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    Processo Crimine: Nelle motivazioni la trasformazione della ndrangheta

     

     

    Processo Crimine: Nelle motivazioni la trasformazione della ndrangheta

    21 lug 12 ''La 'Ndrangheta, storicamente nata e sviluppatasi in varie parti della provincia di Reggio Calabria ha assunto via via nel tempo ed in un contesto di trasformazione ancora non concluso, una strutturazione unitaria, tendente a superare il tradizionale frazionamento ed isolamento tra le varie 'ndrine". E' quanto scrive il gup di Reggio Calabria Giuseppe Minutoli nelle 860 pagine di motivazioni della sentenza del processo Crimine, depositate nel pomeriggio di ieri, che nel marzo scorso ha portato alla condanna a pene variabili dai 14 anni ed otto mesi di 94 tra boss e gregari. Una sentenza che ha confermato l'assunto della Dda di Reggio Calabria sull'unitarietà della struttura 'ndranghetista. Ed infatti il gup aggiunge: ''l'obiettivo che la Dda si era proposto di raggiungere e che, secondo questo giudice, è stato provato, era quello di delineare la struttura dell' organizzazione nel suo complesso, di individuare gli organi che la compongono e le 'norme' che regolano i rapporti al suo interno. Ed è questo, indubbiamente, l'elemento di dirompente novità apportato dalla presente attività di indagine". "La 'ndrangheta - prosegue - non puo' più essere vista in maniera parcellizzata come un insieme di cosche locali, di fatto scoordinate, i cui vertici si riuniscono saltuariamente (pur se a volte periodicamente), ma come un 'arcipelago' che ha una sua organizzazione coordinata ed organi di vertice dotati di una certa stabilità e di specifiche regole. L'unitarietà, a differenza di quanto è stato giudizialmente accertato per la mafia siciliana fa pienamente salva la persistente autonomia criminale delle diverse strutture territoriali. Tuttavia (ed è questa la novità del presente processo), l'azione dell' organismo di vertice denominato Crimine o Provincia, la cui esistenza è stata inoppugnabilmente accertata, seppur non sembra intervenire direttamente nella concreta attività criminale gestita in autonomia dai singoli locali di 'ndrangheta, svolge indiscutibilmente un ruolo incisivo sul piano organizzativo, innanzitutto attraverso la tutela delle regole basilari dell'organizzazione (una sorta di 'Costituzione' criminale), quelle, in definitiva, che caratterizzano la 'ndrangheta in quanto tale e ne garantiscono la riconoscibilita' nel tempo e nello spazio, anche lontano dalla madrepatria Calabria".

