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    Per colpa della ndrangheta calabresi alla fame. Oltre 40mila aziende taglieggiate

     

     

    Per colpa della ndrangheta calabresi alla fame. Oltre 40mila aziende taglieggiate

    05 lug 13 Una perdita annua della ricchezza pari a circa il 3,5% del prodotto interno lordo calabrese con una mancata crescita economica per 1,2 miliardi di euro. E' quanto incide, dal punto di vista economico, la 'ndrangheta in Calabria secondo le stime e le cifre contenute nel libro "L'impero della 'Ndrangheta" scritto dalla parlamentare Dorina Bianchi e dall'economista Raffaele Rio su dati e interviste Demoskopika rilevati in esclusiva per gli autori. Il libro, una cui anticipazione è stata fatta stamani a Catanzaro, sarà presentato il prossimo 15 luglio a Roma con il presidente del Senato Pietro Grasso e il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Gli autori del libro hanno anche tentato di stimare quanto la presenza dei clan calabresi sia in grado di frenare la crescita del sistema economico e imprenditoriale. Dalle valutazioni espresse dagli intervistati emerge che un imprenditore su tre (33,4%) dichiara che il fatturato della propria azienda sarebbe maggiore se potesse svolgere la propria attività in un contesto territoriale più sicuro e libero dai tentacoli della criminalità organizzata: il 13,6% del campione stima che la crescita potrebbe essere addirittura del "20% e oltre" rispetto ai valori congiunturali, il 9,3% ritiene che ci potrebbe essere un incremento almeno del 10%, mentre il 10,5% calcola che potrebbe aumentare del 5%. Maggiori le percentuali di quanti (43,7%) fanno sapere che la criminalità non costituisce una reale e grave causa ostativa alla crescita a cui si aggiunge il 22,9% di chi preferisce non rispondere o di non sapere o di non voler fornire alcuna stima o valutazione. Nel libro emerge anche che le linee di intervento suggerite dalle imprese calabresi, in primo luogo viene indicato l'aumento del controllo delle forze dell'ordine (51,6% degli intervistati). Meno significativi ma da non trascurare anche altri tipi di azioni, quali una maggiore solidarietà tra imprenditori (7,4%) e una maggiore attenzione accompagnata, se possibile, da interventi più mirati da parte della associazioni di categoria (6,3%).

    40.000 aziende taglieggiate. Usura e racket colpirebbero oltre 40 mila commercianti e operatori economici calabresi, pari praticamente ad un terzo, il 38,5% dei quali non si sente assolutamente al sicuro e il 18,5% indica le estorsioni e l'usura tra i principali reati subiti nell'area in cui opera. Tuttavia, ben il 74,9% ribadisce la volontà di non arrendersi. Sono alcune delle stime contenute nel libro "L'impero della 'Ndrangheta'' scritto dalla parlamentare Dorina Bianchi e dall'economista Raffaele Rio. Per il 70% degli intervistati le aziende calabresi sono vittime di vessazioni, imposizioni o di reati di vario tipo. Furti (23,6%), estorsioni e usura (18,5%), danneggiamenti (7,7%) sono i reati di cui si sente maggiormente parlare, ma non manca chi, fra gli intervistati, denuncia forme alternative di controllo della criminalità quali imposizioni di manodopera, forniture e merci, attentati dinamitardi. Quasi quattro intervistati su dieci (38,5%) risponde di non sentirsi assolutamente al sicuro in considerazione dell'elevata diffusione delle attività criminali. Il 35,1% si sentono abbastanza sicuri ma fanno rilevare che le attività criminali sono evidenti pur se piuttosto rare. Solo per il 15,2% del campione l'area territoriale in cui opera risulta molto sicura. La 'ndrangheta, e' l'analisi del volume, è percepita come una componente "normale" dal mondo produttivo e più in generale della realtà in cui si opera, una forza talmente radicata e diffusa in alcune zone, da creare una sorta di assuefazione che condiziona le percezioni degli stessi imprenditori. Si arriva alla situazione paradossale per cui l'insieme delle attività vessatorie sembrano costituire uno scenario inevitabile. Di fronte a questo quadro, tuttavia, la quasi totalità degli intervistati (74,9%) non sembra intimidita, mostrando fermezza e ribadendo la volontà di non arrendersi e di continuare a lavorare nella propria terra di origine, non considerando, dunque, nemmeno lontanamente l'idea di trasferire o chiudere. Deve comunque far riflettere, sostengono Raffaele Rio e Dorina Bianchi, che un 13,3% del campione ha deciso di trasferirsi o di chiudere (3,2%) o che sta considerando l'ipotesi di lasciare la Calabria e iniziare altrove l'attività o farla cessare (10,1%).

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