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    Sette arresti della Gdf per truffa e bancarotta, sequestrati 6 mln di beni

     

     

    Sette arresti della finanza per truffa e bancarotta a Lamezia, sequestrati 6 mln di beni

    08 mag 13 La Guardia di finanza ha eseguito 7 misure cautelari, tra cui arresti e obblighi di firma, a carico di altrettanti imprenditori di Lamezia Terme accusati, a vario titolo, di bancarotta fraudolenta e truffa aggravata. L'inchiesta che ha portato all'emissione delle misure è stata condotta dalla Procura della Repubblica di Lamezia. Sono stati anche sequestrati beni per un valore di sei milioni di euro, tra cui terreni, fabbricati, quote societarie ed automezzi. L'importo dei beni riconducibili ai sette indagati di cui è stato disposto il sequestro equivale alle imposte evase dagli indagati in materia di Iva e Irpef. Alle persone a carico delle quali sono state emesse le misure cautelari vengono contestati, oltre che la bancarotta fraudolenta e la truffa, anche l'emissione di una serie di fatturazioni per operazioni inesistenti. Le imprese di cui sono titolari i sette indagati lavorano nel settore dell'autotrasporto.

    Coinvolto vicesindaco Gizzeria. Il vice sindaco di Gizzeria, un comune del lametino, Francesco Argento, di 66 anni, è tra le persone coinvolte nell'inchiesta della Procura di Lamezia Terme che stamani ha portato la guardia di finanza ad eseguire sette misure cautelari per bancarotta fraudolenta e truffa. Argento non è coinvolto in qualità di vice sindaco ma come rappresentante legale delle società Argento Trasporto e Egiro. Anche gli altri indagati sono tutti amministratori di società. Si tratta del commercialista Carmelino Scalise (65), della Trans express, Luigi Barbagallo (48), della Poliservice, Alfredo Argento (73), della Fratelli Argento, Michelino Argento (45), della Argento Group, Francesco Argento (48), della Miniera Trasporti, Domenico Cerra (44), titolare dell'omonima ditta individuale. Tutte le imprese operano nel settore dei trasporti. Barbagallo, Francesco Argento (66), Alfredo Argento e Carmelino Scalise sono stati posti agli arresti domiciliari, mentre a Michelino Argento, Francesco Argento e Domenico Argento è stato notificato un provvedimento di obbligo di dimora nel comune di residenza. Le indagini sono state avviate dopo il fallimento, dichiarato nel 2010, della Poliservice. I finanzieri del Gruppo di Lamezia hanno accertato che la società era stata costituita ad hoc nel 2008 per consentire alle altre, riconducibili ad un ristretto nucleo familiare, di conseguire illeciti risparmi di imposte e contributi previdenziali e assistenziali, per poi essere destinata, a causa degli ingenti debiti erariali accumulati, al fallimento per insolvenza, dopo aver distratto il patrimonio e i ricavi e avere creato passività per quasi quattro milioni di euro. Il sistema utilizzato, secondo l'accusa, era quello della stipula di contratti di "associazione in partecipazione" tra la Poliservice e le altre imprese, che avevano licenziato formalmente quasi tutti i loro dipendenti per farli assumere, "sulla carta", dalla prima. Quest'ultima impiegava lo stesso personale, circa 300 dipendenti, nelle attività lavorative svolte dalle altre società. In realtà, secondo l'accusa, i dipendenti continuavano ad essere gestiti, e in alcuni casi remunerati, direttamente dalle imprese di provenienza. Nel corso dell'operazione sono stati sequestrati 74 fabbricati, 93 terreni, 195 mezzi, quote societarie e disponibilità finanziarie per quasi sei milioni di euro. "Per la prima volta - ha detto il Procuratore della Repubblica di Lamezia Terme, Domenico Prestinenzi - è stato applicato il sequestro per equivalente che consente di sottrarre alle disponibilità delle persone indagate beni rapportati al danno cagionato all'erario".

    L’ordinanza scaturisce da indagini di polizia giudiziaria e tributaria della guardia di finanza lametina, avviate a seguito del fallimento, dichiarato nell’ottobre 2010, della “Poliservice s.r.l.” - una società lametina operante nel settore dei trasporti “conto terzi”.

    In particolare, i finanzieri, coordinati dalla procura lametina, hanno accertato che tale società era stata costituita ad hoc nel 2008 per consentire alle altre, operanti nel medesimo settore e riconducibili essenzialmente ad un ristretto nucleo familiare, di conseguire illeciti risparmi di imposte e contributi previdenziali e assistenziali, per poi essere destinata, a causa degli ingenti debiti erariali accumulati, al fallimento per insolvenza, dopo aver  distratto o dissipato il patrimonio e i ricavi e aver creato passività per quasi quattro milioni di euro.

    Il disegno criminoso veniva realizzato mediante la formale stipula di contratti di “associazione in partecipazione” tra la “Poliservice s.r.l.” e le altre imprese, che licenziavano formalmente quasi tutti i propri dipendenti per farli assumere, “sulla carta”, dalla prima.

    Quest’ultima, in qualità di associata, impiegava lo stesso personale (complessivamente circa 300 dipendenti) nelle attività lavorative rispettivamente svolte dalle associanti.

    Le perquisizioni da cui ha avuto avvio l’attivita’ di p.g. nell’ottobre 2010 e poi l’escussione dei lavoratori (sparsi sul territorio nazionale), mirate indagini finanziarie e controlli documentali incrociati, hanno dimostrato che, in realtà, i dipendenti avevano continuato ad espletare le stesse mansioni, organizzati e gestiti, oltre che in alcuni casi remunerati, direttamente dai gestori delle imprese di provenienza, per cui la stipula dei contratti (peraltro vietati dalle norme sul collocamento della manodopera), si dimostrava dolosa, finalizzata solo a consentire alle associanti di sottrarsi agli obblighi di versamento degli oneri - previdenziali, assistenziali e fiscali - gravanti sul lavoro dipendente, trasferiti all’associata che sistematicamente vi si sottraeva fino al fallimento, richiesto e ottenuto dalla procura della repubblica nell’ottobre 2010.

    Inoltre, a fronte di tali false prestazioni, la Poliservice emetteva ingenti fatture alle associanti, consentendogli anche di fruire detrazioni d’iva e deduzioni di costi “gonfiati” rispetto alle effettive spese sostenute per il lavoro. ovviamente la Poliservice ometteva il versamento dell’iva e delle imposte dirette su tali falsi “ricavi”.

    La frode era celata anche da frequenti e consistenti pagamenti, documentati dalle associanti con bonifici e assegni “tracciati” a favore della Poliservice che le indagini finanziarie hanno dimostrato essere solo in parte utilizzati per pagamenti di stipendi, mentre ingenti somme erano prelevate dall’amministratore della Poliservice in contanti, per pagare “fantomatici” fornitori. 

    Le imposte evase prese a base per il sequestro “per equivalente”, derivano in totale da:

    • iva non versata per € 1.214.365,49;
    • ritenute irpef operate e non versate per € 434.562,36;
    • totale imponibile fatture false emesse/utilizzate per € 8.982.720,64;
    • totale iva fatture false emesse/utilizzate: per € 1.797.835,85.

     

    mentre i beni sequestrati: nr. 74 fabbricati, nr. 93 terreni, nr. 195 mezzi, quote societarie e disponibilita’ finanziarie, ammontano a quasi sei milioni di euro.

     

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