i suoi poteri sull'antiterrorismo - è poi ai "fenomeni migratori, che possono costituire un serbatoio per il terrorismo internazionale" e su cui si stanno elaborando nuove direttive. C'è stato poi un attacco frontale ai silenzi passati della Chiesa: "E' stato ammazzato don Diana, poi don Puglisi: le reazioni sono state pari a zero. Siamo dovuti arrivare al 2009 per iniziare a parlarne timidamente. Ora finalmente si è mosso qualcosa e Papa Francesco ha scomunicato i mafiosi ma per decenni la Chiesa avrebbe potuto fare, parlare, ma non ha fatto nulla". Il presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, ha sottolineato proprio il cambio di passo impresso da Papa Francesco, "il Papa - ha detto - ha reso ragione a chi ha resistito al potere mafioso". E sulla corruzione ha sostenuto che "lottarla significa anche lottare la mafia. Noi paghiamo il prezzo di un sistema che si è rilassato, basta pensare alla prescrizione". Ma - ha fatto notare Bindi - la sensibilità su questi temi "va aumentando. Le iniziative del Governo non sono perfette, bisognerebbe essere meno incerti sui reati finanziari, per esempio, ma il tempo è favorevole" per intervenire su una serie di aspetti. La relazione 2014 della Dna esamina tutte le forme della criminalità: da Cosa Nostra che continua ad essere vitale nonostante sia stata decapitata in Sicilia, alla 'ndrangheta calabrese, più forte a Milano della criminalità siciliana, a Gioia Tauro, porta d'ingresso della droga in Italia. E non tralascia nemmeno il cosiddetto "Protocollo fantasma", che riguarda notizie di reato a carico di ignoti, che avrebbero spiato alcuni magistrati, impegnati in delicate attività di indagine. "L'efficienza della giustizia è un bene per i cittadini non un privilegio di qualcuno in particolare. E' giusto che il capo dello Stato, con la sua autorità, lo ricordi", ha detto il procuratore Roberti, riferendosi alle parole di Mattarella di oggi sulla giustizia. Alla politica il procuratore Antimafia chiede di modificare i termini della prescrizione, intervenire sul processo penale "oggi maledettamente lungo", prevedere attenuanti per chi collabora per i reati di corruzione e introdurre le figure degli agenti provocatori, riformare l'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati. "Le parole del procuratore sull'Agenzia sono un ulteriore sprone ad andare avanti", osserva il Pd Davide Mattiello, relatore di tutti i testi di riforma del Codice antimafia sulle misure di prevenzione e dell'Agenzia. Ma i parlamentari Cinque Stelle, pur lodando la relazione di Roberti "di ampio respiro, precisa e dettagliata", lamentano che il procuratore Antimafia abbia "dimenticato la parola politica".

    "La lettura della Relazione annuale della Direzione nazionale antimafia è, come ogni anno, per un verso agghiacciante per l'ennesima riconferma della persistente pervasività del fenomeno mafioso in Italia, ma per altro verso strumento prezioso per fare il punto sulla lotta alle mafie e constatare sia i numerosi successi della magistratura e delle forze dell'ordine, sia per la messa a fuoco della fenomenologia mafiosa e sulle misure necessarie al contrasto". E' quanto afferma in una nota Rosanna Scopelliti, componente la Commissione parlamentare Antimafia. Secondo la parlamentare calabrese "è ottima la sottolineatura dell'importanza dello strumento del regime carcerario del 41-bis che operi, nella sua qualità giuridica di misura di prevenzione, per impedire tassativamente ai capi delle organizzazioni criminali di continuare ad impartire ordini e direttive sebbene detenuti. Quanto alla 'ndrangheta desta molta preoccupazione leggere della perdurante posizione di assoluta primazia nel traffico internazionale di stupefacenti, consentito anche e soprattutto dal controllo totalizzante del Porto di Gioia Tauro, ove attraverso una penetrante azione collusiva, gli 'ndranghetisti riescono a godere addirittura di appoggi interni". "Bisogna quindi assolutamente trovare nuovi strumenti normativi e direttive operative - conclude Rosanna Scopelliti - che creino sempre maggiori difficoltà di avvicinamento ai containers del Porto a persone che non siamo vigilate costantemente e da vicino da personale di pattuglia delle forze dell'ordine, anche a costo di richiedere l'intervento dell'Esercito con un presidio stabile all'interno del Porto stesso".

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