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    Svimez: Paese spaccato, Calabria regione più povera

     

     

    Svimez: Paese spaccato, Calabria regione più povera

    30 lug 14 "In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2013 è sceso al 56,6% del valore del Centro Nord, tornando ai livelli del 2003, con un Pil pro capite pari a 16.888 euro". Mentre - emerge dal rapporto Svimez 2014 - "in valori assoluti, a livello nazionale, il Pil è stato di 25.457 euro, risultante dalla media tra i 29.837 euro del Centro-Nord e i 16.888 del Mezzogiorno". Così "nel 2013 la regione più ricca è stata la Valle d'Aosta, con 34.442 euro, seguita dal Trentino Alto Adige (34.170), dalla Lombardia (33.055), l'Emilia Romagna (31.239 euro) e Lazio (29.379 euro)"; Nel Mezzogiorno "la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l'Abruzzo (21.845 euro). Seguono il Molise (19.374), la Sardegna (18.620), la Basilicata (17.006 euro), la Puglia (16.512), la Campania (16.291), la Sicilia (16.152). La regione più povera è la Calabria, con 15.989 euro". Ne deriva che "il divario tra la regione più ricca e la più povera è stato nel 2013 pari a 18.453 euro: in altri termini, un valdostano ha prodotto nel 2013 oltre 18mila euro in più di un calabrese"

    Paese spaccato. E' un Paese "spaccato", "diviso e diseguale dove il sud scivola sempre più nell'arretramento" quello che emerge dal rapporto Svimez. Il Pil del Sud nel 2013 è "crollato del 3,5% contro il -1,4% del centro Nord; negli anni di crisi 2008-2013 "il Sud ha perso il 13,3% con il 7%". Il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 10 anni fa. Lo Svimez calcola che "nel 2013 il Pil è crollato nel Mezzogiorno del 3,5%, approfondendo la flessione dell'anno precedente (-3,2%), con un calo superiore di quasi due percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4%)". Ed è "per il sesto anno consecutivo" che il Pil del Mezzogiorno "registra segno negativo, a testimonianza della criticità dell'area". Anche gli andamenti di lungo periodo "confermano un Paese spaccato e diseguale: negli anni di crisi 2008-2013 il Sud ha perso -13,3% contro il 7% del Centro-Nord". A livello regionale nel 2013 il segno è negativo per tutte le regioni italiane, a eccezione del Trentino alto Adige (+1,3%) e della stazionaria Toscana (0%). Anche le regioni del Centro-Nord, sono tornate a segnare cali significativi, come l'Emilia Romagna (-1,5%), il Piemonte (-2,6%), il veneto (-3,6%), fino alla Valle d'Aosta (-4,4%). Nel Mezzogiorno la forbice resta compresa tra il -1,8% dell'Abruzzo e il -6% della Basilicata, fanalino di coda nazionale. In posizione intermedia la Campania (-2,1%), la Sicilia (-2,7%), il Molise (-3,2%). Giù anche Sardegna (-4,4%) , Calabria (-5%) e Puglia (-5,6%). "Guardando agli anni della crisi, dal 2008 al 2013 - si legge nel rapporto Svimez -, profonde difficoltà restano soprattutto in Basilicata e Molise, che segnano cali cumulati superiori al 16%, accanto alla Puglia (-14,3%), la Sicilia (-14,6%) e la Calabria (-13,3%). Nel periodo 2001-2013 l'Italia è andata "peggio della Grecia", "il tasso di crescita cumulato è stato + 15% in Germania, +19% in Spagna, + 14,3% in Francia. Segno positivo perfino in Grecia, +1,6%. Negativa l'Italia, con -0,2%, tirata giù sostanzialmente dal Mezzogiorno, che perde oltre il 7%, contro il +2% del Centro-Nord". Nel periodo 2008-2013 "la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha sfiorato nel Mezzogiorno i 13 punti percentuali (-12,7%), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,7%)"; gli investimenti fissi lordi "sono crollati del 33% nel Mezzogiorno e del 24,5% nel Centro-Nord": quelli nell'industria si sono ridotti "addirittura del 53,4%, più del doppio rispetto al già pesante calo del Centro-Nord (-24,6%). Giù anche gli investimenti nelle costruzioni, con un calo cumulato del -26,7% al Sud e del -38,4% al Centro-Nord, ed in agricoltura, (-44,6% al Sud, quasi tre volte più del Centro-Nord, -14,5%)". Ed è "ancora in calo la spesa pubblica per investimenti al Sud: nel 2012 la spesa aggiuntiva per il Sud è scesa al 67,3% del totale nazionale, ben al di sotto della quota dell'80% fissata per la ripartizione delle risorse aggiuntive tra aree depresse del Centro-Nord e del Sud del Paese". E sono "particolarmente preoccupanti i tagli agli investimenti in infrastrutture".

