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    Inchiesta Why Not, Gup: preferita la verita' televisiva

     

     

    Inchiesta Why Not, Gup: preferita la verita' televisiva

    18 ott 10 tà di associazioni segrete, logge deviate, congiure di palazzo". Un giudizio duro, tranciante che non viene da una delle parti in causa, ma dal gup di Catanzaro Abigail Mellace, che il 28 marzo scorso, col rito abbreviato ha condannato otto imputati e ne ha assolti 34, disponendo poi il rinvio a giudizio di altre 27 persone ed il proscioglimento per 28. La verità, scrive il giudice nelle 944 pagine di motivazioni dell'abbreviato, è che ingenti risorse della Regione Calabria, "sulla cui occulta destinazione si sono spesi fiumi di parole, in realtà non sono altro che gli indebiti profitti concretamente percepiti dal Brutium e, soprattutto, dalla Why not, società nelle cui casse sono confluiti, per lo svolgimento di lavori in gran parte inutili, circa 60 milioni di euro". Ma tutto il clamore mediatico scatenato sulla vicenda ha "impedito di analizzare con la necessaria obiettività i vari e inconfutabili elementi di prova che emergevano sin da subito". Ampie parti delle motivazioni sono dedicate alla principale teste di accusa, Caterina Merante, la cui mancata iscrizione tra gli indagati appare "processualmente incomprensibile e illogica" dal momento che l'unica "argomentazione che potrebbe consentire di restituire coerenza al procedimento è quella secondo cui è una fonte di conoscenza in quanto ha partecipato, con un ruolo di primo piano, a tutti i più significativi fatti che sono indicati come reati fine del sodalizio". Non a caso, il gup, ha rinviato a giudizio la Merante disponendo la trasmissione degli atti alla Procura generale per un supplemento di indagini su di lei. Una teste, scrive il gup, che "non ha esitato a strumentalizzare il rapporto con l'autorità giudiziaria" e della quale è "già riconosciuta l'inattendibilità della maggior parte delle dichiarazioni, che rappresenta un oggettivo dato di fatto". Tanto che arriva a parlare di psicofarmaci fatti prendere dal principale imputato, Antonio Saladino, ai suoi collaboratori. Circostanza smentita dagli stessi. La Merante, che all'epoca dell'indagine era testimone a Catanzaro, ma indagata in un'analoga inchiesta della Procura di Paola (Cosenza), scrive il gup, secondo alcune intercettazioni, emerge come una persona "animata dalla volontà di preservarsi da ogni possibile coinvolgimento giudiziario, 'scaricando' su tutti gli altri indagati e rappresentando se stessa come una persona 'debole e soggiogata'". In realtà, la Merante "forte e determinata", scrive il gup, "intrecciava e coltivava una serie di rapporti con tutti quei soggetti che potevano, anche inconsapevolmente, coadiuvarla nel suo progetto", tra i quali "l'incredibile rapporto personale e confidenziale con il maresciallo Giuseppe Chiaravalloti incaricato dei più delicati atti" dell'inchiesta". E proprio questo rapporto "ha inciso pesantemente sulla modalità di conduzione delle prime indagini, inquinando in modo irreversibile la genuinità di importanti risultanze investigative, rendendole radicalmente inutilizzabili". Per il giudice era la Merante il "vero dominus" delle indagini del sottufficiale dei carabinieri che "operava attenendosi in primo luogo agli ordini della testimone e cercando, a tutti i costi, di trovare elementi di conferma della credibilità del suo narrato". Anche le accuse rivolte all'ex presidente della Regione Agazio Loiero di avere stretto un patto elettorale con Saladino per avere denaro in campagna elettorale in cambio di favori dopo l'elezione, non trova conferma. Ed a smentire la tesi della Merante, scrive il gup, è la Merante stessa, che deponendo davanti ai giudici di Salerno nell'inchiesta sulle presunte pressioni esercitate sull'ex pm di Catanzaro Luigi de Magistris in seguito all'avocazione dell'inchiesta Why not, dice che Loiero aveva assunto un atteggiamento nettamente contrario alle richieste di Saladino, salvo poi, davanti ai magistrati di Catanzaro, in un interrogatorio fatto in epoca successiva, dire che il patto c'era. Il che porta il gup a scrivere che la Merante appare "un come soggetto che, lungi dal raccontare la verità, riesce accortamente a modulare il tenore delle proprie propalazioni a seconda delle autorità giudiziarie dalle quali viene esaminata e dalle ipotesi di reato che queste si prefiggono di perseguire".

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