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    Enzo Paolini riparte dal Modernissimo

     

     

    Enzo Paolini riparte dal Modernissimo

    07 mar 11 “La migliore Cosenza di sempre non è solo uno slogan, è una suggestione perché rappresenta insieme una memoria ed un auspicio. Il 7 novembre 1993 partivamo da qui per uno straordinario viaggio politico durato un decennio, rimasto nella mente e nel cuore di tutti noi. Oggi, 7 marzo 2011 ripartiamo da qui, per ricostruire una identità, per riprendere in mano direttamente le nostre vite quotidiane e quelle dei nostri figli, per fare un passo avanti ed assumerci – tutti insieme – la responsabilità e l’impegno di “fare” la nostra città”. Inizia così il discorso di Enzo Paolini candidato Sindaco alla citta’ di Cosenza che in una affollata sala del Modernissimo presenta la sua candidatura a Sindaco. “Non è un impegno semplice – lo so – ai tanti che mi dicono che è una bella fatica rispondo che, intanto, l’aggettivo vince sul sostantivo. Se la fatica è “bella” vuol dire che vale la pena farsene carico. Ed è bella, la fatica di guidare una città, se in essa c’è passione civile, amore per la propria comunità, disinteresse rispetto alle convenienze, forza delle convinzioni, ed un po’ di sana follia.- Ecco, in me si è agitata questa miscela, ed una delle cose più gratificanti (ve ne sono più d’una, ve le dirò) di questi ultimi mesi è stata per me, la constatazione di averla trasmessa a tanti, uomini e donne, ragazzi, giovani e meno giovani, di tutte le classi sociali, che hanno inteso impegnarsi direttamente; verrebbe da dire “scendere in campo” se non fosse che la metafora a me non piace perché presuppone che vi siano giocatori e spettatori e qui oggi a Cosenza, il mio auspicio è che non vi siano spettatori” ma che tutti, proprio tutti, siano contagiati da questa voglia di partecipare alla nuova rinascita, ad un appuntamento storico che non possiamo e non dobbiamo mancare. Perché si stabilisca quella che Gramsci diceva una “connessione sentimentale” con quelli che stanno fuori dai palazzi del potere senza la quale, diceva, si può essere anche leader, ma leader di cartapesta. E sono qui, gli amici delle liste liberali e socialiste, di Cosenza domani, della Giovine Cosenza che insieme ad altri hanno creato una rete di competenze e stanno costruendo una proposta politica in un modo nuovo, moderno, credibile, non inutilmente retorico, vago o semplicemente enunciativo; ma piuttosto concreto, in grado di partire dai problemi della città, individuare gli obiettivi da raggiungere, prospettare le soluzioni e come realizzarle, in che modo, in quanto tempo e con quali risorse.- Certo, non è la politica del tirare a campare, delle lunghe noiosissime – una volta si diceva fumose – riunioni che ancora oggi (magari anche in questo momento) si fanno finalizzate solo ad incasellare bene i tasselli delle appartenenze, dei posti, degli assessorati e del sottogoverno, tutti ripiegati sulla autoreferenzialità delle nomenclature per proporre poi al corpo elettorale un pacco già bell’e fatto, buono solo per gli apparati.- No. Io ho partecipato in queste ultime settimane a tante riunioni a tema sulla piccole grandi questioni cittadine (che poi tanto e solo cittadine non sono ma riguardano complessivamente il fatto di essere cittadini di questo paese) nella quale si è discusso con serietà e leggerezza – che sono due cose che devono andare insieme – di come una squadra di governo potrà affrontare la sfida del “buon” governo.- Amici, professionisti, tecnici e professori esperti ai quali ho proposto di collaborare con me sui temi di un vero programma per la città.- Dico vero perché si dice che il programma di un candidato sia una fabbrica di sogni e che per di più siano tutti uguali.- Il che è vero (sia l’uno che l’altro sono luoghi comuni derivanti dalla frustrazione degli elettori) per le realizzazioni sempre promesse e quasi mai realizzate.- Per la verità non sempre è stato così o, almeno non lo è stato nella non breve stagione dal ’93 al 2002, della quale sono stato coprotagonista, ma non è da qui che voglio partire (o ripartire).- Non sarà così neanche questa volta e non solo perché siamo gli unici ad aver dimostrato di fare le cose che si annunciano, ma perché in questi 10 anni anche io ho vissuto ulteriori esperienze manageriali nel solco delle mie attitudini maturate nello sport (facendo il capitano di una squadra di rugby), nella professione (guidando uno studio con tanti avvocati) nelle aziende che conduco con migliaia di dipendenti.