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    Maxi operazione nel vibonese per evasione fiscale e riciclaggio, 35 arresti

     

     

    Maxi operazione nel vibonese per evasione fiscale e riciclaggio, 38 arresti e 40 mln di beni sequestrati

    27 mar 13 Un'operazione di polizia, carabinieri e guardia di finanza è stata portata a termine per l'arresto di 35 presunti affiliati alla cosca Mancuso di Limbadi, tra cui alcuni imprenditori, ed il sequestro di beni per oltre quaranta milioni di euro. Secondo la Dda catanzarese, i Mancuso avrebbero controllato strutture residenziali e turistiche. Inoltre avrebbero riciclato capitali illeciti con un sistema fondato sul rientro di capitali attraverso lo sfruttamento dello "scudo fiscale"

    Gli arrestati. Sono 35 le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Catanzaro su richiesta della Dda eseguite, sulle 38 emesse, nel corso dell'operazione congiunta condotta dalla squadra mobile, dal Ros dei carabinieri e dai finanzieri del Gico di Catanzaro nell'ambito di un'inchiesta sulla cosca Mancuso di Limbadi. Ventiquattro ordinanze sono state emesse nei confronti di persone già sottoposte a fermo nella precedente operazione condotta il 7 marzo scorso e 23 sono state eseguite. Resta irreperibile Mario De Rito, di 39 anni, che era già sfuggito al fermo. Le persone cui l'ordinanza è stata notificata in carcere sono: Pantaleone Mancuso (67), detto "luni vetrinetta"; Giovanni Mancuso (72); Giuseppe Mancuso (36); Antonio Maccarone (34); Antonio Cuturello (23); Giovanni D'Aloi (47); Giuseppe Costantino (47); Fabio Costantino (36); Damian Zbigniew Fialek (36); Antonio Pantano (56); Francesco Tavella (43); Orazio Cicerone (40); Antonino Castagna (63); Giuseppe Raguseo (35); Agostino Papaianni (62); Leonardo Cuppari (39); Bruno Marano (32); Antonio Mamone (45); Antonino Scrugli (37); Gabriele Bombai (43); Salvatore Accorinti (39); Giovanni Antonio Paparatto (40); Antonio Prestia (45). Le nuove ordinanze sono state eseguite nei confronti di Domenico De Lorenzo (23); Gaetano Muscia (49); Antonio Mancuso (75), già detenuto per altra causa; Pantaleone Mancuso (52), detto "luni scarpuni", già detenuto per altra causa; Nicola Angelo Castagna (31); Filippo Mondella (40); Antonio Velardo (36), già detenuto per altra causa; Ercole Antonio Palasciano (52); Francesco Colacino (55); Domenico Musarella (38); Francesco Maria L'Abbate (37); Giuseppe Ierace (52). Sono irreperibili Genry James Fitsimons (64) e Manuel Nunzio Callà (27).

    Beni per 40 mln sequestrati. Beni per un valore di 40 milioni circa, tra i quali una società che organizza e gestisce spettacoli ed eventi a carattere nazionale, la CaMo, sono stati sequestrati nel corso dell'operazione che ha portato all'arresto di 38 persone ritenute legate alla cosca Mancuso di Limbadi. L'operazione è la sintesi di tre inchieste condotte dai carabinieri del Ros, dai finanzieri del Gico e dalla squadra mobile di Catanzaro e rappresenta il seguito di quella condotta alcune settimane fa sempre contro la cosca Mancuso. Tra gli arrestati del Ros figurano i due imprenditori titolari della CaMo, Nicolangelo Castagna e Filippo Mondella, accusati di concorso in trasferimento fraudolento di valori aggravato dalle modalità mafiose dal momento che la società, secondo l'accusa, era riconducibile ad uno dei boss della cosca Mancuso, Giuseppe. Il filone investigativo seguito dalla Guardia di finanza, invece ha riguardato una maxi evasione fiscale con conseguente attività di riciclaggio a livello internazionale grazie anche ad operazioni cosiddette di "eurovestizione". Si tratta di uno stratagemma che prevede l'apertura di società che operano in Italia, ma fatte passare per società di diritto estero allo scopo di non pagare le tasse in Italia, ma di farlo all'estero con una minore pressione fiscale. In questo filone sono stati arrestati, tra gli altri, anche commercialisti ed avvocati. Nella tranche di inchiesta condotta dalla squadra mobile, infine, è stato arrestato uno dei capi della cosca, Antonio Mancuso, di 75 anni.

