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    Beni cosca Pesce a prestanome: 7 arresti dei CC. Ha collaborato teste suicida

     

     

    Beni cosca Pesce a prestanome: 7 arresti dei CC. Ha collaborato teste suicida

    18 apr 12 E' morta suicida, dopo avere ingerito acido muriatico, nell'agosto del 2011. Eppure le dichiarazioni della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola consentono ancora alla Dda di Reggio Calabria di assestare colpi pesanti alla cosca Pesce della 'ndrangheta. Dopo gli arresti il 9 febbraio scorso di tre familiari di Maria Concetta Cacciola, accusati di averla sottoposta a vessazioni e violenze per indurla a ritrattare le sue dichiarazioni, oggi sono finiti in manette sei presunti affiliati alla cosca Pesce. Secondo i carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, che hanno eseguito le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip su richiesta della Dda, i sei arrestati avrebbero svolto un ruolo significativo per fare in modo di sottrarre i beni del gruppo criminale, tra i piu' noti ed attivi della 'ndrangheta, intestandoli a prestanome, ad un possibile sequestro da parte dell'autorità giudiziaria. Nell'ambito della stessa operazione sono stati sequestrati beni per un valore di un milione e mezzo di euro. Uno dei provvedimenti non è stato eseguito perché riguarda un affiliato alla cosca che era già latitante, Giuseppe Pesce, di 32 anni, irreperibile dall'aprile del 2010. Delle altre sei ordinanze eseguite tre riguardano altrettante donne. Si tratta di Maria Rosa Angiletta, di 29 anni, Maria Carmela D'Agostino (32), e Maria Grazia Spataro (25). Insieme alle tre donne sono stati arrestati Giuseppe Fabrizio, di 38 anni, e Demetrio e Domenico Fortugno, di 60 e 31 anni. Dalle indagini è emerso che Maria Rosa Angiletta, Maria Grazia Spataro e Maria Carmela D'Agostino risultano intestatarie di due imprese che sono tra quelle sequestrate dalla Dda. Ma per individuare totalmente il patrimonio della cosca Pesce, accumulato in decenni di attività illecite, la Dda reggina ha ancora tanto da lavorare, districandosi nel dedalo di incroci proprietari e false intestazioni studiato dai capi del gruppo criminale. Dalle indagini è emerso, tra l'altro, un particolare curioso. Uno dei capi della cosca, Francesco Pesce, fratello di Giuseppe, aveva un'incontenibile passione per il Superenalotto al punto che non riusciva a rinunciarci neppure durante la latitanza, conclusasi il 9 agosto del 2011. Pesce, in due occasioni, come risulta dalle immagini che sono in possesso dei carabinieri, aveva delegato per effettuare le puntate Giuseppe Pronestì, figlio di Antonio, arrestato lo stesso giorno in cui avvenne la cattura di Pesce.

    I Carabinieri del Ros e del comando provinciale di Reggio Calabria hanno eseguito alle prime luci dell'alba l' ordinanza di custodia cautelare nei confronti di sette persone accusate a vario titolo di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori con l'aggravante mafiosa. I destinatari del provvedimento sono ritenuti dagli investigatori esponenti della cosca Pesce di Rosarno, nel reggino. L'ordinanza è stata emessa dal Gip di Reggio Calabria su richiesta della Dda.

