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    Operazione Scacco Matto, i particolari

     

     

    Operazione Scacco Matto, i particolari

    15 mar 11 L’attività tecnica eseguita nell’ambito del procedimento penale, nell'ambito dell'operazione Scacco Matto, ha consentito di registrare l’evoluzione della cosca dalla viva voce dell’attuale vertice della stessa, Vincenzo Longo cl. 63, il quale minuziosamente scandiva i passaggi sullo scranno più alto della consorteria prima del vecchio capostipite Luigi Longo cl. 18, poi del figlio Rocco Longo cl. 31, ed infine del nipote Giovanni Longo cl. 56, quest’ultimo noto con l’alias “u signurinu”, così denominato per il vezzo di vestire sempre elegantemente. Sempre dalla stessa attività risulta che, a seguito dell’omicidio di “u signurinu” consumato nel gennaio del 2001, non senza momenti di tensione, la guida della cosca passò ed è tuttora saldamente nelle mani di Vincenzo Longo cl’ 63 alias “il postino”, nipote di Luigi cl’18, figlio di Rocco cl’31, cugino di Giovanni cl’56. E proprio dalle indagini condotte, nello specifico dalle intercettazioni ambientali eseguite a bordo dell’autovettura in uso al “postino”, è emerso che quest’ultimo dettava le linee guida nella conduzione delle attività illecite dell’omonima cosca, specificando che in merito alle estorsioni bisognava seguire la strada già tracciata dai menzionati precedenti capi. Dalla medesima attività è emerso anche uno spaccato della vita del clan allorquando, subito dopo l’omicidio di “u signurinu”, l’attuale capocosca decideva la designazione della carica di “Mastro di Giornata” ed, al contempo, descriveva la sua personale escalation nella cosca nel momento in cui scorreva il suo passaggio da “contabile” a “mastro di giornata” fino ad assurgere al vertice dell’omonima consorteria criminale. Con la carismatica direzione del vecchio boss Luigi cl’18 l’omonima potente famiglia era passata dalla tradizionale mafia rurale caratterizzata dall’imposizione delle guardianie, al più redditizio settore delle estorsioni e dell’usura, all’inserimento nel tessuto economico-imprenditoriale, in particolare attraverso iniziative in campo edilizio e soprattutto con l’autotrasporto di materiali (c.d. movimento terra), imprese di lavorazione di inerti ed aziende edili. Attività, quest’ultima, intrapresa, adottando un sistema di estorsioni continuate ed aggravate, con particolare incidenza nei cantieri dell’allora costruenda S.G.C. Jonio-Tirreno; analogo modus operandi è stato seguito anche nella realizzazione della diga sul fiume Metramo, non disdegnando, ovviamente, pure appalti pubblici locali e, tra questi ultimi, campeggia su tutti il c.d. “affare Vecchio” relativo all’esecuzione dell’appalto per la costruzione della nuova sede municipale di Polistena (attuale sede comunale); da ultimo si è registrato il coinvolgimento nel grande affare dell’autostrada A/3 SA-RC, per come emerso nell’operazione “ARCA”; infine, anche nell’appalto provinciale per il completamento del polo scolastico “Renda” di Polistena, nel quale si è acclarata la collusione affaristico-mafiosa tra i rappresentanti della ditta GIVAL srl di Fondi, aggiudicataria dell’appalto, ed i massimi esponenti della cosca imperante in quel comprensorio del versante tirrenico-reggino. Agli inizi degli anni ’90, a seguito di matrimoni mirati entrava a pieno titolo nell’organizzazione criminale pure la famiglia Versace, anch’essa di Polistena. In particolare le due famiglie strinsero un saldo vincolo di parentela dopo che Antonio Versace cl’52 diventava cognato di Giovanni Longo cl’56 “u signurinu”, avendo contratto matrimonio con la sorella di quest’ultimo, Maria Violetta Longo cl’59, al punto che la cosca predominante in Polistena veniva identificata con l’appellativo Longo-Versace. La nuova organizzazione, seppur rafforzata al punto da estendere i propri interessi dai tradizionali settori di incidenza anche al traffico degli stupefacenti e delle armi fino al controllo delle