Giudici: ancora ignote modalità uccisione Lea Garofalo - Nuova Cosenza Quotidiano d'informazione della Calabria

Giudici: ancora ignote modalità uccisione Lea Garofalo

20 ago 13 Lea Garofalo, la testimone di giustizia calabrese che venne uccisa a Milano il 24 novembre del 2009 e il cui corpo fu bruciato in un magazzino a Monza, doveva essere cancellata ''dalla faccia della terra, non solo uccidendola, ma anche disperdendone ogni traccia materiale'', secondo il piano dell'ex compagno Carlo Cosco. Lo scrivono i giudici della Corte d'Assise d'Appello di Milano nelle motivazioni - riportate oggi dal quotidiano 'Il Giorno' - della sentenza con cui, lo scorso 29 maggio, hanno confermato l'ergastolo per Carlo Cosco e per altre tre persone, hanno assolto un altro imputato e condannato a 25 anni di carcere il pentito Carmine Venturino. I giudici d'appello, infatti, avevano dovuto riformare la sentenza di primo grado (sei ergastoli) e rivalutare le singole responsabilità, dopo i 'colpi di scena', tra dichiarazioni degli imputati e confessioni, che si erano succeduti dopo il verdetto del Tribunale del marzo 2012. Nelle motivazioni di secondo grado, i giudici spiegano che a spingere Carlo Cosco a mettere in atto il suo progetto omicida fu il ''rancore per l'abbandono'' subito da parte di Lea. E chiariscono poi che ''la scelta collaborativa di Lea non può che avere svolto una funzione moltiplicatrice'' nel suo obiettivo di eliminarla. Inoltre, per la Corte non è del tutto attendibile nemmeno la versione del pentito Venturino, che fece ritrovare i pochi resti della donna la scorsa estate. Secondo i giudici, infatti, ci sono stati ''accordi interni'' tra gli imputati ''per salvare il salvabile''. Di fatto, aggiungono, ''le modalità di esecuzione dell'omicidio restano sconosciute''.