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    Finanziaria, verranno taglaite 9 province: Crotone e Vibo in Calabria

     

     

    Finanziaria, verrebbero tagliate 9 province tra cui Crotone e Vibo. Zurlo "E' incostituzionale". De Nisi "Arretramento Stato"

    26 mag 10 Sono nove le province, al di sotto dei 220 mila abitanti, che potrebbero cadere sotto la scure della manovra del Governo, fatte salve quelle delle Regioni a statuto speciale e quelle che confinano con stati esteri. Questo, con riferimento ai dati Istat del 2009 che rilevano la popolazione residente al 2008, l'elenco: Piemonte, Biella(187 mila abitanti); Toscana, Massa Carrara(203 mila abitanti); Marche, Ascoli Piceno(212 mila), Fermo(176 mila); Lazio, Rieti(159 mila); Molise, Isernia(88 mila); Basilicata, Matera(203 mila); Calabria, Crotone(173 mila) e Vibo Valentia(167 mila). La lista non è ufficiale perché l'Upi rileva come non siano ancora stati resi noti i parametri di riferimento: se fosse il censimento - si fa notare - le province sarebbero alcune, se fossero gli ultimi dati Istat, altre.

    Presidente "Abolizione provincia è arretramento dello Stato". La provincia di Vibo Valentia è composta da 50 comuni e da oltre 170 mila residenti. La Provincia è stata istituita nel 1992 ma solamente tre anni dopo viene eletta la prima consiliatura. Il consiglio provinciale è composto da 25 consiglieri. I dipendenti dell’ente sono circa cinquecento. L’economia è incentrata principalmente sul turismo e sull'agricoltura. Non è univoca la preferenza di accorpamento ad altra provincia in caso di soppressione. I residenti nella zona nord del vibonese preferirebbero essere accorpati con Catanzaro mentre coloro che sono nell’area a sud optano per Reggio Calabria. Il Presidente della Provincia di Vibo Valentia, Francesco De Nisi, ritiene che "una tematica di questo tipo non dovrebbe essere affrontata nell’ambito di una manovra economica focalizzata sui tagli alla spesa pubblica posti in essere per fronteggiare la crisi economica. Innanzitutto, per la sua valenza costituzionale che merita un confronto parlamentare ampio e ponderato, ma anche per la sua sostanziale inutilità rispetto agli obiettivi di riduzione della spesa". "Abolire le Province sotto i 220mila abitanti - aggiunge - può determinare un risparmio di qualche decina di milioni di euro all’anno, praticamente un’inezia rispetto alle attuali esigenze di cassa. Di contro, cancellare le Province significa sopprimere anche le questure, le prefetture, gli uffici scolastici provinciali, le aziende sanitarie, i comandi provinciali delle forze dell’ordine e quant'altro. Questo segnerebbe un arretramento dello Stato in territori, come quello vibonese, che non possono prescindere da una sua presenza concreta e operativa". "Insomma, credo che intorno all’ipotesi - conclude De Nisi - di abolire le Province più piccole ci sia molta disinformazione, alimentata dalla valenza demagogica di un provvedimento che assicurerebbe soltanto un ritorno d’immagine a chi governa il Paese, senza reali benefici per i cittadini. Che questo provvedimento sia profondamente ingiusto lo dimostra anche il fatto che il Governo intende escludere dal taglio delle Province quelle che confinano con nazioni estere, evidentemente perchè tutte al Nord, dove la Lega - contraria all’abolizione - impone il suo diktat. Come faranno a spiegare questa ennesima sperequazione che marginalizza il Mezzogiorno?".

