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    Processo Minotauro a Torino: 10 anni a ex sindaco. In Piemonte ndrangheta unita

     

     

    Processo Minotauro a Torino: 10 anni a ex sindaco. In Piemonte ndrangheta unita

    20 feb 14 "La risposta fornita dagli atti di causa non lascia spazio a dubbi in ordine alla sussistenza della responsabilità" di Nevio Coral, ex sindaco di Leinì (Torino) condannato lo scorso 22 novembre a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Lo scrivono i giudici della quinta sezione penale del tribunale di Torino nelle motivazioni della sentenza del processo Minotauro sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in provincia di Torino. Altre 35 persone sono state condannate. I giudici contestano a Coral di aver intrattenuto rapporti con esponenti locali della 'ndrangheta durante sette consultazioni elettorali, tra il 2004 e il 2011, in cui ha chiesto aiuto e talvolta pagato anche somme per favorire l'elezione di se stesso, del figlio Ivano e della nuora, l'ex assessore regionale Caterina Ferrero. Secondo i giudici, Coral - sindaco dal 1994 al 2005, quando lo sostituì il figlio - "si è avvalso dell'appoggio dell'organizzazione criminale in esame per portare avanti il suo piano di conquista politica per sé e per la sua famiglia, attraverso un atteggiamento di estrema gravità perché incide sulla vita pubblica e sul corretto funzionamento dello Stato". Nelle motivazioni della sentenza di condanna dell'ex primo cittadino di Leini, comune ora commissariato, i giudici sostengono anche che gli atti processuali "dimostrano oggettivamente una infiltrazione corposa e costante di imprese mafiose nello svolgimento dei lavori facenti capo" alle sue imprese edili. In questo modo "ha fornito un contributo concreto e specifico, così rafforzando l'associazione stessa"

    In Piemonte ndrangheta unita. La 'ndrangheta in Piemonte "non può più ritenersi solo un insieme di 'locali' o cosche, ma deve essere considerata struttura unitaria di cui queste sono articolazioni territoriali". Lo scrivono i giudici della corte del processo Minotauro sulle infiltrazioni dell'associazione criminale in provincia di Torino nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 22 novembre, hanno condannato 36 persone e ne hanno assolte (tutte per accuse minori) altre 38. "Le acquisizioni processuali - aggiungono i magistrati - documentano un'evoluzione in senso verticistico e unitario della 'ndrangheta che, pur nella persistente autonomia territoriale, concilia il centralismo delle regole organizzative e dei rituali con il decentramento operativo". "Siffatta trasformazione nella continuità - concludono - dimostra che l'associazione si è adeguata al mutato contesto sociale, anche in relazione ai territori di espansione, riuscendo a coniugare il rispetto delle ataviche tradizioni e regole con le nuove realtà economico-finanziarie".

    Se la 'ndrangheta in provincia di Torino era consolidata e unitaria, per i giudici del processo Minotauro non ci sono prove, invece, dell'esistenza della 'bastarda', ossia la cellula non ancora riconosciuta da una casa madre in Calabria, e di un 'crimine', ossia un braccio armato e violento unitario di tutta l'organizzazione sull'intero territorio. Entrambe erano state invece ipotizzate dall'accusa nel corso del processo. Tuttavia, la loro mancata esistenza, scrivono, "non incide sull'unitarietà dell'organizzazione stessa".

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