- Il che significa partire dalla pre-condizione della onestà e della lealtà e giungere, attraverso questi valori, ad offrire servizi efficaci ed efficienti: lavoro, scuola, acqua, sanità, sicurezza, trasporti, e tutto quanto un Comune può e deve offrire.- Che ci troviamo nel mezzo di una crisi è ormai perfettamente chiaro. La nostra città è allo stremo, stretta in una serie di problemi vasti e ramificati. E non penso adesso alle difficoltà ed ai disagi di tutti i giorni, dalla viabilità, alla raccolta dei rifiuti, alla manutenzione delle strade o alle altre mille piccole/grandi cose che affrontiamo, ma a ciò che ne è la fonte.- La nostra economia cittadina, è debole, la forza della nostra comunità è svanita per colpa della avidità e della irresponsabilità di taluni ma anche per la nostra incapacità collettiva di prendere decisioni difficili e di preparare la città alle sfide cui è chiamata come parte del Paese. Abbiamo perso il rispetto e la fiducia nelle Istituzioni che devono guidarci ed indicarci la strada e non essere distanti ed autoreferenziali se non addirittura ostili. Sono state perdute occasioni e posti di lavoro, le attività commerciali gravemente danneggiate, il sistema sanitario è male organizzato e troppo pieno di sprechi, i nostri servizi - scuole, asili, pulizia, manutenzione, traffico - assolutamente insufficienti. Questi sono i segnali oggettivi della crisi, misurabili statisticamente. Meno facilmente misurabile, ma non meno profonda è la perdita di fiducia che si registra. L’assillante timore che il declino sia invitabile e che la prossima generazione sarà costretta a ridurre le proprie aspettative.- Ecco, rispetto a questo dobbiamo invertire il nostro cammino e fare dei passi avanti. L’impegno è enorme e le soluzioni non a portata di mano in breve tempo, ma una cosa è certa: possiamo affrontarlo e risolverlo scegliendo le istituzioni come valore, anzichè come nemico, con unità d’intenti invece che con conflitto e discordia.- Dobbiamo proclamare la fine delle false promesse e delle meschine lagnanze delle recriminazioni e delle posizioni di convenienza personale che per troppo tempo hanno imprigionato la nostra vita politica.- Dovunque guardiamo troviamo che c’è del lavoro da fare; la nostra situazione richiede un immediato intervento, rapido e coraggioso, e noi lo faremo non soltanto per creare nuovi posti di lavoro, ma anche per costituire nuove basi di crescita.- Mettiamola così. Il mio programma parte da ciò che è immediatamente realizzabile o, meglio, avvertibile dagli elettori e cioè i valori di cui è impregnato rispetto per le istituzioni solidarietà sociale difesa dell’ambiente sostegno alla cultura.- Non vi sembri strano che metta al primo punto il ritorno ad un rispetto verso le Istituzioni. Io amo le istituzioni del nostro Paese così come sono state pensate e volute dall’Assemblea Costituente in quel monumento di sapienza giuridica, politica e sociale che è la nostra Costituzione.- Se c’è una cosa decisiva che io ho imparato da un grande sindaco con il quale ho avuto la fortuna di collaborare in maniera molto intensa è l’intrinseco e naturale collegamento tra la politica dei partiti e l’azione di governo a cui deve corrispondere una forte e netta differenza tra i due ruoli: i partiti devono elaborare il progetto, indirizzare le strategie aggiornare e sospingere l’azione dell’esecutivo vigilare sulla sua corretta realizzazione, parlare ai cittadini, ascoltarne le idee ed interpretarne gli ideali, coinvolgerli nella selezione della classe dirigente, ma mai occupare il potere manu militari con designazioni di regime. La forza e la credibilità di una democrazia matura è tutta qua. Ed è il motivo per il quale, ascoltandolo ed applicando questa lezione in un decennio di consiglio comunale io non ho mai fatto – ne ho mai anelato a fare – l’assessore, o ad avere un qualsiasi ruolo o funzione di governo o sottogoverno. Ho svolto, con enorme gratificazione il mio compito di consigliere comunale chiamato ed eletto a fare politica lasciando ad altri, sindaco e giunta, il compito esecutivo di svolgere il mandato realizzando il programma.- Due ruoli e funzioni distinti, entrambi di altissimo profilo istituzionale, che oggi si cannibalizzano l’un l’altro lasciando sul terreno la pelle della credibilità di un sistema, scorticando brutalmente ciò che nell’animo di ciascuno di noi dovrebbe essere un Municipio, cioè il luogo ove guardare con fiducia per la risoluzione dei propri problemi quotidiani e per la crescente affermazione di una buona qualità della vita, mentre invece appare ostile, distante, indifferente, se non esso stesso il problema, un ostacolo insormontabile tra noi ed il diritto – o i diritti – di cittadinanza.