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    Processo Minotauro, Gup: ndrangheta si muoveva nella politica torinese

     

     

    Processo Minotauro, Gup: ndrangheta si muoveva nella politica torinese

    25 gen 13 Appare evidente che la compagine criminale è attiva nel muoversi nelle dinamiche politiche intercorrenti sul territorio piemontese e in particolare nella provincia di Torino". Lo scrive il gup Cristiano Trevisan, del tribunale di Torino, nelle motivazioni della sentenza del processo di 'ndrangheta chiamato Minotauro che si e' chiuso, per quanto riguarda la parte del giudizio abbreviato, con 58 condanne lo scorso ottobre. Il giudice, fra l'altro, dedica una parte del documento (lungo 2.504 pagine) al tentativo di presunti affiliati di condizionare le primarie del centrosinistra per la scelta del candidato a sindaco di Torino nel 2011. Si parla anche di un tentativo di procurare voti a Piero Fassino ma anche ad almeno un altro candidato, che però nelle motivazioni non viene menzionato. Non risulta però che entrambi fossero a conoscenza del tentativo né sono mai stati indagati dalla procura nell'ambito del procedimento. Dalla lettura delle motivazioni si ricava che, nel 2011, il deputato Domenico Luca' (Pd) contattò Salvatore Demasi, che nelle carte del processo viene indicato come il capo del "locale" di Rivoli (Torino), e gli chiese di "attivarsi per ottenere e reperire consensi" per la candidatura di Fassino alle primarie. In una delle conversazioni telefoniche intercettate dagli inquirenti, Demasi comunica di avere provveduto "per il nostro amico", anche se "la battaglia è complicata" perché "anche l'altro si è dato da fare"; e Lucà conferma che l'avversario (che altrove indica in Davide Gariglio) "si è dato molto da fare con i calabresi". Sono numerosi gli episodi di tentativo di condizionamento della politica che il giudice Trevisan elenca nella sentenza. Demasi, per esempio, ha avuto contatti, a vario titolo, con Gaetano Porcino, deputato Idv, il consigliere regionale Antonino Boeti (Pd), l'assessore all'istruzione del comune di Alpignano, Carmelo Tromby (Idv), e si è interessato alla campagna elettorale per l'elezione a sindaco di Cirié del candidato Francesco Brizio Falletti. E' inoltre "altamente rappresentativo dell'influenza che la 'ndrangheta assume nella vita democratica'' l'incontro del 2009 fra i presunti boss e Claudia Porchietto, assessore regionale al Lavoro, che all'epoca era candidata del Pdl alla Provincia di Torino. Il giudice afferma inoltre che già nel 2003 uno degli esponenti dei "locali" aveva "intravisto nell'allora assessore regionale ai lavori pubblici, Caterina Ferrero, un possibile referente, a dire degli interlocutori, per l'aggiudicazione di lavori". Si citano poi episodi avvenuti nei paesi di Leinì, Castellamonte, Borgaro Torinese. E tutti sono, in generale, "alquanto eloquenti - commenta il gup Trevisan - per comprendere come gli uomini della consorteria intendano i rapporti con gli uomini politici in termini di continuo sinallagma tra favori fatti e favori da rendere. Ciò non può non allarmare, indipendentemente dall'eventuale buona fede del candidato politico".

    La 'ndrangheta in Piemonte e' "in grado di infettare le istituzioni". Lo scrive un giudice torinese, Cristiano Trevisan, in una delle 2.500 pagine in cui ha raccolto le motivazioni di una sentenza. Si tratta della prima tranche, quella condotta con il rito abbreviato, del maxi-processo Minotauro, sfociata lo scorso ottobre in una sessantina di condanne. La seconda, che annovera 73 imputati, è in corso in questi giorni. La sentenza parla degli otto "locali" (le cellule di base) e del "crimine" (il supergruppo adibito alle azioni violente) attivi a Torino e nel circondario: organizzazioni guidate secondo l'accusa dai clan dei Marando, dei Crea, degli Iaria e altri, che pur essendo "giuridicamente autonomi" dalle case madri calabresi, hanno "la tipica struttura 'ndranghetistica'', con i capi, le gerarchie, i gradi (le "doti"), i riti, l'aiuto ai latitanti, la capacità di intimidire e "assoggettare larghi strati della popolazione". Il giudice mette nero su bianco i numerosi tentativi delle cosche di condizionare la vita politica locale: di imputati ce n'é uno solo, Nevio Coral, all'epoca sindaco di Leinì, ma di episodi ce ne sono tanti. Un piccolo imprenditore, Salvatore Demasi detto 'Giorgio', che nelle carte è indicato come un presunto boss, viene contattato nel 2011 dal deputato Domenico Lucà (Pd) perché porti voti a Piero Fassino durante le primarie del centrosinistra per la carica di sindaco di Torino: il suo aiuto é prezioso, visto che anche un altro candidato (si legge nelle intercettazioni) si sta facendo "aiutare dai calabresi". Poi si parla di Claudia Porchietto, assessore regionale (Pdl) al lavoro, che nel 2009 incontra dei personaggi già nel mirino dei carabinieri mentre tenta di diventare Presidente della Provincia. Di un deputato dell'Idv, Gaetano Porcino, di un consigliere regionale del Pd, di sindaci o aspiranti tali di diversi paesini. Tutti i politici risultano all'oscuro, tanto è vero che non vengono nemmeno indagati. "Ma indipendentemente dalla buona fede - commenta il giudice - ciò non può non allarmare". La sentenza di Trevisan è considerata importante negli ambienti giudiziari torinesi perché, di fatto, è di tenore opposto rispetto a quella di un processo di poco precedente, chiamato "Albachiara", sulle cosche del Basso Piemonte, finito con una serie di assoluzioni che avevano irritato non poco la Direzione distrettuale antimafia. E sottolinea che, in linea generale, per arrivare a una condanna non si deve "pretendere" che la 'ndrangheta del Piemonte sia esattamente come quella della Calabria: non occorre un ''assoggettamento totalizzante della società civile", ma è "sufficiente che risulti provata una situazione di asservimento limitata a settori della comunità".

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