    Zurlo "E' incostituzionale". "Avanzeremo dei dubbi sulla costituzionalità del provvedimento che in realtà creerebbe modestissimi risparmi e penalizzerebbe ulteriormente aree già in grosse difficoltà dal punto di vista sia economico che sociale". Così il presidente della Provincia di Crotone, Stanislao Zurlo, commenta la parte del provvedimento correttivo della manovra economica varata dal Consiglio dei Ministri che andrebbe a sopprimere alcuni enti intermedi fra cui Crotone e Vibo Valentia. "Se si vuole realmente risparmiare -rilancia Zurlo- sarebbe utile sopprimere tutte le province d'Italia e non quelle con meno di 220.000 abitanti. Penso ad esempio alla Lombardia dove nel raggio di pochissimi chilometri esistono province che bene o male sono tutte nell'area milanese. Sarebbe più logico semmai abolire le province nei cui bacini ricadono aree metropolitane. Con gli altri colleghi delle province che si vorrebbero sopprimere ci stiamo attivando per attuare unitariamente le iniziative opportune affinché il provvedimento in questione venga riconsiderato"

    Schifino: Le misure di politiche economiche che il governo nazionale si appresta a varare per il rientro del deficit pubblico al 3% del P.i.l., come previsto dai parametri di Maastricht, per fronteggiare la grave crisi finanziaria e valutaria internazionale prevedono alcune scelte improvvisate ed inique socialmente". Lo afferma Ubaldo Schifino. Capogruppo del Partito Democratico nel Consiglio provinciale di Crotone. "A tali scelte si affianca la volontà di abolire quelle province con una popolazione al di sotto dei 220 mila abitanti. La questione ci vede direttamente protagonisti. E’ più che noto il fatto che l‘Italia necessiti di una riforma organica dell’attuale assetto istituzionale per la riorganizzazione dell’apparato degli enti territoriali, la volontà è quella di sopprimere quelli ritenuti da sempre inutili. Sarebbe questa la risposta al dibattito infinito che avviene in sede politica ed istituzionale aperto sin dagli anni 70 con la nascita delle Regioni e successivamente con l’istituzione delle città metropolitane. Se il tema è sopprimere o meno le province lo si deve affrontare, ma la stessa decisione deve essere riferita a tutti gli enti intermedi e non soltanto ad alcuni così come attualmente sta capitando. Ciò che serve è non affrontare questa complessa vicenda istituzionale solo sulla base di discutibili criteri numerici, in riferimento alla densità della popolazione territoriale. Ma siamo lontani dalla risoluzione della controversia succitata. L’argomento è tra i maggiormente rilevanti solo se fatta in un’ ottica razionale riguardante il ruolo dell’insieme delle province italiane nel ne nuovo contesto istituzionale e non per la necessità di dare una sforbiciata alla spesa pubblica oltretutto con un peso irrilevante sul piano del risparmio. Ci appare quanto mai questa presa da Governo, una scelta discriminatoria e demagogica, sicuramente insopportabile ed inaccettabile per una realtà com’è quella del crotonese che per più di 50 anni ha dovuto lottare per vedersi riconosciuto il suo diritto di affrancarsi dalla provincia di Catanzaro. Furono quelli, per chi li ha vissuti, momenti di lotta esaltanti per l’unità territoriale, che hanno visto in prima fila le istituzioni locali, sindaco, arcivescovo e forze politiche e sociali del crotonese. Un risultato storico da consegnare al futuro per il miglioramento e per la crescita di Crotone. Ecco perché sarebbe una scelta sbagliata non tenere conto nello specifico che il riconoscimento della provincia di Crotone è dovuto a ben altri parametri, fondamentali. Intanto la coincidenza dei confini della provincia con l’ex marchesato del crotonese, che aveva già di per sé una identità storica, culturale e geografica, omogenea dal punto di vista economico-sociale che ha legittimato ampiamente per natura la nascita della nuova istituzione e che oggi rappresenta una conquista storica ed un patrimonio di lotta irrinunciabile della nostra comunità. Procedere in questa direzione vorrebbe significare subire uno scippo intollerabile in quanto avulso da una discussione seria ed approfondita nell’ambito del dibattito della riforma strutturale degli enti intermedi e del ruolo che in questo contesto devono assolvere le province. Io sono certo che il Presidente della provincia di Crotone, Stanislao Zurlo, individuerà le iniziative più adeguate per coinvolgere i sindaci del nostro territorio, le nostre rappresentanze parlamentari e regionali, le forze politiche e sociali ed il complesso tessuto del robusto associazionismo democratico perché unitariamente si possa discutere nel merito ed in base a ciò si possano prendere immediate iniziative perché il nostro territorio provinciale faccia sentire la sua voce senza subire la scelta che apparirebbe imparziale oltre che vana per affrontare la drammatica crisi già in fase avanzata sul terreno economico occupazionale e sociale che viviamo nel territorio provinciale, perché realtà periferica dello Stato. Questa facile soluzione potrebbe ulteriormente acuire il disagio e la stessa coesione sociale della comunità.

