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    Acque nere, situazione drammatica in Calabria, Dossier di Legambiente

     

     

    Acque nere, situazione drammatica in Calabria, Dossier di Legambiente

    29 mar 11 "Depuratori vecchi e malandati, senza manutenzione o in stato di completo abbandono, allacci alla rete fognaria abusivi e scarichi che vanno direttamente nei fiumi fino al mare". Così descrive Legambiente nel suo report sulle acque nere la situazione in Calabria, presentato oggi a Catanzaro. Dei circa 700 impianti tra grandi medi e piccoli, sparsi in tutta la Calabria, la maggior parte non funziona o funziona male, con il risultato che oltre il 62% dei cittadini non è servito da un sistema efficiente di smaltimento dei reflui. Nonostante le ripetute segnalazioni, i sequestri, i dieci anni di gestione straordinaria e centinaia di milioni di euro stanziati per mettere a norma impianti guasti o ripristinare quelli in stato di totale abbandono, la situazione è drammatica come è emerso dall’ultima edizione di Goletta Verde e la Calabria risulta sul podio delle regioni con il mare più inquinato insieme a Campania e Sicilia. Un quadro sconfortante quello tracciato da Legambiente che nel dossier ‘Acque nere’, presentato oggi a Catanzaro torna a denunciare la grave carenza del sistema di depurazione in Calabria e a sollecitare interventi e proporre soluzioni prima che riesploda l’emergenza in piena stagione balneare. All’incontro che si è tenuto oggi presso il palazzo della provincia di Catanzaro, c’erano il vice presidente di Legambiente Sebastiano Venneri, l’assessore all’ambiente della provincia di CatanzaroMaurizio Vento, il direttore di Legambiente Calabria Francesco Falcone e Andrea Dominijanni, della segreteria regionale Legambiente Calabria. I dati degli ultimi 5 anni di attività ufficiali delle forze dell’ordine e dalla magistratura, raccolti da Legambiente, rivelano una condizione preoccupante e le storie delle indagini descrivono una realtà addirittura peggiore: manutenzione degli impianti inesistente, scarichi non allacciati perché all’interno di lottizzazioni abusive senza rete fognaria, versamenti illegali di fanghi di lavorazione industriale nei corsi d’acqua. Tra il 2006 e il 2010, i Carabinieri del Nucleo tutela ambiente, la Guardia di finanza, il Corpo forestale dello Stato e le Capitanerie di porto hanno accertato ben 1.689 reati legati alla depurazione e agli scarichi illegali in mare e la provincia di Reggio Calabria con 694 infrazioni accertate (41% del totale) detiene il record regionale di reati. “I numeri dei sequestri e degli arresti – ha dichiarato Sebastiano Venneri, vicepresidente di Legambiente – rappresentano, purtroppo, solo la punta dell’iceberg o, se si preferisce, una goccia nel mare. In tutta la Regione, infatti, i casi di disprezzo per l’ambiente e per la salute collettiva sono molto più diffusi e ancora troppo tollerati. Una situazione che richiede un intervento immediato perché a pochi mesi dalla stagione balneare la prospettiva dell’ennesima emergenza inquinamento è più che un presagio. Gli amministratori locali, gli organi competenti e la Regione – ha concluso Venneri – affrontino i problema in modo concreto e corale perché in gioco c’è la salute dei calabresi e insieme il futuro del turismo in tutta la Calabria”.

    Legambiente avanza ai Sindaci calabresi proposte specifiche per intervenire subito. Il piano d’interventi suggeriti dall’associazione prevede di: · Adeguare il servizio di depurazione secondo quanto previsto dalla normativa comunitaria, prevedendo impianti che abbiano almeno il trattamento secondario, ovvero oltre alla grigliatura anche il trattamento biologico per l’abbattimento dell’inquinamento organico degli scarichi, anche se l'unico sistema che garantisce una depurazione completa è quello terziario, in cui c'è una fase ulteriore di trattamento chimico con disinfezione finale. · Separare le acque bianche dalle nere. Oggi la gran parte dei comuni non lo fa e per questa ragione l’eccessiva portata che si verifica con le intense piogge arriva ai depuratori e manda in tilt il sistema, specialmente dove non esiste un limitatore di portata. · Munire tutti gli impianti di disoleatore. Un sistema per la raccolta di oli e grassi che vengono trattenuti dal depuratore evitando che finiscano in mare, indispensabile soprattutto nei comuni costieri. · Verificare l’idoneità delle ditte prima di concedere l’appalto perchè abbiano la professionalità necessaria a garantire il servizio · Eliminare i costi elettrici dall’importo del contratto di gestione, per evitare che i gestori, per risparmiare facciano funzionare l’impianto a ore alterne. · Controllare l’attività degli auto spurgo, che soprattutto d’estate quando il lavoro aumenta, scaricano anche in impianti già al limite della saturazione, rendendo ancora più critica la loro capacità di depurazione; “Proponiamo anche – conclude il vicepresidente di Legambiente - la composizione di una task force regionale in grado di garantire il necessario supporto tecnico e amministrativo, coordinare le attività di controllo e verificare la programmazione degli investimenti”.