    --- Beni a prestanome: Boss Pesce giocava a superenalotto

    Centrale ruolo delle donne. Dall'indagine che ha portato all'arresto di sei presunti affiliati alla cosca Pesce della 'ndrangheta emerge ancora una volta la centralita' del ruolo delle donne nell'organizzazione del gruppo criminale. Dei sei arrestati, infatti, tre sono donne. Si tratta di Maria Rosa Angiletta, di 30 anni; Maria Carmela D'Agostino (33) e Maria Grazia Spataro (25). Le altre persone finite in manette sono Giuseppe Fabrizio (38), e Demetrio e Domenico Fortugno, di 60 e 31 anni. Delle sette ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Reggio Calabria su richiesta della Dda non è stata eseguita quella a carico di Giuseppe pesce, di 32 anni, che è latitante dall'aprile del 2010 dopo essere sfuggito all'operazione All inside. A causa delle lunghe detenzioni imposte agli uomini, riferiscono i carabinieri, le mogli, da custodi della mentalità mafiosa all'interno delle mura domestiche tenutarie dei segreti di mariti, figli e fratelli, da tempo, hanno assunto un ruolo dinamico ed operativo in seno alla 'cosca Pesce'. Una situazione che era già emersa "All Inside" in cui era stata evidenziata la posizione di numerose donne a cui era devoluto il compito di far transitare all'esterno le direttive dei boss in carcere; addirittura. A Maria Grazia Messina, in particolare, era stata affidata la custodia della "bacinella", la cassa comune della cosca in cui confluivano i proventi dell'attività illecita del gruppo criminale capeggiato dal genero, Antonino Pesce, e dal nipote Francesco Pesce. Nel corso dell'indagine viene accertato che a Maria Rosa Angilletta, Maria Grazia Spataro e Maria Carmela D'Agostino vengono intestate due imprese che in base ai loro redditi dichiarati non avrebbero mai potuto fondare o mantenere.

    Collaborò teste suicida. Sono basate anche sulle dichiarazioni rese dalla testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola, suicidatasi nell'agosto del 2011 ingerendo acido muriatico, le indagini dei carabinieri che hanno portato all' arresto di sette presunti affiliati alla cosca Pesce della 'ndrangheta sull'intestazione a prestanome di beni provento di attività illecite. In merito al suicidio di Maria Concetta Cacciola, il 9 febbraio scorso, furono arrestati tre familiari della testimone di giustizia con l'accusa di maltrattamenti in famiglia e violenza o minaccia. Secondo gli inquirenti, Maria Concetta Cacciola fu sottoposta a vessazioni e violenze al fine di farle ritrattare le dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria. Nell'ambito dell'inchiesta sfociata negli arresti di stamattina sono stati sequestrati beni per un valore di oltre un milione e mezzo di euro. Le indagini hanno consentito di accertare, in particolare, l'intestazione fittizia di due imprese al fine di eludere le misure di prevenzione patrimoniali.

    DDA Operazione significativa. "Dopo l'arresto di Antonino Pesce "u testunì", il clan aveva immediatamente posto in essere le condizioni per salvaguardare il patrimonio e per il passaggio delle consegne di comando al giovane Francesco Pesce, 34 anni, latitante da due anni". E' quanto ha affermato il procuratore aggiunto della Dda, Michele Prestipino, nel corso di una conferenza stampa al comando provinciale dei carabinieri, cui hanno preso parte il procuratore interinale, Ottavio Sferlazza, il col. Pasquale Angelosanto, il comandante del reparto operativo, Carlo Pieroni, il comandante provinciale del Ros, Marco Russo, ed il capitano Ivan Boracchia, comandante della compagnia di Gioia Tauro. "E' un'operazione significativa - ha sottolineato Sferlazza - che ha chiarito l'intero asse di comando della cosca Pesce, gli interessi sul territorio, che ha permesso, inoltre, l'applicazione del norma sull'intestazione fittizia dei beni, di cui sono titolari alcune donne legate da vincoli di stretta parentela con alcuni componenti della cosca". "Il nostro lavoro - ha detto Prestipino - mira alla disarticolazione della forza armata delle cosche, al sequestro ed alla confisca dei patrimoni illeciti ed alla cattura dei latitanti. Subito l'arresto di Antonino Pesce - ha ricordato il procuratore aggiunto della Dda - i carabinieri riuscirono a sequestrargli un pizzino con delle indicazioni. Grazie a raffinate indagini condotte dal Ros siamo riusciti a risalire ai fiancheggiatori del boss latitante ed a ricostruire la catena di comando della cosca l'insieme delle attività lecite. Come nel caso della 'Medma trasporti', un'azienda affidata a Demetrio Fortugno, temibile concorrente per il deterrente mafioso insito, rispetto ad altri concorrenti sul territorio, costretti spesso a chiudere i battenti o ridurre al minimo le attività". Per il col. Pasquale Angelosanto, "é stata una indagine pura, sviluppata su intercettazioni e pedinamenti, riprese con telecamere". Angelosanto, infine, si è detto "fiducioso per il futuro delle indagini" mirate soprattutto alla cattura del nuovo capobastone dei Pesce, datosi alla macchia ed attivamente ricercato.

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