    Crollo dello stato sociale. La manovra economica in via di approvazione potrebbe portare ad effetti "insopportabili sul sistema sociale di alcune regioni": lo ha affermato Angelo Michele Iorio, vicepresidente della Conferenza delle Regioni, a margine della presentazione della Giornata del Sollievo. "Per ora abbiamo visto solo le cifre - ha affermato Iorio - bisogna esaminare il testo completo. Ma i tagli prospettati ai trasferimenti agli enti locali potrebbero avere effetti insopportabili sul sistema sociale, in particolare del Mezzogiorno". Iorio ha sottolineato che eventuali tagli vanno discussi con le Regioni: "Bisogna ricordare - ha spiegato - che la manovra é straordinaria, quindi deve essere altrettanto straordinaria la concertazione con le Regioni. C'é un livello sociale di assistenza sotto cui non si può scendere, e nel caso bisogna trovare dei correttivi. Sono convinto che il taglio ai trasferimenti prospettato sia eccessivamente alto ed è impensabile che si riferisca solo all'eliminazione di sprechi, di sicuro inciderà su qualità e diffusione dei servizi".

    Laratta:Un'operazione comica e ridicola insieme!. Nella manovra finanziaria è prevista la soppressione delle piccole Province con meno di 220mila abitanti, escluse quelle che confinano con Stati esteri o si trovano in Regioni a statuto speciale. Saranno soppresse dalla prossima legislatura: Riete, Ascoli Piceno, Matera, Massa e Carrara, Biella, Fermo, Crotone, Isernia e Vibo Valentia. Ma alla fine, considerati i necessari accorpamenti, a saltare davvero forse saranno 5-6 province. Ma, a che serve tutto ciò? Dove sono i risparmi? Se l'Ente province è superato, allora devono essere chiuse tutte le province (ed io non credo a questo) e non solo una manciata! E poi, non si era parlato di realizzare le Città Metropolitane che avrebbero quindi assorbito le province delle grandi città? In realtà, l'operazione di Tremonti è insieme comica e ridicola. Non taglia pressocchè nulla, non serve a niente, realizza scarsissimi risparmi, colpisce i piccoli perchè con i grandi non può. La Lega non glielo lascia fare. allora siamo seri: o le province di chiudono tutte, o non si chiude nessuna!