attività economiche del paese, subì una frattura insanabile, sia a livello locale per la brama di affermazione della famiglia Versace che, più in generale, per il venir meno dei delicati equilibri mafiosi venutesi a creare tra le famiglie dell’intera Piana di Gioia Tauro. In particolare, la rottura dei rapporti tra i Piromalli ed i Mammoliti e la conseguente decisione dei primi di eliminare i secondi determinò uno schieramento, da un lato, del potentissimo cartello dei Piromalli-Molè-Pesce-Mancuso-Longo e dall’altro dei Mammoliti-Crea-Bellocco-Chindamo Lamari-Versace, con evidenti ripercussioni anche in seno alla cosca polistenese. Al punto che, nel settembre del ’91, in un agguato mafioso, avallato ed anche partecipato da elementi di primo piano della mafia tirrenica e del vibonese, tra cui Antonio Pesce cl.’53, Giuseppe Piromalli cl.’45, Girolamo Molè cl.’61 ed i fratelli Luigi e Giuseppe Mancuso, oltre che dal pentito Annunziato Raso (affiliato alla cosca Piromalli) e da Serafino Larosa e Michelangelo Gullone (affiliati alla cosca Longo), rimasero vittime i fratelli Antonio e Michele Versace, scampando alla morte ma rimanendo gravemente ferito l’altro fratello Biagio Versace, risolvendosi così la faida polistenese a vantaggio dei Longo. Sempre a seguito delle laboriose indagini condotte sono emersi collegamenti della cosca Longo anche con potentissime consorterie del versante jonico-reggino, quali i clan Aquino, Ursino e Jerinò. Uno dei settori più rilevanti nel quale l’associazione criminale realizza la propria supremazia mafiosa è rappresentato dal campo dell’edilizia e delle costruzioni in genere, tanto pubblico che privato. Detta materia viene controllata direttamente dagli accoliti posizionati ai vertici della cosca LONGO che, per infiltrarsi nel lucroso settore, si avvalgono di ditte nella titolarità esclusiva dei suoi affiliati, a riprova evidente di come la citata cosca sia decisamente radicata nel tessuto economico-imprenditoriale locale, ottenendo così di partecipare ai lavori ed al contempo garantendo protezione ai cantieri, estromettendo eventuali altre imprese, locali e non, riuscendo a realizzare di fatto un granitico regime di monopolio nel settore de quo, il tutto ovviamente a discapito dell’imprenditoria sana. Il prefigurato scenario si è perfettamente cristallizzato, da ultimo, proprio nel citato appalto relativo al polo scolastico “Renda” di Polistena nel quale si è avuta l’estromissione della ditta Saffioti, nella titolarità del collaboratore di giustizia Gaetano Saffioti di Palmi, a tutto vantaggio delle ditte dei Longo di Polistena e, pertanto, ne è scaturita la misura cautelare che colpisce non solo gli esponenti della cosca Longo, ritenuti responsabili di associazione mafiosa e diversi reati fine, ma anche i vertici ed i rappresentanti locali della GIVAL di Fondi, nonché ha disposto il sequestro preventivo delle numerose ditte nella titolarità degli accoliti della consorteria criminale, oltre che della stessa ditta laziale. In occasione dell’esecuzione di detti lavori, i rappresentanti della ditta appaltatrice hanno realizzato un perfetto connubio affaristico-mafioso con la cosca imperante nel comprensorio di Polistena, difatto affidando in toto forniture e servizi alle ditte nella titolarità e/o disponiilità della cosca Longo, finanche assumendo tra le maestranze parenti e soggetti vicini agli accoliti della consorteria, quali il cugino del defunto “u signurinu”, due nipoti del boss Vincenzo Longo ed altri, il tutto nell’ambito di una vera e propria “lista” approntata dal cugino del Capo Società, Luigi Longo cl’71, noto con l’alias “Nasca” o “l’elettricista”. Nell’ambito della medesima indagine si è anche avuta conferma del ruolo svolto dall’imprenditore Antonio Romeo, il quale ha religiosamente adempiuto alla funzione di prestanome in attività riconducibili al capocosca (vedasi vicenda CORF), nonché si è prestato più volte ad essere la testa di legno per l’aggiudicazione di lucrosi appalti, anche privati, per poi ridistribuire i lavori e le commesse a ditte riconducibili al sodalizio, fungendo, nel contempo anche da “custode” prestanome di beni del boss, per come captato dai colloqui in carcere del capocosca (“la speranza mia lui è…la certezza quella è, non è che ci sono altre certezze, quindi…ho bisogno solo che mi è custode e basta!