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    Dieci anni dopo la tragedia di Soverato, parla un sopravvissuto

     

     

    Dieci anni dopo la tragedia di Soverato, parla un sopravvissuto: "Quando piove e' un incubo"

    09 set 10 ''Il buio pesto, le voci strazianti che inseguivano invano nomi di persone e tanta, tanta acqua quanto non ne ho vista in tutta la mia vita''. Non potra' mai cancellare dalla memoria quelle interminabili prime ore dell'alba del 10 settembre 2000, Cesare Scorza Rotundo, operatore televisivo e volontario dell'Unitalsi. E' uno dei sopravvissuti della tragedia del camping Le Giare di Soverato, 12 morti tra disabili e volontari di un campo vacanze e un disperso inghiottito per sempre dalle onde del mare Jonio. L'area teatro della tragedia e' quella nei pressi del torrente Beltrame dove ancora oggi rimangono i segni della devastazione. Un anno e mezzo fa si e' chiusa la vicenda giudiziaria con la sentenza definitiva di condanna della Corte di Cassazione per il proprietario del camping, un funzionario dell'Agenzia del territorio e un dipendente della Regione Calabria. Sono passati dieci anni da quel giorno ma per Cesarino, come e' conosciuto da tutti a Catanzaro, ogni anno si rinnova il dolore incancellabile di quella parentesi di festa (era l'ultimo giorno di vacanza prima del rientro) trasformatasi in un incubo. ''Quando piove - dice - da quel giorno non posso piu' controllarmi. E' un'ansia che si rinnova''. Lui, allora come oggi, dedica il proprio tempo libero all'Unitalsi, l'associazione cattolica che accompagna i disabili nei viaggi della speranza a Lourdes. Adesso, e' impegnato nella preparazione del decennale di Soverato che sara' ricordato con l'apposizione di una targa sul luogo della tragedia, alle porte della cittadina ionica dove sorgeva il camping della morte. Non e' per niente indolore per chi l'ha vissuto in prima persona riandare a quella terribile notte di tregenda. E Cesarino, mentre cerca di trovare le parole giuste per restituire lo stato d'animo di quei momenti non riesce a nascondere l'angoscia che lo pervade. Mentre parla non sta mai fermo. ''L'unico barlume di vita - dice con un groppo in gola - fuori da quell'inferno di fango, detriti e soprattutto di vite strappate via, era una luce in lontananza, il lampeggiante di un'auto dei carabinieri sul ponte del fiume Beltrame. Erano i primi soccorsi, noi non lo sapevamo, cosi' come non sapevamo che sarebbero passate ore prima che potessero raggiungerci''. E, nella ricostruzione frenetica di quegli attimi indimenticabili, tra frasi smozzicate e attimi di sincera commozione, tornano alla mente nomi e volti di persone care travolte da una furia straordinaria e incontrollabile. ''Siamo andati a letto alle quattro e mezza. Dopo solo cinque minuti - aggiunge - ho sentito delle richieste di aiuto e mi sono diretto fuori dal bungalow. In un minuto, l'acqua da dieci centimetri e' balzata a quattro metri. Non c'e' stato nemmeno il tempo di riflettere: d'istinto, in quel buio irreale, ho cercato di afferrare di peso quante piu' persone ho potuto, tra questi c'era anche mio nipote Manolo. Assieme a loro sono salito sul tetto della struttura da dove, poi, ci siamo arrampicati su di un salice. E' bastato poco per capire che era impossibile chiamare i soccorsi: i telefonini non prendevano''. La valanga d'acqua che ha travolto il campeggio devastando ogni cosa, ripete piu' volte, e' arrivata improvvisamente con la forza di uno tsunami. ''Sull'albero che ci ha dato un po' di riparo siamo stati quasi cinque ore'' racconta Cesarino con un velo di amarezza per le persone che non ci sono piu' e che chiama per nome. Da Rosario Russo, il ragazzo, diciassettenne, travolto dopo che aveva messo in salvo i propri genitori a Mario Boccalone, un disabile che era nel suo stesso bungalow, a tutti gli altri: ''eravamo una sola famiglia''. E Vinicio Calio', il guardiano del camping di cui non e' stato piu' trovato nemmeno il corpo. ''Non era dell'Unitalsi - dice - ma ci dava una mano. L'abbiamo visto per l'ultima volta con il fratello Luca,poi e' scomparso per sempre nell'acqua che trascinava con se' auto roulotte, ciclomotori, senza che noi potessimo fare nulla''. In mezzo a tanta tragedia e a tanto buio una nota positiva che ha il volto e le fattezze di un giovane figlio di campeggiatori romani.''Kevan Castelli, un ragazzino che siamo riusciti a strappare alla furia delle acque. L'anno dopo i genitori di questo bambino sono tornati a trovarmi a casa per regalarmi una medaglietta. E' stato un momento molto bello''. Per il decennale a raccontare per immagini la tragedia di Soverato c'e' anche un documentario di trenta minuti dal titolo significativo ''Tredici'', il numero delle vittime, diretto da Giuseppe Petitto. Cesarino, per questa volta dall'altra parte dell'obiettivo, torna sui luoghi della tragedia. ''Anche in questo modo si alimenta il ricordo - dice - ma cose cosi' non devono accadere mai piu'. Mai piu'''.

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Il torrente in piena che travolge il camping Le Giare

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