    Tornando ai dati, solo nel 2010, le infrazioni rilevate sono state 358, quasi una al giorno e sono state denunciate, e in alcuni casi arrestate, 440 persone ed effettuati 224 sequestri di impianti. In provincia di Reggio Calabria, la Capitaneria di porto ha sottoposto a verifica 42 impianti, dei quali bel 14 sono risultati fuori uso. Negli altri sono state rilevate gravi carenze riferite a manutenzione, disinfezione, smaltimento dei fanghi post trattamento, sistemi di grigliatura. Ben 90 gli illeciti amministrativi e 20 le informative della Procura. Inefficienze e irregolarità pure sul fronte delle reti fognarie. Anche la Commissione europea interviene sulla questione depurazione deferendo 22 comuni calabresi per violazione della normativa CE (1991/271) sul trattamento delle acque reflue urbane. Un bilancio pesante, insomma, avvalorato anche dalle analisi campione di Goletta Verde che mettono in luce l’allarme alle foci dei fiumi e dei corsi d’acqua minori.

    “I dieci anni di commissariamento – ha dichiaratoFrancesco Falcone, direttore di Legambiente Calabria – hanno deresponsabilizzato gli amministratori locali e favorito gli appetiti di amministratori corrotti, criminalità organizzata e piccoli e grandi truffatori, che hanno reso il sistema di depurazione regionale un malaffare da 900 milioni di euro. Ogni estate i turisti tornano a denunciare il colore marrone del mare e gli insopportabili miasmi dei fiumi, trasformati in fogne a cielo aperto – ha aggiuntoFalcone - ma i depuratori guasti, nonostante le segnalazioni dei cittadini e delle associazioni sono sempre lì, con gli stessi problemi e senza manutenzione. I sindaci abbiano il coraggio di raccogliere la sfida di riportare alla normalità il sistema idrico e di trattamento dei reflui calabrese e diventare protagonisti della rinascita del loro mare”.

    Nel dossier Legambiente ricorda come la mala depurazione di Reggio Calabria e Crotone ma anche di Catanzaro, Cosenza e Vibo Valentia sia finita al centro di molte vicende giudiziarie. La più nota è Poseidone, avviata nel 2005 dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, nel gennaio del 2010 è giunta al rinvio a giudizio di 39 persone, tra cui figurano molti nomi eccellenti della politica, per associazione a delinquere, concussione, falso ideologico, truffa e turbativa d’asta. Al centro dell’inchiesta la vicenda dell’impianto di Catanzaro Lido, che prevede il trattamento delle acque reflue di 105 mila abitanti. Ma il caso più preoccupante è quello del depuratore consortile nell’area industriale Ex Sir di Lamezia Terme, che tratta le acque di 120 mila abitanti ed è stato definito dal sindaco Gianni Speranza una “bomba ecologica”: da anni funziona a singhiozzo e quindi inquina. L’ultimo provvedimento di sequestro eseguito da Gdf e Noe risale al luglio del 2010, come sempre in estate, quando le acque oleose sono sotto gli occhi di tutti. Infine, a febbraio 2011 i carabinieri hanno messo i sigilli a 16 depuratori in 11 comuni della provincia di Catanzaro. I sindaci hanno ora trenta giorni di tempo per effettuare gli interventi necessari a fermare l’inquinamento. E ancora l’operazione Nettuno, della Procura di Paola che sempre a partire dalla metà degli anni 2000, si occupa dell’inquinamento sulla costa del Tirreno cosentino. E sullo stesso versante c’è quella di Vibo Valentia coordinata dal procuratore Mario Spagnuolo che, partendo dal grave stato d’inquinamento del fiume Mesima, alla fine 2010 mette i sigilli a numerosi impianti fuorilegge della provincia. “Per migliorare la qualità delle acque di balneazione del golfo di Squillace è prioritaria la costruzione del nuovo impianto di depurazione a Catanzaro Lidoe dei 32 chilometri di fognatura al servizio del centro storico della città, oggi completamente sprovvisto” ha dichiarato Dominijanni di Legambiente Calabria. “Consideriamo questa vicenda - ha concluso Dominijanni - la vera sfida che il futuro sindaco della città dovrà affrontare e risolvere”.

