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    Caso Cacciola: in appello pene ridotte

     

     

    Caso Cacciola: in appello pene ridotte

    06 feb 14 I giudici della Corte d'assise d'appello di Reggio Calabria hanno ridotto la pena al padre ed al fratello della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola confermando quella per la madre della donna. I giudici hanno, di fatto, confermato la sentenza di primo grado dei giudici della Corte d'assise di Palmi che avevano deciso di trasmettere gli atti alla procura della Repubblica di Reggio Calabria invitando i magistrati ad indagare per omicidio volontario in relazione alla morte della donna avvenuta il 20 agosto 2010 per ingestione di acido. Morte che in un primo tempo era stata attribuita ad un suicidio. Il padre di Maria Concetta, Michele Cacciola, si è visto ridurre la pena da 6 anni a 4 anni e sei mesi di reclusione; il fratello della donna, Giuseppe, da 5 anni e 4 mesi a 4 anni. Confermata la condanna a due anni per la madre, Anna Rosalba Lazzaro. I tre sono stati condannati per maltrattamenti mentre l'aggravante della morte come conseguenza è venuta meno già in primo grado. Il 13 luglio dello scorso anno, infatti, i giudici della Corte d'assise di Palmi decisero di trasmettere gli atti alla procura affinché indagasse in ordine al reato di omicidio per "avere impiegato un mezzo venefico ed agito con premeditazione". L'inchiesta è poi passata alla Dda di Reggio Calabria ed è tutt'ora in corso. I giudici d'appello hanno anche respinto, nella parte che riguarda i due uomini, la richiesta di scarcerazione presentata dai loro legali che hanno sostenuto che tra due giorni scadono i termini massimi di carcerazione preventiva. Con una ordinanza, i giudici hanno stabilito che sarà scarcerata solo la madre, mentre per il padre ed il fratello non sono venute meno le esigenze cautelari. Secondo l'accusa, i familiari avrebbero minacciato Maria Concetta Cacciola per indurla a ritrattare le dichiarazioni rese alla magistratura arrivando anche a dirle che non avrebbe più rivisto i suoi figli se non avesse ritrattato. La donna aveva deciso di collaborare con la giustizia parlando di ciò che sapeva sulla sua famiglia e sui Bellocco di Rosarno. Maria Concetta, infatti, era nipote del boss Gregorio Belloccio, cognato del padre Michele. La donna, dopo avere iniziato a testimoniare, era stata trasferita in una località protetta dove era rimasta fino al 10 agosto del 2010, quando decise di tornare a Rosarno per riabbracciare i figli rimasti a casa dei nonni in attesa del perfezionamento delle pratiche per il loro trasferimento nella sede protetta. A distanza di qualche giorno, il 20 agosto, la donna morì per l'ingestione di acido muriatico. All'inizio era stato ipotizzato un suicidio, ma dopo la sentenza di primo grado, l'ipotesi accusatoria è diventata omicidio volontario.

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