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    Sequestrato a Cosenza, per bancarotta, il più grande centro fitness della Calabria

     

     

    Sequestrato a Cosenza, per bancarotta, il più grande centro fitness della Calabria

    08 ott 14 Il più importante centro fitness della Calabria è stato sequestrato dalla Guardia di finanza a Rende, nell'ambito dell'operazione "Skorpion Death", per il reato di bancarotta fraudolenta aggravata. Il valore dei beni sequestrati è di 6 milioni di euro. La struttura comprende un ristorante, centro estetico e benessere, due piscine, campi da calcio. I finanzieri sostengono che l'amministratore ha distratto dal fallimento consistenti valori e l'intero complesso aziendale mediante contratti di fitto d'azienda e false fatture. Le indagini del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di finanza di Cosenza sono state dirette coordinate dal Procuratore della Repubblica Dario Granieri e dal sostituto Giuseppe Cava. Nel corso delle indagini sono stati individuati diversi beni immobili a Rende (Cosenza), con impianti sportivi, macchinari, attrezzature, arredi, macchine d'ufficio, marchio del centro sportivo e avviamento commerciale, nonché uno yacht di proprietà della società ormeggiato in un porto in provincia di Cosenza. La struttura sequestrata si estende su una superficie di oltre 10.000 metri quadrati. Nella fase terminale dell'azienda, che ormai da anni versava in una situazione di dissesto irreversibile, è stata appositamente costituita una società, controllata dal nucleo familiare dell'amministratore della società, che ha assorbito la parte finanziariamente sana dell'azienda fallita mediante un contratto di fitto. L'operazione era finalizzata a proseguire l'attività d'impresa evitando i numerosi creditori e l'erario.

    Secondo le indagini delle “fiamme gialle cosentine” in materia di reati fallimentari, l'amministratore pro tempore della suddetta società, D.S. 63 anni, ha distratto dalla massa fallimentare consistenti valori di cassa e l’intero complesso aziendale, mediante l’utilizzo di artefatti contratti di fitto d’azienda e false fatturazioni. Nella “fase terminale” dell’azienda, che ormai da anni versava in una situazione di dissesto irreversibile, è stata costituita ad hoc una società, controllata dal medesimo nucleo familiare, che assorbisse la parte “finanziariamente sana” della fallita mediante un contratto di fitto d’azienda, al fine di proseguire l’attività d’impresa, a scapito dei numerosi creditori e dell’Erario. Il sodalizio guidato da D.S., amministratore di fatto nonché vero dominus delle fraudolente attività, non è nuovo a condotte simili, alla fine degli anni novanta era stata, infatti, posta in essere un’operazione analoga, allorquando la società poi fallita stipulò un contratto d’affitto d’azienda con una società riconducibile all’indagato principale.

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