    La violazione della direttiva UE La Commissione europea nel 2009 deferisce l’Italia e la Spagna alla Corte di giustizia dell’Unione europea per la violazione della normativa 1991/271/CE sul trattamento delle acque reflue urbane, in base alla quale entro il 31 dicembre 2000 i due paesi avrebbero dovuto predisporre sistemi adeguati per il convogliamento e il trattamento delle acque nei centri urbani con oltre 15 mila abitanti. Nonostante i due avvertimenti già inviati nel 2004 e nel 2009, dall’Italia non arrivano risposte convincenti e soprattutto non si è provvede per tempo a rendere conformi gli impianti nei comuni fuorilegge. Così arriva prima la messa in mora e, a maggio del 2010, il deferimento alla Corte di giustizia: 178 città italiane non si sono ancora conformate alla direttiva. le acque reflue urbane non trattate costituiscono sia un pericolo per la sanità pubblica che la principale causa di inquinamento delle acque costiere e interne da virus e batteri. Tra l’altro contengono nutrienti come l’azoto e il fosforo che possono danneggiare le acque dolci e l’ambiente marino, favorendo la crescita eccessiva di alghe che soffocano le altre forme di vita, processo conosciuto come eutrofizzazione. Nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 29 gennaio 2011 vengono pubblicate le conclusioni del ricorso presentato il 2 dicembre 2010 dalla Commissione europea (parte ricorrente) contro la Repubblica Italiana (parte convenuta) in materia di depurazione delle acque. Il documento elenca tutti i comuni italiani in procedura di infrazione per inadempimento nell’attuazione della direttiva 1991/271/CE e/o parti di essa. Tra le regioni più coinvolte c’è la Calabria con 22 comuni. Le inadempienze sono di diverso tipo, ma spesso riguardano lo stesso comune. Si contesta per 22 comuni la mancanza di un adeguato sistema di fognatura, per 13 la mancanza di un sistema di depurazione conforme alla direttiva, cioè almeno un trattamento di tipo secondario, e per 12, soprattutto lungo la costa, il sottodimensionamento degli impianti rispetto alle forti variazioni stagionali di presenze. In tutti e tre i gruppi rientrano anche due capoluoghi di provincia, Crotone e Reggio Calabria.

