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    Processo clan Pesce: minacce ad agente che trovò pizzino

     

     

    Processo clan Pesce: minacce ad agente che trovò pizzino

    05 giu 12 Un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Palmi ha avuto l'auto bruciata ed è stato poi trasferito per sicurezza, dopo avere sequestrato un pizzino al presunto boss Francesco Pesce, di 34 anni, che ha portato a numerosi arresti. E' quanto è emerso dopo che il pm della Dda di Reggio Calabria Alessandra Cerreti ha chiesto l'audizione di tre nuovi testimoni nel processo ai presunti capi ed affiliati alla cosca Pesce di Rosarno che si sta celebrano davanti al tribunale di Palmi. La richiesta, accompagnata dall'avviso di integrazione indagini con l'acquisizione al fascicolo del pm dei procedimenti Califfo 1 e 2 condotti nel 2012 sempre contro la cosca Pesce, è giunta a conclusione dell'udienza dedicata al controesame della collaboratrice di giustizia Giuseppina, figlia del boss Salvatore Pesce. La donna, due settimane fa, ha deposto davanti al Tribunale in trasferta nel carcere romano di Rebibbia ed oggi ha iniziato il controesame da parte dei difensori collegata in videoconferenza con l'aula del Tribunale di Palmi da una località segreta confermando, sostanzialmente, quanto già detto. Il controesame proseguirà venerdì. Al termine dell'udienza il pm ha avanzato le sue richieste sulle quali il Tribunale si dovrà pronunciare. In particolare, l'accusa ha chiesto di sentire un tenente del Ros dei carabinieri di Reggio Calabria ed il comandante ed il vice comandante della polizia penitenziaria del carcere di Palmi. Questi ultimi due dovranno riferire sia sull'episodio dell'intimidazione all'agente che sulle lesioni riportate da un detenuto, Salvatore Giovinazzo, provocate, secondo l'accusa, da un pestaggio da parte di altri detenuti per punirlo per non avere distrutto il pizzino passatogli da Pesce, consentendo così il sequestro. Sviluppando le informazioni contenute nel biglietto, i carabinieri hanno poi condotto le operazioni Califfo 1 e 2 alle quali hanno contribuito anche le dichiarazioni di Maria Concetta Cacciola, la testimone di giustizia che si è suicidata nell'agosto 2011 a Rosarno, non riuscendo più a sopportare le pressioni dei propri familiari. In quella occasione sono stati arrestati anche i genitori ed un fratello della donna proprio per le pressioni esercitate sulla congiunta allo scopo di farla ritrattare.

     

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