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    Ambientalisti fanno ricorso contro centrale carbone a Saline

     

     

    Ambientalisti fanno ricorso contro centrale carbone a Saline

    27 nov 12 "Lo stop al carbone in Italia cominci da Saline Joniche insieme con l'assunzione di una seria politica 'taglia-emissioni' in grado di rispondere all'emergenza climatica, al centro del dibattito della COP18, il vertice internazionale sul Clima in corso a Doha, in Qatar, fino al 7 dicembre". E' il messaggio che Greenpeace, Legambiente, Lipu e Wwf hanno lanciato oggi durante la conferenza stampa di presentazione del ricorso contro la decisione della Presidenza del Consiglio dei Ministri di autorizzare la costruzione di una nuova centrale a carbone presso Saline Joniche (RC) da parte del consorzio S.E.I., capeggiato dalla società svizzera Repower. Alla conferenza stampa hanno partecipato anche Slow Food Italia e un portavoce della rete grigionese contro il carbone. "Fermare la costruzione della centrale a carbone di Saline Joniche, in Calabria - dichiarano le associazioni ambientaliste in una nota congiunta - è un primo passo fondamentale per bloccare l'avanzata in tutta Italia delle lobby del carbone e di una politica energetica vecchia, inutile e dannosa per il clima e la salute ma che tuttora persiste, con una quota di circa il 13% , nella Strategia energetica nazionale in fase di pubblica consultazione". "La stessa Repower - si aggiunge nella nota - ha recentemente ammesso che non costruirebbe mai una centrale come quella di Saline Joniche in Svizzera. Dovrebbero però spiegare perché la stessa centrale, che a pieno regime emetterebbe ben 7,5 milioni di tonnellate di CO2 l'anno (per non parlare delle altre sostanze pericolose per la salute umana), dovrebbe essere tollerata dai calabresi. E' una domanda che anche nel Canton dei Grigioni, pongono movimenti, partiti e associazioni che condannano nettamente l'investimento di Repower in Calabria e chiedono, anche attraverso un referendum e la proposta di un 'premio-vergogna', di rivedere tale decisione. Tra l'altro il progetto fa riferimento ad una tecnologia, quella della cattura e confinamento geologico della CO2, allo stato attuale e nel futuro più prossimo, impraticabile in quanto ancora in via di sperimentazione, non matura e insostenibile economicamente e comunque non applicabile in zone sismiche come quella di Saline Joniche".

    Un investimento "inutile", in "contrasto con la volontà popolare" delle comunità locali e della "Regione Calabria", che "a pieno regime potrebbe causare la morte prematura di 44 persone all'anno". E' quanto hanno detto, in sintesi, le tesi delle maggiori associazioni ambientaliste (Legambiente, Wwf Italia, Greenpeace e Lipu) nel corso della presentazione questa mattina a Palazzo Madama del ricorso al Tar del Lazio, fatto all'inizio di novembre, contro la costruzione della centrale a carbone di Saline Joniche (Rc) da parte del consorzio Sei capeggiato dalla società svizzera Repower, in opposizione "all'autorizzazione della presidenza del Consiglio dei ministri". La richiesta delle sigle ambientaliste non si ferma soltanto a questa centrale, ma è una vera e propria lotta al carbone rilanciata in occasione della Conferenza mondiale Onu sui cambiamenti climatici in corso a Doha in Qatar: "Lo stop al carbone in Italia cominci da Saline Joniche insieme con l'assunzione di una seria politica per tagliare le emissioni in grado di rispondere all'emergenza climatica; in Italia si fermino le lobby del carbone, a partire da Saline Joniche fino Porto Tolle e Vado Ligure, e si elimini la quota del 13% di carbone dalla Strategia energetica nazionale". Per Francesco Ferrante, senatore del Pd, la quota di carbone presente nella Strategia energetica nazionale è "un errore grave da correggere. Il futuro di questo Paese è nelle rinnovabili e nell'efficienza energetica, non certo nel carbone". Nuccio Barillà di Legambiente mette in evidenza il contrasto delle autorità locali, a cominciare dal "comune di Montebello Jonico che ha presentato ricorso ed affianca quello della Regione". Secondo Stefano Leoni, presidente del Wwf, "occorre invertire la rotta: il 13% di carbone, indicato nel Piano, provoca però il 30% delle emissioni di CO2 ed in più genera malattie". Quattro i principali motivi su cui si fonda il ricorso delle associazioni ambientaliste: la "violazione" della direttiva europea 'Habitat'; la "mancanza dell'alternativa" dell'opzione 'zero' (ovvero una valutazione dell'effettiva utilità dell'opera); la presentazione di "un progetto con troppe carenze"; la "mancata presa in considerazione dei vincoli" paesaggistici. Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, sottolinea che sono "molto elevati" gli impatti di una centrale di questo tipo, con "emissioni pari a circa 7,6 milioni di tonnellate di CO2 all'anno per un'esposizione di 30-40 anni; cosa che potrebbe causare la morte prematura di 44 persone ogni anno in base ad un algoritmo dell'Agenzia europea per l'ambiente, e 101 milioni di costi sanitari; e poi anche se 'pulito', il carbone è 6 volte più pericoloso per la salute umana del gas". E Fulvio Mamone Capria della Lipu ricorda infine che "il governo non poteva chiudere un accordo senza la volontà delle comunità locali"

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