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    Maxi perazione di Polizia in tutta Italia contro il clan De Stefano, 15 arresti

     

     

    Giro d'usura, axi perazione di Polizia in tutta Italia contro il clan De Stefano, 15 arresti

    01 lug 10 Arrestate 15 persone e sequestrate 130 unità immobiliari del valore di circa 8 milioni. Questi i risultati dell’operazione contro la ‘ndrangheta della Polizia di stato, cominciata due anni fa e che ha visto impegnate 16 questure, coordinata dalla Procura della Repubblica di Milano. Secondo l’autorità giudiziaria i beni, spesso intestati a prestanome, erano il provento dell’attività di usura nei confronti di imprenditori in difficoltà. Il procuratore aggiunto della Dda di Milano, Ilda Boccassini, ha sottolineato “il nuovo modo di svolgere le indagini”, che ha portato avanti, in parallelo, un’aggressività di tipo militare, anche attraverso intercettazioni ambientali e telefoniche, e l’individuazione del patrimonio illecito. E proprio le intercettazioni sono state fondamentali per incastrare gli appartenenti al clan, visto che nessuno degli imprenditori vittime di usura ha sporto denuncia.

    E' partita dalla prime luci dell'alba, a Milano, l'operazione della Polizia che ha eseguito arresti e perquisizioni nei confronti di un'organizzazione mafiosa, contigua al clan De Stefano, ritenuta responsabile di un grosso giro di usura. L'operazione, che vede al centro delle indagini l'importante clan della 'ndrangheta che opera dagli anni settanta nel capoluogo lombardo e nell'hinterland, è condotta dalla Squadra mobile e vi partecipano oltre 250 agenti. Le forze dell'ordine, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, hanno, tra l'altro, sequestrato beni per 8 milioni di euro. Le accuse contestate dalla Dda di Milano, che ha operato in collaborazione con il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, vanno dall'associazione a delinquere di stampo mafioso all'usura e intestazione fittizia di beni. La 'ndrina oggetto dell'operazione avrebbe costituito un'organizzazione di tipo mafioso dedita all'usura ed alla conseguente acquisizione di numerosi immobili e società, poi intestati a prestanome. Oltre alle ordinanze di custodia cautelare, infatti, gli agenti stanno eseguendo oltre 70 perquisizioni ed il sequestro preventivo di immobili, conti correnti e quote di società. L'indagine, durata due anni, ha coinvolto 16 questure in tutta Italia, e ha portato, stamani, all'arresto di 15 persone. Secondo l'autorità giudiziaria il clan De Stefano, oggetto della maxi operazione, "usurava sistematicamente imprenditori" che si trovavano in difficoltà.

    Per la prima volta, un’inchiesta giudiziaria acclara un legame tra la criminalità organizzata e l'Expo. Una 'piccolà storia che potrebbe però essere ricalcata su palcoscenici più ampi: un imprenditore conquista grazie a un politico locale la licenza per costruire un mini-casinò all’interno di un’area da riqualificare in vista della manifestazione in programma nel 2015. L’indagine, firmata dal pm Ilda Bocassini, riguarda il clan familiare di origini calabresi dei Valle, attivo nell’hinterland milanese e nel pavese, in particolare a Vigevano, e legato alla 'ndrina dei De Stefano.

    Il capo dell’organizzazione è Francesco Valle, 72 anni, e 11 delle 15 persone arrestate appartanevano alla sua famiglia. Tra loro Angela Valle; Carmine Valle; Fortunato Valle; Maria Valle; Francesco Lampada; Antonio Domenico Spagnuolo; Alessandro Spagnuolo; Giuseppe Tino; Riccardo Cosenza; Bruno Antonio Saraceno; Maria Teresa Ferreri; Santo Pellicano e Giuliano Roncon.

    La Squadra Mobile ha arrestato il 'pater familias' dei Valle, il vecchio Francesco, 73 anni, i suoi tre figli e altre undici persone, strette alla famiglia da vincoli di sangue o interesse. Sono accusati di aver stritolato col cappio dell’usura decine di imprenditori e professionisti affannati dai debiti e pronti ad 'arruolarsì nel clan, disposti a trasformarsi da vittime in carnefici, pur di restituire prestiti diventati montagne. Nessuna delle 5 vittime accertate ha denunciato nulla. Omertà totale, come nel 'copionè dei Valle, trasferiti a Milano da Reggio Calabria negli anni Settanta, e proprietari di numerosi bar e immobili. Il tasso di interesse con cui venivano prestati i soldi a imprenditori e negozianti in difficoltà economiche era del 20% e le somme prestate variavano dai 20 mila ai 250 mila euro. E chi non pagava correva il rischio di essere convocato e picchiato davanti agli altri debitori, com'è successo in almeno un’occasione, nel "quartier generale" dell’organizzazione, ribattezzato 'La Masseria dal nome di un ristorante che sorge in un complesso più ampio, situato a Cisliano (sud ovest di Milano). "Era – spiega Boccassini – il classico metodo per cui si colpisce uno per educarne cento".