    In 5 anni raddoppiate famiglie assolutamente povere. Il Sud è oggi "una terra a rischio desertificazione industriale e umana, dove si continua a emigrare, non fare figli e impoverirsi: in cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione e 14mila nuclei". Lo indica il rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2014. Lo Svimez, con il rapporto 2014 sull'economia del Mezzogiorno, registra che negli anni della crisi, 2008-2013, "il settore manifatturiero al Sud ha perso il 27% del proprio prodotto, e ha più che dimezzato gli investimenti (-53%)", mentre "la crisi non è stata altrettanto profonda nel Centro-Nord, dove la diminuzione di prodotto e occupazione è stata di circa 16 punti inferiore, quella degli investimenti di oltre il 24%". Nel 2013 "la quota del valore aggiunto manifatturiero sul Pil è stata pari al Sud al 9,3%, un dato ben lontano dal 18,6% del CentroNord e dal 20% auspicato dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Gli addetti nell'industria in senso stretto al Sud sono scesi dai 43,6 per mille abitanti del 2008 a 37,4. Il valore aggiunto dell'industria in senso stretto è stato pari al 20,7% nel Centro-Nord e all'11,8% al Sud". A livello regionale "l'Abruzzo si conferma in linea e anzi superiore al centro-Nord, con un valore del 21,8%, seguito dal Molise con il 17% e dalla Basilicata (14,5%). In coda la Sicilia (8,2%) e la Calabria (7,6%), tutte comunque in calo rispetto ai valori già bassi registrati nel 2007". E "le imprese meridionali continuano a essere di piccole dimensioni: in dieci anni, dal 2001 al 2011, il peso delle micro imprese under 9 addetti è passato dal 33,9% al 37,6%". Così, "il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l'assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all'area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente". Desertificazione non solo industriale ma anche umana, perchè nel Sud "si parte, e si fanno meno figli". Il Sud è poi "sempre più povero. In Italia oltre due milioni di famiglie si trovavano nel 2013 al di sotto della soglia di povertà assoluta, equamente divise tra Centro-Nord e Sud (1 milione e 14mila famiglie per ripartizione), con un aumento di 1 milione 150mila famiglie rispetto al 2007". La povertà assoluta, indica ancora il rapporto Svimez, "è aumentata al Sud rispetto all'anno scorso del 2,8% contro lo 0,5% del Centro-Nord. Nel periodo 2007-2013 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute oltre due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione 14mila, il 40% in più solo nell'ultimo anno".

