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    Operazione ceralacca: come vincevano sempre gli appalti

     

     

    Operazione ceralacca: come vincevano sempre gli appalti

    09 mar 12 Erano sempre gli stessi ad aggiudicarsi gli appalti banditi dalla Stazione unica appaltante (Suap) di Reggio Calabria e questa circostanza ha richiamato l'attenzione dei concorrenti e, soprattutto, degli inquirenti che hanno così portato a termine l'operazione "Ceralacca" con arresti anche di funzionari pubblici (tre della Sorical tra cui il marito della sorella della showgirl Elisabetta Gregoraci) e sequestri di società. Numerosi bandi, 6,4 milioni di euro, pubblicati a livello nazionale hanno visto, troppo frequentemente, secondo i finanzieri, sbaragliare ogni tentativo di concorrenza delle imprese dell'intera platea imprenditoriale italiana da parte di alcuni imprenditori reggini. E' proprio l'eccessiva "benevolenza" della Dea bendata che non ha convinto i militari della Guardia di Finanza e la Procura di Reggio Calabria dando impulso alle indagini coordinate dal sostituto procuratore Matteo Centini. E' così che sono stati passate sotto la lente d'ingrandimento le migliaia di buste "ceralaccate" contenenti le offerte relative alle gare d'appalto ed è subito stato chiaro che erano presenti numerosi elementi di anomalia tali da far pensare che le stesse gare potessero essere state pilotate. Intercettazioni telefoniche, video ed ambientali hanno permesso di determinare anche il singolare modus operandi: costituiti in vera e propria associazione a delinquere, la famiglia Bagalà grazie alla complicità di alcuni funzionari ed impiegati pubblici corrotti, s'impossessavano delle buste, le aprivano, verificavano l'offerta delle concorrenti, le richiudevano abilmente e sostituivano quelle presentate dalle proprie imprese e/o di quelle a loro vicine per assicurarsi gli appalti. Le buste, poi, venivano riposte nelle casseforti e, in questo modo, le Commissioni di aggiudicazione si trovavano di fronte a gare formalmente "ineccepibili" e non potevano far altro che affidare i lavori al vincitore. Le attività hanno permesso di constatare che la turbativa non riguardava solo gli appalti della SUAP, bensì, che l'attività illecita era stata estesa anche a varie altre Stazioni Appaltanti quali la Provincia di Reggio Calabria e la SO.RI.CAL (Società Risorse Idriche Calabresi) di Catanzaro. L'ambizione dei Bagalà non si limitava all'aggiudicazione degli appalti a proprio favore ma mirava al controllo, pressoché totale, delle gare pubbliche. In altri termini, nel loro intento nessuno avrebbe potuto lavorare con la Pubblica amministrazione senza il loro patronato. Non solo, i Bagalà erano arrivati addirittura a pensare di sostituirsi alla Veolia nella quota privata del capitale della Sorical, la cui maggioranza è detenuta dalla Regione. Per ottenere i propri fini non hanno evitato di ricorrere ad ogni tipo di condizionamento corrompendo funzionari e pubblici dipendenti, ponendo in essere atti intimidatori nei confronti di chi mostrava "titubanze" cercando addirittura l'appoggio di esponenti politici locali, loro vicini, (sulla cui consapevolezza non sono emersi elementi di rilievo) tentando di indurli a fare pressioni nelle competenti sedi per rimuovere "politicamente" alcuni funzionari che ritenevano scomodi per i loro scopi. La sicurezza nel modus operandi adottato era tale che non si sono fermati nemmeno dopo il sequestro effettuato dalla Guardia di Finanza, il 10 gennaio scorso, delle buste relativa ad una gara che avrebbe dovuto svolgersi poche ore dopo travate ingiustificatamente nel possesso di Giuseppe Bagalà. La migliore soluzione individuata è stata quella di presentare una denuncia di furto nel maldestro tentativo di giustificare il possesso delle buste simulando l'illecita sottrazione alla SO.RI.CAL. Oggi, nel corso delle perquisizioni, a casa degli indagati sono stati trovati titoli e conti per 2,5 milioni e le copie delle chiavi di tutti gli uffici della Provincia di Reggio, della Sorical e della cassaforte della Suap.

    La Provincia di Reggio Calabria aveva avuto il sentore che qualcosa non stesse andando per il verso giusto nell'attività della Suap ed era corsa ai ripari predisponendo una serie di misure per garantire la trasparenza delle procedure. Era stata l'allora dirigente della Suap, Mariagrazia Blefari, il 29 agosto dello scorso anno ad informare il presidente dell'ente, Giuseppe Raffa, di avere accertato, alcuni giorni prima, delle irregolarità nelle buste presentate per due gare di appalto. La dirigente aveva informato anche i finanzieri che fanno parte della stessa Stazione unica appaltante ed aveva inviato un esposto alla Procura, che anche sulla base di questa segnalazione ha avviato le indagini. Dal canto suo, Raffa dispose l'avvio di un'inchiesta interna facendo nominare un'apposita commissione. Quest'ultima indicò una serie di interventi per rendere più sicura la sede della Suap con l'installazione di telecamere e il cambio delle serrature. Misure adottate da Raffa nei mesi scorsi. La commissione, però, non poteva sapere che, secondo quanto accertato poi dagli investigatori della Guardia di Finanza, la manomissione delle buste avveniva grazie ad un dipendente infedele, l'usciere della sede, che consentiva l'accesso in orari notturni ai componenti della famiglia Bagalà. Questi ultimi, in un'occasione, probabilmente informati dal loro complice delle modifiche apportate al sistema di sicurezza, sono entrati nella sede della Suap indossando maschere di carnevale ed hanno cercato eventuali telecamere, dopo avere disattivato i sistemi di sicurezza. I Bagalà, però, non sono sfuggiti alle microcamere della Guardia di Finanza che li hanno immortalati mentre, ormai certi di essere al sicuro, si toglievano le maschere rivelando la loro identità. Nell'inchiesta è indagato, in stato di libertà, anche un altro dipendente della Provincia, Santo Placanica, di 59 anni, nei cui confronti il gip ha adottato un provvedimento di sospensione dall'ufficio.

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