    Nella "Masseria" abitavano 6 esponenti legati al clan in un paesaggio quasi vacanziero, con giardino, piscina, chiosco bar, palme, ristorante, schermo idilliaco che celava un bunker munito di sofisticate apparecchiature di sicurezza come telecamere, sensori, impianti di allarme, per prevenire ogni intrusione. La privacy era garantita con gli stessi mezzi anche al patriarca Francesco Valle che abitava a Bareggio (Milano), in una casa circondata da telecamere e protetta da rottweiler. La terza sede di importanza strategica per l’organizzazione, detta 'la Cassafortè, era un appartamento a Milano, nel quale sono stati trovati migliaia di euro in contanti derivati dalla gestione di videopoker. Tra le attività dei Valle un’attenzione particolare veniva riservata al settore immobiliare. Il clan avrebbe ottenuto le licenze per aprire un "mini casinò", una discoteca e anche attività di ristorazionè' nel comune di Pero (Milano) nell’ambito di un progetto di riqualificazione di quelle aree 'in virtù del prossimo Expo', grazie 'all’interessamento' dell’assessore comunale di Pero Davide Valia.

    La Masseria era il bunker. La cosca della 'ndrangheta dei Valle, i cui esponenti sono stati arrestati oggi nell'ambito di un'operazione della Dda di Milano, aveva costruito un vero e proprio bunker, con telecamere, sensori e allarmi, in una masseria nella zona sud-ovest del capoluogo lombardo. Il particolare emerge dall'ordinanza di custodia cautelare emessa a carico di 15 persone dal gip di Milano, Giuseppe Gennari. Come si legge nel provvedimento, il presunto boss, Francesco Valle, gestiva le attività criminali "principalmente dalla base logistica 'La Masseria'" che è un ristorante a Cisliano, non lontano da Vigevano (Pavia), dove la cosca Valle era di casa da qualche anno. La masseria, si legge ancora, era "predisposta come bunker, munita di sofisticate apparecchiature di sicurezza (...) in modo da impedire l'accesso a terzi e di prevenire qualunque intrusione da parte delle forze di polizia". Nel bunker, Francesco Valle, riceveva "i debitori", ossia una ventina di imprenditori e commercianti 'strozzati' dall'usura. Nella masseria gli 'strozzati' venivano anche "intimiditi e picchiati". Sempre nel ristorante il boss "con i figli Fortunato e Angela (anche loro arrestati, ndr)" decideva "le strategie imprenditoriali del sodalizio".

    Nell’ordinanza viene spiegato che il 23 gennaio 2009 Francesco Valle, presunto Boss della cosca, contattò un imprenditore uno degli arrestati, "per avvisarlo di aver ottenuto dal Comune di Pero le licenze" per aprire le attività "in quanto in quella zona il Comune, in virtù del prossimo Expo, aveva intenzione di riqualificare l’area". Tutto ciò, scrive il gip, "è avvenuto (...) anche grazie all’amicizia con Davide Valia (ndr assessore comunale a Pero)". Numerosi gli immobli sequestrati in diverse città: oltre a Milano, Bareggio e Cisliano, Rho, Settimo Milanese, Trezzano sul Naviglio, Como, Cesano Boscone, e altre ancora. In una delle intercettazioni disposte dal gip Guido Salvini (al quale è subentrato il gip Giuseppe Gennari solo pochi giorni fa, dopo il trasferimento del primo al Riesame), uno degli arrestati, l’imprenditore Riccardo Cusenza, candidato alle elezioni amministrative di Cormano (Milano) nel 2009, si vanta con Fortunato Valle di avere un "padrino politico" e gli chiede un 'aiuto' per essere eletto. In una conversazione del 27 aprile 2009, Cusenza (che poi non fu eletto) afferma, parlando con un certo Massimo, di essere «culo e camicia» con Guido Podestà che adesso verrà all’aperitivo che organizziamo a Cormano". In una nota, il presidente della Provincia dichiara che si tratta di "una vanteria, priva di alcun supporto nei fatti".