    1998 – 2008: dieci anni di commissariamento Nell’ottobre del 1998 la Regione Calabria, già commissariata da oltre un anno per lo smaltimento dei rifiuti, chiede al governo la dichiarazione dello stato di emergenza ambientale anche per affrontare i problemi legati alla rete fognaria e alla depurazione. Di proroga in proroga, il commissariamento nel settore dei rifiuti è tutt’oggi in vigore. Sul fronte della depurazione, invece, la gestione straordinaria viene chiusa nel 2008, dopodiché la competenza sullo smaltimento delle acque reflue torna nelle mani degli Ato e degli enti locali. All’atto del commissariamento, stabilito dall’Ordinanza della presidenza del consiglio dei ministri (Opcm) 2881 del 30 novembre 1998, la relazione della giunta regionale descrive uno scenario di “grave inadeguatezza complessiva del sistema di trattamento delle acque”. Si stima che circa il 20% della popolazione sia servito da fognature insufficienti e che vi siano molti centri abitati totalmente privi di rete, che scaricano i reflui a cielo aperto direttamente nei corsi d’acqua. La stessa analisi viene estesa al sistema degli impianti di trattamento, vecchi, inadeguati e sottoposti a pessima gestione. Insomma, fogne e depuratori non funzionano e sono la causa diretta dell’inquinamento del mare calabrese. Una successiva Opcm, la 2984 del 31 maggio 1999, definisce le competenze e i finanziamenti destinati all’Ufficio del commissario delegato, a capo del quale viene nominato l’allora presidente della Regione. La struttura commissariale deve occuparsi: di realizzare nuovi impianti e di adeguare quelli esistenti, di effettuare opere e collaudi, di mappare le falle del sistema fognario, di progettare gli interventi e proporre al Cipe i piani di investimento. Il tutto in sostituzione dei soggetti preposti, ricorrendo, ove necessario, anche a occupazioni d’urgenza ed espropri. E, naturalmente, in forza dei poteri speciali, in deroga a una lunga lista di norme di settore. Infine arriva l’Opcm 3106 del 20 febbraio 2001, che due anni dopo integra la 2984 e assegna al Commissario anche il compito di predisporre un piano di tutela del sistema idrico per l’intero territorio regionale e di attuare il monitoraggio della qualità delle acque così come richiesto dalle direttive comunitarie. Viene ribadita la necessità di stilare il programma degli interventi e di procedere con la realizzazione dei progetti e delle opere più urgenti. Nel corso degli anni successivi, l’azione dell’Ufficio del commissario si concentra su alcuni progetti. Sostanzialmente sono quelli meno onerosi, quelli di più veloce realizzazione e quelli dislocati lungo la costa e nelle zone ad alta ricettività turistica. Negli ultimi anni di gestione straordinaria, almeno dal 2004 in poi, l’Ufficio del commissario passa molte responsabilità, soprattutto per quanto riguarda la gestione degli impianti e la realizzazione di nuove infrastrutture, nelle mani degli Ato. Nella relazione conclusiva del gennaio 2007, ove si prefigura già un “percorso di superamento della stagione commissariale”, si sottolinea come i numerosi contenziosi con i Comuni per il mancato pagamento dei canoni incida negativamente sulla prospettiva di avviare un ritorno alla gestione ordinaria del sistema. I fondi su cui può contare sono quelli indicati nelle diverse ordinanze del governo (oltre 196 miliardi di lire solo nelle Opcm del biennio1997-1998), oltre a quelli specificamente destinati alla realizzazione di opere di fognatura e depurazione dalle risorse comunitarie, nazionali, regionali e locali. In ultimo, il commissario può fare richiesta di finanziamenti ad hoc entro programmi nazionali e comunitari. Con l’Opcm 3512 del 2006 il governo stanzia altri 8 milioni di euro per fronteggiare l’emergenza ambientale. Questi soldi, che arrivano dal ministero dell’Ambiente e dal fondo di Protezione civile, vengono ripartiti nelle cinque province per la manutenzione straordinaria di alcuni impianti. Nel gennaio del 2007 viene fatto un resoconto degli interventi, effettuati o in corso d’opera in vista di una prossima chiusura della gestione straordinaria. In tutta la Calabria ne risultano 136 (tra rifacimento di collettori, adeguamento di impianti, dismissione di depuratori non funzionanti e avvio delle procedure per realizzarne di nuovi) per una spesa complessiva di 337,1 milioni di euro. In realtà, l’inchiesta Poseidone, sommando i finanziamenti giunti in Calabria per l’emergenza acque, arriva a quantificare il giro di denaro pubblico attorno all’affare depurazione in circa 900 milioni di euro.

    Infine l’Opcm 3645 del 22 gennaio 2008 predispone il passaggio dalla gestione straordinaria a quella ordinaria. Nomina il prefetto Salvatore Montanaro nel ruolo del Commissario, che deve concludere entro il 30 giugno dello stesso anno tutte le iniziative in corso e si deve occupare della fase di trasferimento di funzioni e competenze agli enti locali per garantire “il definitivo superamento del contesto di criticità ambientale”. Nel luglio del 2007, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), su richiesta della Procura della Repubblica di Catanzaro, apre un’indagine amministrativa per verificare la corretta gestione dei finanziamenti ricevuti dall’Ufficio del commissario delegato nell’ambito del Por Calabria 2000- 2006. La relazione finale, che arriva alla fine del 2010, è impietosa: gravi irregolarità amministrative, assoluta mancanza di controlli, appalti in deroga alle leggi violando le prescrizioni sul cofinanziamento del programmi comunitari, assenza di collaudi, mancanza di relazioni sulla conclusione o sullo stato dei lavori, varianti e aumenti di spesa non giustificati. In sostanza, gli investigatori della Comunità europea, accusano la struttura commissariale di aver condotto le proprie attività compiendo una serie di gravi irregolarità amministrative, sai formali che sostanziali, e di aver agito nella totale assenza di trasparenza. Per questo raccomanda agli organismi comunitari preposti di agire per il recupero dei fondi relativi a 48 interventi per un totale di 57 milioni di euro.

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