    Non un insieme di cosche ma una struttura unitaria. La 'ndrangheta non può essere vista in maniera parcellizzata come un insieme di cosche scoordinate tra loro. Ormai ha assunto "una strutturazione unitaria, tendente a superare il tradizionale frazionamento ed isolamento tra le varie 'ndrine''. E' questa la conclusione a cui è giunto il gup di Reggio Calabria Giuseppe Minutoli che nel marzo scorso, al termine del processo Crimine, ha condannato 94 tra boss e gregari a pene variabili dai 14 anni agli otto mesi di reclusione. Il perché è giunto a quelle condanne, il giudice lo scrive nelle 860 pagine di motivazione depositate ieri, nelle quali parla di "elemento di dirompente novità apportato dall'attività di indagine", dando atto alla Dda di Reggio Calabria di avere centrato l'obiettivo di delineare la struttura dell'organizzazione. Quindi la 'ndrangheta, per quanto emerso dall'inchiesta Crimine che, insieme a quella Infinito condotta dalla Dda di Milano, portò all'arresto di oltre 300 persone nell'estate del 2010, per il gup "é un 'arcipelago' che ha una sua organizzazione coordinata ed organi di vertice dotati di una certa stabilità e di specifiche regole". L'azione dell'organismo di vertice denominato Crimine o Provincia, scrive il gup definendola come la "novità" del processo, "seppur non sembra intervenire direttamente nella concreta attività gestita in autonomia dai singoli locali di 'ndrangheta, svolge indiscutibilmente un ruolo incisivo sul piano organizzativo''. Ed in questa organizzazione, per il gup, non è possibile "nessuna confusione" tra la carica di 'Capo Crimine' di Polsi, attribuita a Domenico Oppedisano, e la carica di Crimine che si attribuisce nell'indagine Meta a Giuseppe De Stefano, uno dei massimi esponenti della 'ndrangheta. I De Stefano, cosi' come i Tegano ed i Piromalli, non erano imputati, ma solo perché il processo "non può certo abbracciare l'intero panorama criminale reggino", ma il gup parla ugualmente del boss. Per sottolineare che l'inchiesta Meta lo tratteggia come colui che per volere di tutti i capi-locale ha avuto "attribuito il ruolo di responsabile per le attività criminali". Oppedisano, d'altro canto, "emerge prepotentemente quale personaggio di assoluto spessore nell'ambito della 'ndrangheta che fa capo al Crimine di Polsi''. Nelle motivazioni, il gup recupera anche un famoso scritto di Giovanni Falcone per dire che "non esiste la 'vecchia mafia' e la 'nuova mafia'". "La 'ndrangheta, anche quella che importa cocaina o che ricicla nei mercati finanziari mondiali ingenti risorse economiche - spiega il gup - e' quella che ha come substrato imprescindibile rituali e cariche, gerarchie e rapporti che hanno il loro fondamento in una subcultura ancestrale e risalente nel tempo, che la 'globalizzazione' del crimine non ha eliminato ma che, probabilmente, costituisce la forza di quella organizzazione ed il suo 'valore aggiunto'".

    Prestipino "Gup affermato principio unitarietà". "La sentenza del gup di Reggio Calabria è una sentenza di grande importanza per i principi che afferma con motivazioni ricche di argomentazioni. Il giudice, sulla scia di altre sentenze già pronunciate da giudici di Reggio e di Milano, afferma il principio dell' esistenza della 'ndrangheta come organizzazione unitaria, fortemente strutturata, dotata di proprie regole gerarchiche, organizzata con un organo di vertice che la governa''. E' questo il commento del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Michele Prestipino, alle motivazioni della sentenza del processo Crimine. "Il giudice - ha aggiunto Prestipino - riconosce anche l'esistenza delle molteplici proiezioni che la 'ndrangheta vanta fuori dal territorio calabrese e argomenta sui rapporti funzionali tra tali proiezioni e la casa madre, da sempre attestata a Reggio Calabria e nella sua provincia. E' un passo importante verso il riconoscimento di un principio che in questi anni è stato alla base dell'azione di contrasto alla 'ndrangheta e che costituira' il principio guida per le future iniziative investigative e processuali".