    PM Boccassini "Clan Valle controllava territorio". La famiglia Valle, cosca della 'ndrangheta oggetto dell'operazione della Dda di Milano che ha portato oggi a 15 arresti, "riproponeva al Nord i meccanismi esistenti al Sud - ha spiegato il procuratore aggiunto della Dda del capoluogo lombardo Ilda Boccassini - come l'uso della violenza e il controllo del territorio". Gli appartenenti al clan, durante le indagini, hanno inseguito dall'hinterland al centro città una volante della polizia in borghese, fino a fermarla per chiedere spiegazioni della loro presenza vicino alla base logistica della famiglia a Cisliano. I Valle potevano poi avvalersi di vedette che li avvisavano della presenza sospetta di estranei. La violenza della 'ndrina seguiva il detto maoista 'colpirne uno per educarne centò. Per essere sicuri di riottenere i soldi prestati a tassi usurai, infatti, le vittime venivano raggruppate negli appartamenti del clan dove uno degli usurati veniva picchiato di fronte agli altri. La famiglia usava "modalità identiche a quelle usate nel Sud e che siamo abituati a leggere sui giornali - ha ribadito la Boccassini -: violenze, estorsioni, pestaggi. Creavano timore tra gli imprenditori lombardi". Un terrore che ha spinto "tutti gli usurati a non denunciare le richieste di denaro estorto".

    Pieno controllo del territorio. La terza sede di importanza vitale per l’organizzazione è la “Cassaforte” in via Carlo Dolci a Milano. Un appartamento nel quale venivano portati i proventi di diverse attività illecite e sede di alcune società gestite dal clan. Numerose le città nelle quali sono stati sequestrati gli immobili: oltre a Milano, Bareggio e Cisliano, Rho, Settimo Milanese, Trezzano sul Naviglio, Como, Cesano Boscone, e altre ancora. Inoltre è stato nominato un custode giudiziario per un cantiere a Settimo Milanese con 38 unità abitative, “le famiglie saranno tutelate - ha sottolineato Boccassini - e i lavori andranno in porto con altri amministratori”. Le difficoltà incontrate dagli inquirenti sono state dovute soprattutto al controllo del territorio che il clan era riuscito ad organizzare. “La famiglia Valle agiva come può succedere a Siderno o a Locri” ha detto Boccassini. In particolare, sottolinea il procuratore aggiunto, l’assenza di denunce “è il dato più impressionante e negativo” perchè sta a significare che “nel sud c’è una speranza, nel nord invece non c’è la disponibilità ad usare lo strumento della denuncia”. Questa famiglia era arrivata nel nord Italia negli anni ‘70 poverissima, e in poco tempo ha creato un impero economico. Ha cominciato nel vigevanese e negli ultimi anni ha spostato l’attività illecita nell’hinterland di Milano, in particolare usura e intestazione fittizia di beni con l’acquisizione di immobili sotto prestanome.

    Clan Valle in Lombardia dopo faida anni 70. Il clan della 'ndrangheta Valle, oggetto dell'operazione della Dda di Milano che oggi ha portato a 15 arresti, si è trasferito in Lombardia negli anni Settanta dopo una faida che a Reggio Calabria aveva coinvolto le famiglie De Stefano, a cui erano legati, e i Condello. Fino agli anni Novanta, hanno spiegato gli inquirenti, i Valle si erano radicati nel Pavese, per poi allargare il loro territorio fino all'hinterland Sud-Ovest di Milano. Al clan era già stato sequestrato un patrimonio di 10 miliardi di lire nel 2004, quando venne loro contestato il reato di associazione a delinquere. I beni immobili sequestrati nell'operazione di oggi, per un valore di circa otto milioni di euro, sono stati 138: 77 intestati a società (di questi 5 a Milano, 2 a Rho e altrettanti a Trezzano sul Naviglio e Noviglio, 26 a Cisliano e 38 a Settimo Milanese) e 61 a persone fisiche (30 nel Milanese, 2 nel Pavese, 22 nel Comasco, 1 nel Foggiano e 6 nel Reggino). Tra gli immobili ci sono la 'Cassaforte' in via Carlo Dolci a Milano, dove sono stati rinvenuti migliaia di euro in contanti derivati dalla gestione di videopoker e dove avevano sede diverse società legate alla famiglia, la base operativa 'La Masseria', un complesso abitativo in via per Cusago a Cisliano composto da 15 appartamenti e da un ristorante con parco e piscina, e la residenza del patriarca della famiglia, Francesco Valle di 72 anni, in via Aosta a Bareggio.

