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    Banca San Marino aprì le porte alla ndrangheta per superare crisi

     

     

    Banca San Marino aprì le porte alla ndrangheta per superare crisi

    30 lug 11 Il Credito Sammarinese aveva bisogno di denaro per superare la fase di crisi ed ha "aperto le porte alla 'ndrangheta''. E' questa la considerazione che viene fatta dal Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catanzaro, Tiziana Macrì, che ha emesso l'ordinanza di custodia cautelare che ieri ha portato all'arresto di dieci persone tra cui anche i vertici della dell'istituto di credito nella Repubblica del Titano. "I vertici del Credito Sammarinese - scrive il giudice nell'ordinanza di custodia cautelare - nella prospettiva di ottenere depositi di rilevante entità che consentissero, in qualche modo, il superamento della fase di criticità in atto, ha aperto le porte dell'istituto bancario alla criminalità organizzata 'ndranghetistica. I depositi del crimine organizzato transnazionale avrebbero garantito la sopravvivenza ad una banca gia' in stato di decozione, del tutto indifferente all'inquinamento del sistema finanziario e bancario sammarinese che ne sarebbe derivato". L'inchiesta dei sostituti procuratori della Dda di Catanzaro, Salvatore Curcio e Paolo Petrolo, ruota intorno ai depositi fatti nella banca da Vincenzo Barbieri, il broker della droga legato alla cosca Mancuso ucciso nel marzo scorso in un agguato a San Calogero. E proprio quando Barbieri aprì i suoi primi conti correnti nell'istituto di credito iniziarono le segnalazioni da parte di due impiegati i quali, attraverso informazioni trovate sui siti internet, scoprirono che il l'uomo era legato alla cosca dei Mancuso. In occasione del primo deposito di denaro, pari a 597 mila euro, l'ex direttore generale del Credito Sammarinese rassicurò i due impiegati sostenendo che "era un suo contatto - scrive il giudice - e che se fosse successo qualcosa loro non avrebbero avuto nessuna responsabilità".

    Un affare da 15 mln di euro. Il rapporto d'affari tra il Credito Sammarinese e Vincenzo Barbieri, il broker della droga ucciso a San Calogero nel marzo scorso, prevedeva un deposito complessivo, nelle casse dell'istituto di credito, di 15 milioni di euro. Nell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Catanzaro, Tiziana Macrì, che ieri ha portato all'arresto di dieci persone, viene evidenziato come "l'operazione Barbieri prevedeva un deposito complessivo nelle casse del Credito Sammarinese pari a 15 milioni di euro, ovvero al prezzo che il presidente e proprietario della Banca, Lucio Amati, pretendeva per la vendita della stessa". Il Credito Sammarinese, a causa della grave crisi di liquidità in cui versava, aveva avviato anche una trattativa per la vendita dell'istituto di credito con "la banca brasiliana 'Banco di Rio de Jainero' - scrive il Gip - ma la situazione risultava difficilmente realizzabile anche per il prezzo preteso dall'Amati. E' in tale contesto che va inquadrata la vicenda relativa all'apertura di credito nei confronti di Barbieri". Particolarmente singolare è il racconto di uno degli impiegati della banca che descrive minuziosamente il primo versamento, pari a 597 mila euro, fatto da Barbieri nell'istituto di credito. Il racconto è stato raccolto dal sostituto procuratori della Dda di Catanzaro, Salvatore Curcio e Paolo Petrolo, che conducono l'indagine sul riciclaggio dei soldi della cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) provenienti dal narcotraffico. Il direttore generale del credito sammarinese, Valter Vendemini, consegnò un "trolley di misura media - racconta l'impiegato - all'interno del quale vi era del denaro in contante credo di tutti i tagli. I soldi erano stipati, accartocciati, puzzavano di muffa ed erano racchiuse in mazzette con elastici ma non con senso logico. Proprio per le cattive condizioni in cui erano le banconote ho impiegato molto tempo per contare tutto il denaro".

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