    "Nessuna confusione può essere fatta tra la carica di 'Capo Crimine' di Polsi (nel periodo interessato dalle indagini attribuita a Domenico Oppedisano) e la carica di Crimine che si attribuisce a Giuseppe De Stefano nell'ambito della operazione Meta". Lo scrive il gup di Reggio Calabria nelle motivazioni della sentenza Crimine citando De Stefano, uno dei massimi esponenti della criminalità organizzata calabrese, non imputato nel processo. Una confusione che non esiste, spiega il gup, perché la carica a De Stefano "riguarda esclusivamente il macro-organismo criminale reggino oggetto di Meta e all'interno del quale a De Stefano risulta attribuito il ruolo di responsabile per le attività criminali che agisce all'interno dell'organismo decisionale quale vertice operativo, per aver ricevuto, con l'accordo di tutti i capi-locale, la carica di Crimine". "D'altro canto - aggiunge il gup - non risponde neppure al vero che i nomi di alcune delle storiche 'famiglie' 'ndranghetistiche emerse nei processi celebrati negli ultimi decenni a Reggio Calabria, come i De Stefano e i Tegano (mandamento citta') ed i Piromalli (mandamento tirrenico), non compaiano in questa indagine, che soltanto non ha tra i suoi imputati appartenenti a quelle cosche" per la "non 'universalita'' di questo processo, che non può certo abbracciare l'intero panorama criminale reggino". Passando a tratteggiare la figura dell'ottantenne Domenico Oppedisano, il gup sottolinea che la sua "figura emerge prepotentemente nel corso di tutta l'indagine quale personaggio di assoluto spessore nell'ambito della 'ndrangheta che fa capo al cosiddetto Crimine di Polsi. Si tratta di un vecchio 'patriarcà che vanta una riguardevole carriera criminale all'interno del sodalizio, per sua stessa ammissione. Certo, Oppedisano non è stato scelto quale Capo Crimine perché più feroce o più blasonato dal punto di vista criminale di altri. E' di tutta evidenza dalle plurime intercettazioni che la sua è stata una nomina di compromesso tra molteplici istanze di potere che riguardavano i vari mandamenti storici della 'ndrangheta reggina, in esito ad una complessa e defatigante 'trattativà. Ma è altresì vero che non è un mero uomo di paglia, bensì un autentico capo, e da lungo tempo, come emerge senza possibilità di equivoci da tutte le conversazioni in cui risulta essere 'ndranghetista ascoltato, stimato (e temuto) anche all'estero, perché di vecchio corso criminale. E la sua nomina ben si giustifica perché Oppedisano appare uomo capace di tentare mediazioni tra gruppi criminali agguerriti e, quindi, di evitare possibili conflitti, sempre in agguato".

    C'é anche una citazione di Giovanni Falcone nelle motivazioni della sentenza del processo contro il gotha della 'ndrangheta scaturito dall' operazione Crimine-Infinito coordinata dalle Dda di Reggio Calabria e Milano che nel luglio 2010 portò all'arresto di oltre 300 persone. "Come ha ben evidenziato in un suo famoso scritto del 1991 un magistrato martire del contrasto statuale alla mafia - scrive il gup di Reggio Calabria Giuseppe Minutoli - quest'ultima 'si caratterizza per la sua rapidita' nell'adeguare i valori arcaici alle esigenze del presente, per la sua abilità nel confondersi con la società civile, per l'uso dell'intimidazione e della violenza, per il numero e la statura criminale dei suoi adepti, per la sua capacità ad essere sempre diversa e sempre uguale a se stessà. Ha, quindi, aggiunto significativamente che 'e' necessario distruggere il mito della presunta nuova mafia o, meglio, dobbiamo convincerci che c'é sempre una nuova mafia pronta a soppiantare quella vecchià". "La verità - prosegue il gup - è che, come è stato ben evidenziato, non esiste la 'vecchia mafia' e la 'nuova mafia'. Esiste la mafia, che però è cambiata nel tempo perché si è adattata ai cambiamenti dell'economia e della società in genere. Gli arresti giurisprudenziali passati in giudicato dimostrano che sempre, in una prospettiva diacronica, si è assistito a ricambi generazionali e ad una evoluzione di strumenti e modalità di attuazione del programma criminoso, che resta sempre e comunque di estrema pericolosità per le fondamenta dello Stato democratico. Riprendendo questi concetti, perfettamente applicabili al fenomeno 'ndrangheta, a giudizio del Tribunale e' evidente che non può parlarsi di una 'ndrangheta vecchio stile, che si limita a rituali inoffensivi, e di una 'ndrangheta militare o che si insinua negli affari o che si dedica al narcotraffico". "La 'ndrangheta, anche quella che importa dal Sudamerica cocaina o che ricicla nei mercati finanziari mondiali ingenti risorse economiche - scrive il gup - e' quella che ha come substrato imprescindibile rituali e cariche, gerarchie e rapporti che hanno il loro fondamento in una subcultura ancestrale e risalente nel tempo, che la 'globalizzazione' del crimine non ha eliminato ma che, probabilmente, costituisce la forza di quella organizzazione ed il suo 'valore aggiunto'".

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