    I rapporti con la politica. La cosca della 'ndrangheta dei Valle, "grazie alle conoscenze di Fortunato Valle con amministratori pubblici locali" è riuscita "ad allargare la sua sfera di influenza interessandosi ad operazioni legate alle costruzioni immobiliari" e ad altre attività imprenditoriali "nella zona di Rho-Pero" a nord di Milano "in previsione del prossimo Expo che si terrà nel 2015". E' quanto emerge da un'informativa del 25 febbraio scorso della Squadra Mobile di Milano, che ha condotto le indagini che oggi hanno portato all'arresto di 15 persone accusate di associazione mafiosa. Nell'informativa si spiega come la cosca Valle si sia interessata grazie ai contatti con amministratori pubblici locali di operazioni immobiliari e della "acquisizione di licenze per l'avvio di attività imprenditoriali in particolare nel comune di Limbiate e nella zona di Rho-Pero, area in forte espansione in previsione del prossimo Expo". Nell'informativa viene citato anche l'assessore comunale di Pero, Davide Valia, coinvolto nell'inchiesta, che "si prodigò per far ottenere" al presunto boss Fortunato Valle "le autorizzazioni per l'avvio di esercizi pubblici e a metterlo in contatto con altri amministratori locali di altri comuni da lui conosciuti per favorirlo nei suoi affari". In una conversazione telefonica intercettata il 23 gennaio scorso Fortunato Valle dice: "Lì l'hanno fatta zona ...come si dice ... zona essendoci l'Expo, la Fiera". E un altro degli arrestati risponde: "Ah sì, sarà di espansione, di interesse e tutte quelle robe lì". L'informativa riporta anche il particolare che il clan Valle ha cercato di "infiltrarsi in maniera diretta nell'amministrazione del comune di Cologno Monzese, facendo candidare Valle Leonardo alla carica di consigliere comunale". Non venne eletto.

    Presidente Provincia Milano "Mai avuto rapporti con arrestato". Il presidente della Provincia di Milano Guido Podestà ha preso posizione per precisare di non avere mai avuto rapporti con Riccardo Cusenza, uno degli arrestati nell'operazione contro un clan della 'ndrangheta, e di essere pronto ad agire in tutte le sedi a tutela della sua immagine qualora venissero fatte illazioni contrarie. ''Il presidente on. Guido Podestà - è scritto in una nota della Provincia - ha appreso da alcuni lanci d'agenzia che all'interno di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Milano, Giuseppe Gennari, nei confronti di presunti affiliati ad una cosca della 'Ndrangheta, sarebbe inserito il testo di una intercettazione telefonica nella quale un certo Riccardo Cusenza millanta un rapporto diretto con l'on. Guido Podestà". "Ebbene - prosegue la nota - per chi come Podestà ricopre da molti anni incarichi politici ed istituzionali di grande importanza per il territorio è impossibile impedire che soggetti terzi, col probabile scopo di accreditarsi, utilizzino in modo improprio il suo nome. La circostanza certa è, invece, che l'on. Guido Podestà, diversamente da quanto asserito, non ha e non ha mai avuto rapporti con Riccardo Cusenza, tanto meno di amicizia: in buona sostanza l'affermazione di Cusenza è solo una vanteria, priva di alcun supporto nei fatti". "Va quindi precisato - conclude la nota - che eventuali illazioni circa l'esistenza di legami tra l'on. Guido Podestà e Riccardo Cusenza costringerebbero il Presidente della provincia di Milano ad agire in tutte le sedi a tutela della propria immagine".

    Il plauso del Ministro Alfano. "Esprimo il mio plauso ai magistrati e alle forze dell'ordine per le operazioni a Reggio Calabria e Milano che hanno portato all'arresto di numerosi esponenti della 'ndrangheta e al sequestro di beni per svariati milioni di euro, frutto di attività illecite." Lo ha affermato il ministro della Giustizia Angelino Alfano, in riferimento all'operazione 'Giano' della Dda di Reggio Calabria e all'operazione antiusura condotta dalla Dda di Milano. "E' un ulteriore e chiaro segnale per le organizzazioni mafiose - continua il Guardasigilli - perché sappiano che la squadra-Stato è determinata a portare a termine l'opera di sradicamento delle loro attività illecite che tentano di minare la nostra società e la sana competitività del nostro Paese". "Il mio ringraziamento - conclude Alfano - agli uomini dei carabinieri e della polizia, coordinati dai magistrati della Dda calabrese e milanese, per le brillanti operazioni che consentono il ripristino della legalità".