    Meno di 6 mln di occupati: minimo storico. "Le tendenze più recenti segnalano che al Sud si concentra oltre l'80% delle perdite dei posti di lavoro italiani". Lo evidenzia il rapporto Svimez: il 2013 ancora in calo "riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni", il livello più basso delle serie storiche, disponibili dal 1977. Il Mezzogiorno - evidenzia il rapporto Svimez 2014 - tra il 2008 ed il 2013 registra una caduta dell'occupazione del 9%, a fronte del -2,4% del Centro-Nord. Delle 985mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583mila sono residenti nel Mezzogiorno: "nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite determinate dalla crisi". Nel 2013 "sono andati persi 478mila posti di lavoro in Italia, di cui 282mila al Sud. Posti di lavoro persi soprattutto tra i lavoratori giovani under 34 e al Sud (-12% contro il -6,9% del Centro-Nord)". Il livello degli occupati, sceso sotto la soglia psicologica dei sei milioni, "testimonia, da un lato, il processo di crescita mai decollato, e, dall'altro, il livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale e la modifica della geografia del lavoro. Non va meglio nell'ultimo periodo: tra il primo trimestre del 2013 e quello del 2014 gli occupati scendono di 170mila unità nel Sud e di 41mila al Centro-Nord": sono queste tendenze "più recenti" a indicare che "al Sud si concentra oltre l'80% delle perdite dei posti di lavoro italiani". Lo Svimez segnala anche "l'aumento del tasso di disoccupazione. Quello "ufficiale" nel 2013 è stato del 19,7% al Sud e del 9,1% al Centro-Nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del nostro mercato del lavoro". Le donne continuano a lavorare poco: "Nel 2013 a fronte di un tasso di attività femminile medio del 66% in Europa a 28, che arriva all'83% in Finlandia, se l'Emilia Romagna è perfettamente allineata con la media europea, le regioni del Mezzogiorno vanno peggio di Malta e della Romania (che registrano tassi di attività femminile rispettivamente del 50% e del 48,4%), scendendo fino al 38% in Puglia, il 37% in Calabria e Campania, il 35% in Sicilia". E, avverte il rapporto, "piove inoltre sempre sul bagnato: nel 2013 chi non ha un lavoro stabile rischia di più di perderlo. Il 16,4% dei lavoratori che nel primo trimestre 2012 avevano un contratto di lavoro atipico, un anno dopo, nel 2013, erano diventati disoccupati (di cui il 12,8% al Centro-Nord e il doppio al Sud, 25,3%). In più, rispetto alla media europea a 27 del 75,3%, i giovani diplomati e laureati italiani presentano un tasso di occupazione di circa 27 punti più basso, pari al 48,3%".

    Centrp-nord in ripresa, Meridione no. Le stime dello Svimez prevedono un "Centro-Nord in lieve ripresa" mentre "il Sud no", in una Italia che così "continua a essere spaccata in due" Nel 2014 "il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,6%, quale risultato del +1,1% del Centro-Nord e del -0,8% del Sud". I consumi delle famiglie "crescono al Centro-Nord nel 2014 dello 0,3% e nel 2015 dello 0,7%, al Sud rispettivamente si registra un calo dello 0,5% e dello 0,1%. Giù anche gli investimenti: nel 2014 il Sud segna -1,1% contro -0,4% del Centro-Nord". Previsioni di segno opposto anche sul fronte dei posti di lavoro: "-1,2% al Sud nel 2014, cui corrisponde +0,2% nel Centro-Nord. Se confermati questi dati porterebbero al Sud nel 2014 rispetto al 2007 a quasi 800mila posti di lavoro in meno (pari a una flessione del 12%)". Per Pil e occupazione, nelle previsioni Svimez a livello regionale, il segno negativo è "solo nelle regioni del Mezzogiorno, mentre crescono il Centro (+0,2%), il Nord-Est (+1,4%) e Nord-Ovest (+1,5%)". Più in particolare, indica lo Svimez, "nel 2014 la forbice oscilla tra la crescita della Lombardia (+1,7%) 4,3%) e il calo della Calabria (-1%). L'Emilia Romagna cresce dell'1,5%, il Veneto dell'1,4%, il Piemonte dell'1,2%. Nel Mezzogiorno la caduta più contenuta è in Abruzzo (-0,4%). Seguono Molise e Puglia a -0,7%, Basilicata e Sardegna a -0,8%, Campania e Sicilia a -0,9%". La stessa dinamica è prevista per il 2015: "se il Mezzogiorno cala dello 0,3%, il Centro cresce dello 0,9%, il Nord-Est dell'1,8% e il Nord-Ovest del 2,2%. A trainare la ripresa nel 2015 ancora la Lombardia, +2,5%, seguita da Veneto ed Emilia Romagna (+1,9%), e il Piemonte (+1,6%). Fra le regioni del Mezzogiorno ancora nel 2015 i segni sono tutti negativi, ma oscillano tra -0,1% dell'Abruzzo e -0,5% della Calabria". Anche sull'occupazione "l'Italia si conferma spaccata in due, con le regioni meridionali segnate sia nel 2014 che nel 2015 da segni negativi. In particolare, nel 2014 le perdite dell'occupazione sono comprese tra -0,8% in Abruzzo e -1,3% in Calabria e Sicilia; nel 2015 tra il -0,4% sempre dell'Abruzzo e il -0,8% della Calabria".