    * All'interno dei "sacrifici duri" annunciati dal Governo c'è una sorpresa: ritorna l'abolizione delle Province. O meglio, di alcune province. Poche per la verità. Quelle con meno di 220mila abitanti, che in italia sono 28 su 110. O meglio, di alcune di esse. Perché la norma prevede l'esclusione di quelle appartenenti a Regioni a Statuto speciale o «confinanti con l'estero» che fa scendere l'elenco a 15 su 110. La lista non è ufficiale, ma si ricava facilmente. E la notizia riguarda direttamente la Calabria, perché 2 delle 15 province da abolire sono quelle di Crotone e Vibo che hanno circa 170mila abitanti. «Le Province sono inutili e vanno abolite», promise solennemente Berlusconi davanti ad alcuni milioni di telespettatori nella campagna elettorale che lo portò al Governo nel 2008. Pare averci ripensato. Nel confronto con Fini alla direzione PDL ha infatti sostenuto che il risparmio "non vale la candela", quantificandolo in 200 milioni di euro. I berluscones impegnati in polemica coi finiani in diversi studi televisivi hanno cavillato sul programma governativo sostenendo che è scritto che il Governo si impegna adabolire le "province inutili", e quindi si devono abolire quelle province che sono inutili, non tutte le province in quanto inutili. Al momento pare abbia prevalso questa lettura del programma. Berlusconi ha ripensato, parzialmente, il suo ripensamento. Perché non si aboliscono tutte le province? Una parte della risposta, probabilmente, è che le Province danno lavoro a 61mila persone. Parliamo di quelle persone col famigerato "posto fisso", che abolizione o no vanno pagate. Quindi, chiosa Berlusconi alla faccia di Fini, si risparmiano solo gli emolumenti dei politici. Il ragionamento sui numeri dà però risultati profondamente diversi da quelli proposti. I 200 milioni all'anno, in effetti, rappresentano solo il risparmio diretto che avrebbe lo Stato dagli stipendi dei politici: circa 2 milioni per ogni provincia che rappresentano il pro medio dei costi sostenuti per ogni eletto, circa 40mila euro all'anno. Si tratta di gettoni di presenza per consiglio e commissioni e rimborsi per raggiungere il capoluogo (stranamente anche i consiglieri provinciali eletti nelle circoscrizioni del capoluogo poi si scoprono essere residenti in qualche lontano angolo della provincia). Non sono compresi però i costi che derivano dalla rappresentanza, del personale politico "a chiamata" impiegato, degli uffici stampa, delle auto blu, dei segretari generali a 200mila euro all'anno, delle sedi e molte altre voci minute. Tutto ciò assieme è quantificabile in non meno di 6 milioni ad ente, e quindi di circa 700 milioni all'anno complessivi. Vi è poi il risparmio di serie garantito dall'accorpamento delle funzioni. È vero che, come ha detto Berlusconi alla faccia di Fini, la manutenzione delle strade e delle scuole va pagata lo stesso, ad esempio. Ma è pure vero che oggi i Comuni si occupano di ristrutturare le elementari, le Province le medie e le superiori, il Ministero le Università. Accorpando, con lo stesso ufficio tecnico -- magari potenziato dai dipendenti trasferiti dall'ente in chiusura -- si potrebbero gestire tutti gli appalti ed i controlli risparmiando circa altri 500 milioni all'anno. E avanti cosi con i rifiuti, gli uffici urbanistici, l'acqua (se non la vendono alle multinazionali) e diverse altre cose. fino ad arrivare a un risparmio sulla spesa corrente, senza toccare nemmeno uno dei dipendenti regolarmente assunti con concorso, di circa 800 milioni di euro all'anno. Vi è poi il risparmio indiretto: oggi circa la metà dei dipendenti delle Province è occupato in attività "interne", rivolte all'ente e non al cittadino. Davanti ad un ipotesi di soppressione delle Province ed accorpamento delle funzioni a comuni e province solo una parte di questi dipendenti rimarrebbe a svolgere le stesse funzioni di prima, diciamo non oltre la metà. Per cui si libererebbero circa 30mila persone il cui potenziale lavorativo potrebbe essere validamente espresso in altre strutture dello Stato carenti: segreterie delle scuole, cancellerie dei tribunali, eccetera. Ognuno costa mediamente 40mila euro all'anno, che moltiplicati per 30mila significa produrre nuovi servizi ai cittadini per circa 1 miliardo e 200 milioni all'anno. Se sommiamo a questi i costi della politica, gli interessi sui risparmi, ed altre voci minori arriviamo ad ipotizzare un'ottimizzazione dei costi di circa 2 miliardi e 500 milioni all'anno. Non male per una manovra che prevede 12 miliardi all'anno. Sarebbero un quinto di "sacrifici duri" in meno. Se questi numeri sono sballati non è dato saperlo, perché di questi numeri nessuno ragiona. Però se il taglio delle 15 province dovesse passare, salterebbe fuori la voce di bilancio corrispondente. Allora, 7 volte quella somma sarebbe il risparmio minimo che si avrebbe abolendo tutte e 110 le province. Scommettiamo che salterebbe fuori una cifra pari al quinto della manovra? In fondo molti pagano già il quinto dello stipendio per campare. Evviva le province.*

    * di Massimiliano D'Acri

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