    Le mani della ndragheta al nord. Gli appalti pubblici e l’edilizia, soprattutto; ma anche la realizzazione e la gestione di grandi strutture commerciali e logistiche, in modo da controllare l’intera filiera imprenditoriale. E ancora: il turismo, il ciclo dei rifiuti, la produzione e la commercializzazione di prodotti ortofrutticoli, la realizzazione di impianti per la produzione di energia alternativa. Le mani delle cosche, dicono gli investigatori che da anni studiano i movimenti delle ‘ndrine calabresi, si sono ormai allungate da tempo sulle regioni centro settentrionali, arrivando a minacciare seriamente l’economia legale grazie all’enorme quantità di denaro contante a disposizione, proveniente dal narcotraffico, dall’usura e dalle estorsioni. Se infatti le cosche mantengono un forte legame con il territorio d’origine, grazie agli stretti legami di natura parentale, i loro interessi si sono estesi a macchia d’olio in quelle regioni dove circola denaro in abbondanza: Lombardia, innanzitutto, ma anche Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Umbria. L’enorme quantità di denaro a loro disposizione, complice anche la crisi economica mondiale – sottolineano gli investigatori – ha dato alle ‘ndrine la ”capacità di condizionare ed inquinare l’economia”. Con il denaro proveniente dal narcotraffico – le cosche calabresi sono le uniche in Italia a trattare direttamente con i colombiani per l’acquisto di cocaina e con i turchi per quello di eroina – le ‘ndrine riescono ad acquistare societa’ in crisi o comunque a mettere in atto forme di concorrenza illecita, attraverso il solito metodo delle intimidazioni e delle estorsioni. Il quadro che emerge è quello di un’organizzazione criminale, ormai ampiamente radicata nelle regioni centro settentrionali, che investe milioni di euro di provenienza illecita in attività legali – società, centri commerciali, ditte di grande distribuzione, alberghi, negozi – ripulendo di fatto il denaro e trovandosi a disposizione enormi capitali, stavolta ‘puliti’, da reinvestire nella droga. “Il profilo della ‘Ndrangheta”, scrivono i servizi segreti nell’ultima relazione al Parlamento, “si è ulteriormente consolidato nel rilevamento di aziende in sofferenza, nonché nella gestione diretta d’impresa”. E “parallelamente, il coinvolgimento in termini collusivi di circuiti professionali, tecnico-amministrativi e imprenditoriali, si è tradotto in veri e propri ‘comitati affaristici’, finalizzati a veicolare gli interessi mafiosi verso i settori d’intervento più remunerativi”. E’ quello che, hanno scoperto gli investigatori, sta accadendo per l’Expo 2015. I settori principali d’intervento delle ‘ndrine restano comunque quelli classici: la conquista degli appalti per le opere pubbliche – la Tav e il ponte sullo Stretto, l’ammodernamento della rete autostradale – e il tentativo di monopolizzare l’intero processo edilizio, dunque dalle cave agli inerti, dai trasporti ai moli fino ai subappalti. E’ in questi due settori che, annotano gli 007 nella loro relazione, la presenza della ‘Ndrangheta e’ “diffusa e pervasiva”. Ad esempio in Lombardia, soprattutto a Milano, “dove sono emerse progettualità di inserimento criminale nella gestione delle opere infrastrutturali più importanti, tra cui l’Expo”. E in Piemonte, “attraverso società edili variamente collegate alle cosche crotonesi”. Le indagini e gli arresti dell’ultimo anno non hanno fatto altro che confermare questa tendenza. Cinque sono i boss di ‘Ndrangheta di altissimo spessore, tanto da essere inseriti nella lista dei trenta latitanti piu’ pericolosi (Giovanni Strangio, arrestato in Olanda, Salvatore Coluccio, Antonio pelle, Carmelo Barbaro e Paolo R.De Stefano, preso in Sicilia) catturati nel 2009 e decine sono state le operazioni articolate su tutto il territorio italiano – da Milano a Varese, da Cesena a Potenza, da Roma a Caserta – che hanno ampiamente ribadito quanto gli investigatori sostengono nelle loro analisi: per fermare le cosche bisogna ormai guardare anche dentro l’economia legale.

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