…). Gli evidenti ritorni in termini economici che ne sono derivati hanno permesso di reinvestire gli illeciti profitti della cosca in aziende operanti nel settore edile e di acquisire il controllo e la gestione di attività economiche dal più disparato oggetto sociale, oltre che in lucrosi investimenti immobiliari, anche questi colpiti dal sequestro preventivo, come l’esercizio di compravendita di ori usati (EURORO), un istituto di investigazione privata (LINX), un night club (FEMINA), un negozio di telefonia e computer, ville ed altro. Era ormai un dato indiscutibile l’esistenza in Polistena di un panorama criminale assolutamente monocromatico, facente capo appunto alla cosca Longo, che sin dagli anni ‘70 ha tradotto in pratica, senza interruzione di sorta, un disegno criminale rigorosamente monopolista in quel comprensorio, caratterizzandolo ed inquinandolo da sempre con un asfissiante controllo del territorio in tutte le sue molteplici sfaccettature, assurgendo al rango di un’istituzione criminale rigidamente attaccata al suo monolitismo e raccogliendo il granitico consenso di cui gode, non solo localmente ma anche nell’ambito dell’intera Piana di Gioia Tauro. Difatti, da ultimo, nel provvedimento di fermo eseguito nell’ambito dell’operazione “Crimine”, è emersa la consacrazione dell’esistenza in Polistena di una “Società” il cui vertice assoluto è rappresentato da Vincenzo Longo cl’63, al quale tutte le “doti” le aveva conferite personalmente il vertice indiscusso del mandamento tirrenico Domenico Oppedisano cl’30 (“tutto quello che ha gliel’ho dato io”), quest’ultimo divenuto poi Capo Crimine. Ad ulteriore riscontro, dal provvedimento di fermo emerge altresì che l’Oppedisano passò la sua precedente carica a Vincenzo Pesce cl.’59 e questi conferirà poi una dote di altissimo livello della Società Maggiore di Polistena, cioè il “Quartino”, proprio a Vincenzo Longo, il quale progredirà ancora nella sua carriera mafiosa, per come risulta da una conversazione tra Giorgio De Masi e Giuseppe Commisso inteso “u Mastru”, sempre tratta dal citato fermo. Le indagini hanno permesso di acclarare, oltre che specifici episodi di estorsioni, danneggiamenti, furti, disponibilità di armi, anche da guerra, ed esplosivi, acquisizione diretta ed indiretta del controllo e della gestione di attività economiche, concessioni di autorizzazioni, appalti ed altro anche, in generale, quanto incisivo fosse il controllo del territorio polistenese ad opera della cosca Longo, al punto da atteggiarsi a vero e proprio antistato, dotato finanche di propri tribunali, le cui sedute si svolgevano presso un campetto di calcio di proprietà del defunto “u signurinu” e dove venivano forzatamente convocati i soggetti ritenuti responsabili di episodi delittuosi non preventivamente avallati dai maggiorenti della consorteria. Ancora una volta è emersa anche la funzione ed i compiti svolti dalle donne nell’ambito degli affari delle consorterie mafiose. Nello specifico, si è cristallizzato il ruolo di cassiere del clan in capo alla moglie del boss detenuto, Maria Rosa Grimaldi, compito specificatamente assegnatole dal Capo Società Vincenzo Longo. La stessa Grimaldi, inoltre, unitamente al figlio Rocco cl’90, ha svolto anche il ruolo di messaggera, sia in entrata che in uscita dalla struttura carceraria, di importanti comunicazioni da veicolare per conto del detenuto nell’interesse della cosca tutta, espressamente dichiarando il suo compito (“Ma io scusa..ma io che parlo mica parlo perché voglio comandare…io portatore di voce sono”), per come captato durante i colloqui in carcere.

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