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    Sequestri clan Pesce: il calcio per la ricerca del consenso

     

     

    Sequestri clan Pesce: il calcio per la ricerca del consenso

    21 apr 11 Un controllo asfissiante dell'economia sul territorio, grazie all'impressionante potenza finanziaria dovuta ai traffici illeciti, ma anche la volontà di ricercare il consenso col gioco più amato dagli italiani: il calcio. La cosca Pesce di Rosarno era anche questo. A svelare gli interessi di una delle più potenti famiglie di 'ndrangheta e' stata la Dda di Reggio Calabria che ha ottenuto il sequestro di beni riconducibili ai Pesce per un valore di 190 milioni di euro. E tra le tante società a cui i finanzieri del Gico-Nucleo di polizia tributaria di Reggio coadiuvati dallo Scico di Roma e in collaborazione con i carabinieri, hanno posto i sigilli, due sono calcistiche, l'Interpiana ed il Sapri (Salerno). A mettere le mani sulle squadre di calcio, impegnate nel girone I della serie D, sono stati due rampolli della famiglia, Francesco e Marcello Pesce, accomunati da una grande passione per il calcio, che direttamente o indirettamente, controllavano le società e tramite queste speravano, con i risultati sul campo, di ottenere l'ammirazione dei propri tifosi. E sulla vicenda vuole vederci chiaro anche la Figc, tanto che oggi la Procura federale ha aperto un fascicolo su Sapri e Interpiana. Se gli investigatori sono arrivati a scoprire anche questo aspetto della cosca, lo devono alle dichiarazioni della pentita Giuseppina Pesce, figlia del boss Salvatore. Sabato scorso, dopo che le sue parole avevano portato in carcere la madre e la sorella, la donna ha annunciato di voler interrompere la collaborazione, ma quello che ha detto prima è stato alla base delle due operazioni 'All Inside' che nel 2010 hanno portato all'arresto di decine di affiliati che adesso sono sotto processo. Ed in dibattimento si sono costituti parte civile il ministero dell'Interno, la Regione, la Provincia di Reggio ed il Comune. Gli investigatori hanno così scoperto una ricchezza infinita, diffusa tra la Calabria, la Lombardia, la Campania e Roma e composta da 40 imprese, operanti principalmente nel settore dei trasporti, in quello agrumicolo e nel commercio, 44 abitazioni, 4 ville, 12 autorimesse, 60 terreni, 56 autoveicoli e 108 autocarri. Ed il settore dell'autotrasporto era quello trainante nell'economia della cosca. E' grazie a quello che il boss Antonino Pesce è riuscito a mettere le mani sulla catena di distribuzione alimentare della Sisa in Calabria. Tanto che, parlando in carcere col figlio, ad un certo punto dice: "l'ho creata io, 30 anni fa; la Sisa l'ho creata. Mettemmo una fila di camion lunga da qui a là sotto". Adesso che il giogo della cosca Pesce è venuto meno, inquirenti ed investigatori sperano che gli imprenditori onesti, con Enti e Istituzioni locali, recuperino la fiducia persa e si riapproprino del territorio in modo da restituire nuova linfa al sistema produttivo e commerciale. "Oggi possiamo dire, con soddisfazione, che Rosarno è veramente libera", ha commentato un investigatore. Il resto lo devono fare gli altri. Ma con l'operazione di oggi, che ha annientato la potenza economica della cosca, gli investigatori sono convinti anche di avere fatto terra bruciata intorno al latitante Francesco Pesce, di 31 anni, detto "Ciccio Testuni", che dopo l'arresto di gran parte dei suoi familiari, è indicato come la figura più importante del clan. Senza denaro, è la convinzione degli inquirenti, anche per lui si fa più difficile. Ed il cerchio potrebbe stringersi presto.

    "Anche nello scegliere gli undici titolari o nel formare il settore giovanile di una squadra di calcio in certe realtà del Sud si crea consenso". Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, si dice "non sorpreso" dalla notizia del sequestro dell'Interpiana di Cittanova e del Sapri, società del campionato di serie D, nell'ambito di un'operazione contro la cosca dei Pesce di Rosarno. "L'organizzazione mafiosa - spiega Grasso - ha un suo tornaconto chiaro nell'investire nel pallone: certo non il profitto, ma il potere che uno sport così popolare crea sul territorio. E poi ci sono anche soddisfazioni collaterali: uno dei Pesce, ad esempio, è stato tesserato con la squadra di Cittanova. E chi aveva il coraggio di mandarlo in panchina? Anzi, era il capitano". "Una squadra di calcio inoltre - aggiunge - può essere un mezzo per riciclare. Se non sbaglio in passato ci sono state offerte di questo tipo per società di vertice. A livello di serie A il filtro ha funzionato, sul piano dei dilettanti i controlli sono più difficili, anche se noi collaboriamo con la Procura della Figc guidata da Stefano Palazzi". Grasso insiste sull'"attuale momento di crisi economica" come concausa nei casi di infiltrazione di capitali mafiosi: "Là dove serve a tutti i costi denaro - conclude - è benvenuto quello che arriva a costo zero dai mafiosi e non con gli interessi dalle banche. Salvo poi scoprirsi, e parlo di certi imprenditori locali, emarginati anche in quelle che erano le proprie aziende".

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