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    Pagavano mezzo stipendio ai dipendenti, Gdf sequestra beni per 1.6 mln a Lamezia

     

     

    Pagavano mezzo stipendio ai dipendenti, Gdf sequestra beni per 1.6 mln a Lamezia

    17 lug 13 La Guardia di finanza ha sequestrato beni per un valore di un milione e 600 mila euro a tre imprenditori coinvolti in un'inchiesta, per la quale nel dicembre scorso la Procura della Repubblica di Lamezia Terme ha emesso l'avvio di conclusione indagini, in cui sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alle estorsioni. I tre imprenditori, Angelo Martino, ed i figli Salvatore e Valeria, avrebbero versato ai dipendenti la metà dello stipendio cui avevano diritto. La misura ablatoria ha riguardato:
    - quote societarie intestate ai tre soggetti ed a un loro congiunto, del valore di circa € 1.100.000,00,
    - un’imbarcazione del valore di € 175.000,00;
    - titoli e disponibilita’ finanziarie per € 323.658,55.

    L’operazione, denominata “primo maggio”, era stata avviata nel 2011 a seguito della denuncia di un dipendente, rivoltosi alla guardia di finanza lametina perche’ stanco di subire vessazioni - sotto il profilo economico e morale - dal proprio datore di lavoro. Le conseguenti indagini, oltre a far constatare la veridicita’ di quanto dichiarato dal lavoratore, permettevano di far luce su un piu’ vasto fenomeno di sfruttamento illecito dei dipendenti, attuato sistematicamente da quattro imprese lametine, amministrate dal ristretto nucleo familiare indagato ed attive nella gestione di aree di servizio e distribuzione di carburanti. In particolare, i finanzieri avevano scoperto che le società degli indagati, almeno dal 2001, costringevano sistematicamente numerosi dipendenti, con l’implicita prospettiva di licenziamento, ad accettare gravose condizioni lavorative (rinuncia a ferie, riposi e indennita’ aggiuntive; prestazioni di lavoro eccedenti le ore previste non retribuite, ecc..) ma soprattutto a restituire in contanti ai datori di lavoro circa la meta’ dello stipendio indicato in busta paga. Le indagini, svolte con intercettazioni ambientali e telefoniche, esame delle movimentazioni finanziarie, escussioni testimoniali e riscontri contabili, nonostante la ritrosia di quasi tutte le vittime nel riferire le reali condizioni lavorative per il timore di essere licenziati, consentivano di verificare la reale estensione del fenomeno illecito, risultato tale da rappresentare una sostanziale fonte di arricchimento per gli amministratori/soci delle imprese coinvolte che, solo riguardo alla restituzione di somme, superava i 550 mila euro. Proprio la connessione tra patrimoni accumulati e sfruttamento dei lavoratori con modi ritenuti estorsivi, dimostrata dai finanzieri con mirati accertamenti patrimoniali, reddituali e finanziari, su indagati e loro familiari, ha indotto la procura lametina a proporre la confisca, in relazione alla previsione dell’art.12 sexies della legge nr. 356/92, dei capitali da questi posseduti e ritenuti sproporzionati rispetto ai redditi leciti prodotti. Tali esiti investigativi sono stati condivisi dal gip. del tribunale di Lamezia terme, che ha disposto il sequestro preventivo finalizzato all’applicazione della “confisca allargata”, cosiddetta perche’ colpisce tutti i beni nella disponibilità - anche per interposta persona - di persone condannate per gravi reati (tra i quali, appunto, l’estorsione), senza la necessità di dimostrare l’esistenza del “vincolo di pertinenzialità" tra i delitti ascritti al soggetto e il patrimonio accumulato, se l’interessato non è in grado di provarne la legittima provenienza. Fondamentali, a tale scopo, sono stati gli accertamenti patrimoniali e finanziari, rivolti alla reale ricostruzione delle ricchezze illecitamente accumulate dagli indagati svolti dalle fiamme gialle cosi’ evidenziando le peculiarita’ loro demandate tra i compiti istituzionali.

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