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    Morì dopo trasfusione all'Annunziata, 10 persone a giudizio

     

    Morì dopo trasfusione all'Annunziata, 10 persone a giudizio

    14 feb 14 La Procura di Cosenza ha chiuso le indagini nei confronti di 10 persone coinvolte nella morte di Cesare Ruffolo, avvenuta nel luglio del 2013 a seguito di una trasfusione contaminata dal batterio gram-negativo "serratia marcescens". Le indagini, coordinate dai sostituti procuratori Salvatore Di Maio e Paola Izzo, sono state condotte dai carabinieri del Nas di Cosenza. Nell'inchiesta sono indagati i vertici ed alcuni medici dell'azienda ospedaliera di Cosenza. I magistrati della Procura di Cosenza contestano il reato di rifiuto di atti d'ufficio al direttore generale dell'azienda ospedaliera, Paolo Maria Gangemi, al direttore sanitario aziendale Francesco De Rosa ed al direttore del centro trasfusionale dell'azienda ospedaliera Marcello Bossio. In particolare viene contestata la mancata adozione di un adeguato piano di azioni correttive rispetto a 65 criticità rilevate sin dal settembre del 2012 da una struttura di controllo della Regione Calabria durante una visita ispettiva presso il servizio trasfusionale. Il reato di omessa denuncia di reato viene contestato al direttore del dipartimento sanitario di medicina, Pietro Leo, ed al responsabile Ssd rischio clinico, Addolorata Vantaggiato, perchè dopo la morte di Cesare Ruffolo non hanno proceduto a nessuna comunicazione all'autorità giudiziaria. I magistrati hanno mosso l'accusa di somministrazione di medicinali guasti nei confronti del direttore medico di presidio unico dell'ospedale Annunziata di Cosenza, Osvaldo Perfetti, e del direttore dell'Uoc di immunoematologia, Marcello Bossio. Secondo l'accusa i due, pur essendo a conoscenza della contaminazione delle sacche ematiche contaminate, non adottavano alcuna misura idonea ad impedirne l'utilizzo. A Bossio e Perfetti viene contestato anche il reato di morte in conseguenza di altro reato doloso. A Mario Golè e Maria Maddalena Guffanti, rispettivamente legale rappresentante e direttore di produzione tecnica della 'Germo spa', si contesta il reato colposo di commercio e distribuzione di sostanze adulterate in modo pericoloso per la salute pubblica. Nei confronti di Salvatore De Paola e Luigi Rizzuto, rispettivamente direttore sanitario e dirigente medico in servizio presso il presidio ospedaliero di San Giovanni in Fiore, si contesta l'omicidio colposo. Secondo la Procura i due avrebbero permesso che la raccolta, il prelievo e la conservazione del sangue avvenissero in locali e condizioni inidonee, in violazione della normativa speciale dettata in materia. Ai due medici vengono contestate anche le lesioni personali colpose ai danni di Francesco Salvo, il quale, nel giugno del 2013, a seguito di una trasfusione di sangue contaminato, subì uno shock settico.

    Familiari: emersa realtà allarmante. "Le contestazioni così come individuate dagli inquirenti delineano una realtà assistenziale sanitaria allarmante, agghiacciante ed inemendabile". Lo affermano, in una nota, i familiari di Cesare Ruffolo, morto dopo una trasfusione a Cosenza, e del giovane Francesco Salvo che ha subito gravi lesioni. Attraverso i loro legali, gli avvocati Massimiliano Coppa, Paolo Coppa, Chiara Penna, Luigi Forciniti e Claudio De Luca, i familiari dei due pazienti aggiungono che "l'evento di default denunciato dalla famiglia Ruffolo a seguito della morte del loro congiunto ha permesso di delineare l'intelaiatura mostruosa posta a base di un servizio 'quod vitam' come quello del Centro trasfusionale dell'Azienda ospedaliera di Cosenza, che solo mediante un'indagine ciclopica e capillare la Procura della Repubblica di Cosenza è riuscita ad evidenziare". "Una situazione agghiacciante - aggiungono - soprattutto in considerazione delle numerosissime criticità riscontrate e non rimosse, riconducibili a reiterate e gravi violazioni di legge poste in essere da chi, a vario titolo ed in posizione di garanzia, ebbe in cura Cesare Ruffolo e prima di lui il giovane che fortunatamente è riuscito a scampare alla morte, riportando però gravi lesioni con un concreto pericolo di vita". "Riponiamo - concludono - estrema fiducia nell'operato della magistratura cosentina, oltre che nelle istituzioni locali in genere individuabili nel Nucleo antisofisticazione per la Tutela della salute dei carabinieri che congiuntamente hanno svolto un lavoro investigativo tecnicamente eccellente, individuando ogni singola responsabilità da porre in capo a chi ha gestito, evidentemente, la salute pubblica in modo superficiale".

    Cittadinanza attiva: quadro vergognoso. "Il quadro che emerge dai risultati delle indagini è vergognoso". Lo afferma Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva, circa le indagini sulla morte di Cesare Ruffolo, avvenuta dopo una trasfusione nell'ospedale di Cosenza. "E' impensabile - aggiunge - che nel nostro Paese possano esserci situazioni come quelle delineate, vale a dire somministrazioni di medicinali guasti, omesse denunce di reato, distribuzione di sostanze adulterate. Alla luce di tutto ciò, quali certezze possono avere i cittadini calabresi, e non solo quelli che afferiscono alla Azienda Sanitaria di Cosenza? Se tutto questo è stato permesso in un solo ospedale, ci sorgono dubbi che situazioni analoghe possano verificarsi in altre strutture. Il dubbio sorge infatti spontaneo se, nonostante i 65 rilievi fatti dalla struttura di controllo della Regione Calabria presso il servizio trasfusionale di questa stessa Asl, nessuno si sia sentito in dovere di porvi rimedio, come indicato anche dalla stessa Regione. Oltre ad una eventuale responsabilità diretta del Dirigente della struttura ospedaliera, cosa ha fatto in tutto questo tempo la Regione per rimuovere le criticità individuate, ritrovate esattamente uguali ad agosto del 2013 da parte del Ministero, e che probabilmente sono anche alla base di questo decesso?". "E' indispensabile - conclude Aceti - lavorare seriamente sul controllo degli standard di accreditamento delle strutture sanitarie, rivedere i criteri con cui si individuano i Direttori Generali, così come si è iniziato a fare in Regioni come la Sicilia e il Lazio, e dall'altra parte assegnare al Ministero della Salute veri poteri concreti di controllo e intervento nei casi di immobilismo delle strutture regionali e locali per garantire diritti fondamentali per i cittadini come la sicurezza e la qualità".

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