    Le indagini. Uno dei filoni investigativi della Guardia di finanza ha riguardato, in particolare, un gruppo societario facente capo all'imprenditore campano Antonio Velardo e al cittadino irlandese Henry James Fitzsimons, già coinvolti nell'operazione 'Metropolis' condotta dalla Procura di Reggio Calabria. Attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, rogatorie internazionali, perquisizioni, analisi documentali e fiscali è emerso che l'organizzazione aveva costituito società fittiziamente residenti all'estero ma in realtà operanti a pieno titolo nello Stato italiano, concretizzando così l'ipotesi delittuosa di frode fiscale internazionale tramite "estero vestizione". Il meccanismo fraudolento era stato posto in essere allo scopo di sottrarre all'imposizione italiana gli ingenti ricavi derivanti dalle commissioni che le società di diritto estero incassavano a fronte della loro attività di consulenza, marketing e intermediazione sulle vendite degli immobili. In tale ambito, i contratti di compravendita stipulati con la clientela straniera prevedevano una maggiorazione del prezzo rispetto a quelli di mercato nell'ordine del 35%-40%, consistente nella commissione dovuta alle società di Velardo per l'attività d'intermediazione. Una parte dei proventi illeciti derivanti dall'evasione fiscale sono stati reintrodotti nel territorio nazionale e, attraverso la costituzione di nuove società e il ricorso a schermi fiduciari e a fittizie intestazioni, utilizzati per finanziare ulteriori attività imprenditoriali sempre legate al settore immobiliare. Velardo, sempre secondo l'accusa, ha cercato di evitare la tassazione dei redditi percepiti quale persona fisica trasferendo fittiziamente la propria residenza fiscale in Tunisia. Un ulteriore filone dell'attività investigativa condotta dal Gico della Guardia di finanza di Catanzaro ha riguardato gli investimenti nel settore turistico che Antonio Velardo ha realizzato nel territorio del vibonese in collaborazione con Antonio Maccarone, ritenuto dagli investigatori elemento di congiunzione tra la cosca Mancuso di Limbadi e il mondo imprenditoriale.

    Coinvolti terrorista Ira e commercialisti. Trenta milioni: a tanto ammonta l'imponibile sottratto al fisco con un'evasione di imposta di 14 milioni, accertato dai finanzieri del Gico di Catanzaro nell'ambito di uno dei filoni di inchiesta confluiti nell'operazione condotta stamani insieme a carabinieri e polizia contro la cosca Mancuso di Limbadi. Un'evasione che sarebbe stata possibile dal connubio tra personaggi legati alla cosca Mancuso, tra i quali l'appartenente all'Ira, l'organizzazione terroristica per l'indipendenza irlandese, Henry James Fitzsimons, ed il campano Antonio Velardo, già coinvolto nell'inchiesta della Dda di Reggio Calabria 'Metropolis' del 5 marzo scorso, e Antonio Maccarone, ritenuto dagli investigatori il "volto imprenditoriale" dei Mancuso, ed alcuni commercialisti, due dei quali, Ercole Antonio Palasciano e Giuseppe Ierace, molto noti a Catanzaro. Per i commercialisti l'accusa contestata è associazione a delinquere finalizzata all'evasione fiscale ed al riciclaggio. Dalle indagini condotte dal Gico, infatti, non sono emersi collegamenti o vicinanze personali tra loro e ambienti evidenti della criminalità organizzata. L'attività dei commercialisti, secondo l'accusa, sarebbe stata fondamentale per la costituzione di società fittiziamente residenti all'estero ma in realtà operanti a pieno titolo in Italia e che avrebbero concretizzato la frode fiscale internazionale tramite "estero vestizione". Nel momento dell'arresto, Palasciano ha avuto un malore ed è stato portato in ospedale per accertamenti. Subito dopo i controlli dei medici è stato condotto in carcere. Nel corso dell'operazione i finanzieri hanno sequestrato, complessivamente, beni per 40 milioni di euro, 14 dei quali per equivalente della presunta evasione fiscale accertata. Dal filone condotto dalla squadra mobile, invece, sono emersi numerosi episodi di usura ai danni di imprenditori delle province di Vibo Valentia e Catanzaro ai quali venivano imposti tassi calcolati al 120% annuo a fronte di somme di danaro prestate in fase di difficoltà economiche delle attività di cui erano proprietari. Il provento dell'usura, secondo l'accusa, costituiva una forma di reinvestimento di capitali riconducibili ad esponenti di spicco della famiglia Mancuso, in particolare a Giovanni Mancuso, indicato come una "figura carismatica" all'interno della cosca.

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