    Sud ancora terra di emigranti. Dal Sud "si parte", e "si fanno meno figli", indica il rapporto Svimez 2014. "In dieci anni, dal 2001 al 2011 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1 milione e mezzo di persone, di cui 188 mila laureati. Il tasso di fecondità al Sud è arrivato a 1,34 figli per donna, ben distanti dai 2,1 necessari a garantire la stabilità demografica, e inferiore comunque all'1,48 del Centro-Nord". Nel 2013, registra il rapporto Svimez, "al Sud si sono registrate solo 180mila nascite, un livello che ci riporta al minimo storico registrato oltre 150 anni fa, durante l'Unità d'Italia. Pericolo da cui il Centro-Nord finora appare immune: con i suoi 388mila nuovi nati nel 2013 pare lontano dal suo minimo storico di 288mila unità toccato nel 1987. Il Sud "sarà quindi interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27% sul totale nazionale a fronte dell'attuale 34,3%"

    Politica economica governi pesa su divario nord-sud. "Le manovre pesano di più al Sud", rileva lo Svimez: con un impatto (considerando le manovre effettuate dal 2010 ad oggi dai vari governi, per 109 miliardi) pari nel 2015 al 9,5% del Pil al Sud contro il 6% del Centro-Nord. Così, rileva lo Svimez, "la politica economica appare contribuire alla crescente divaricazione" tra Meridione e Settentrione, anche per i tagli alla spesa che "concorrono a penalizzare in maniera significativa l'economia" del Mezzogiorno "già strutturalmente meno capace di agganciare la ripresa". "Gran parte" del diverso impatto "è dovuta ai tagli alle spese operati dai Governi, il cui peso ha inciso molto più al Sud che al Centro-Nord. Nel 2015, ad esempio, al Sud il valore cumulato della spesa pubblica sarà tagliato il doppio rispetto al Centro-Nord, cioè del 6,2% contro il 2,9% dell'altra ripartizione", e "si tratta di spese particolarmente dolorose. In valori assoluti "su un totale di oltre 109 miliardi di euro a livello nazionale, le manovre di finanza pubblica peseranno complessivamente nel 2015 in Lombardia per oltre 21 miliardi, nel Lazio per 13 miliardi, in Sicilia per 8,8, in Campania per 8,5, in Emilia Romagna per 7,7, in Veneto per 7,5, in Piemonte per 7,3, in Toscana per 6,2 e in Puglia per 5,9". Le manovre "considerate nei loro effetti diretti e indiretti tolgono nel 2014 lo 0,65% del Pil al Sud e lo 0,21% al Centro-Nord". Quanto ai fondi per la coesione, "se per ipotesi si riuscissero a spendere tutte le risorse tecnicamente disponibili l'impatto potenziale sul Pil nell'area sarebbe nel 2014 dell'1,3%, invertendo così la tendenza da negativa a positiva"; e questo comporterebbe anche "34.400 posti di lavoro in più al Sud nel 2014 e 82.400 nel 2015".

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