- Ecco, il rispetto, o la difesa, delle Istituzioni contiene, per me, tutta la declinazione di una politica socialista e liberale. Il lavoro, la scuola, la sicurezza, la sanità, anche cioè di quei temi che apparentemente e tecnicamente sarebbero estranei alle competenze di un Sindaco ma delle quali, invece deve potersi occupare e deve impegnarsi a comprendere nella sua agenda quotidiana. Perché il primo dei diritti dei cittadini è quello di avere un lavoro dignitoso ed utile per la collettività, ed il Sindaco – soprattutto quello di una città dove si è consumato il divorzio tra la parola libertà e la parola lavoro deve essere pronto a sostenere nelle forme giuste questo diritto. Perché l’investimento nella formazione, anche quella che parte da zero a sei anni, quella per intenderci degli asili nido, delle agevolazioni per le famiglie e le madri lavoratrici o single, è il più importante in termini di ritorno sociale. Perché la sicurezza non è solo ordine pubblico ma è anche garanzia di equità e di controllo del territorio da parte di chi amministra. Perché in sanità il Sindaco è il leader della conferenza dei sindaci e non può rimanere estraneo alle scelte di politica sanitaria che incidono sulla vita della sua comunità e che solo un atteggiamento miope o volutamente indifferente può pensare di confinare, o limitare alla edilizia sanitaria. Ci ritornerò ma basta pensare, ad esempio alla discussione sulla facoltà di medicina che la nostra città è ancora arcaicamente priva di un CUP – cioè di un centro unico di prenotazioni degno di questo nome – per mezzo del quale poter sapere in tempo reale tempi, luoghi, e costi di un esame o di una cura. A tante altre città, anche del sud, basta ormai consultare un terminale in una farmacia o da casa o in altri uffici pubblici. Qui da noi occorre ancora fare fisicamente la fila ed attendere risposte nelle singole strutture senza poter avere il quadro completo delle possibilità o delle alternative. Ecco, insomma, se si difendono e si rispettano le Istituzioni, si riesce a dare impulso, e forza a tutto ciò che dalle Istituzioni dipende e che dalle Istituzioni è generata.- Per questo, se io dovessi definirmi, mi definirei un socialista liberale del 21° secolo, uno di quelli che – come dice una strofa di Pierangelo Bertoli in una canzone - manifesto della mia formazione, ho un piede ben piantato sul passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.- Uno che guarda alla politica di oggi pensando di poter contribuire a dissodare e bonificare un terreno politico inquinato da una degenerazione penetrante sul piano della qualità del ruolo svolto della classe dirigente. Uno che guarda al passato e vede che gli epigoni dei grandi sconfitti della storia, il comunismo ed il fascismo oggi sono legittimamente al governo e che i simboli delle grandi idee politiche del novecento, quelle che hanno vinto sul nazismo e abbattuto lo stalinismo, liberali, socialisti, repubblicani, cattolici cristiani, sono minoritari e non sono più neanche sulla scheda elettorale. Ma guarda dritto e aperto nel futuro e non ha paura delle parole, del dialogo costruttivo perché, dietro le parole ci sono uomini e donne che hanno interpretato grandi valori, e così dietro la parola comunista di Rita Pisano ci sta l’equità, la giustizia sociale, il rifiuto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la lotta per l’emancipazione delle donne (alle quali tutte mando un bacio per la festa di domani) così come dietro la parola “destra” di Giulio Adimari ci stanno la famiglia, la patria, la valorizzazione del merito, il rigore morale.- Ecco perché ripartiamo dalle liste civiche, perché abbiamo l’ambizione di ripetere la contaminazione del 1993 quando i partiti erano distrutti “rivoltati come un calzino” dal ciclone giudiziario di tangentopoli ma non sono stati messi alla porta a Cosenza, anzi li abbiamo ripresi per mano, li abbiamo contaminati ed il 1997 ben 9 liste di partito hanno contribuito con noi a vincere le elezioni al primo turno. Anche ad essi dobbiamo guardare ed anche con essi dobbiamo costruire ponti per il futuro e non muri per l’oggi.- Perché chi si cimenta sul terreno della politica non deve fare come quel contadino che va in campagna quando è il tempo del raccolto e non trovando nulla si indispettisce. Deve sapere che per avere un buon raccolto deve accorgersi che il terreno è inaridito e allora dissodarlo, bonificarlo, concimarlo, fare una buona semina e poi fare un buon raccolto. La mia ambizione è quella di costruire una alleanza tra persone uomini e donne che costituiscono l’inizio di un cambiamento. Perché deve essere chiaro a tutti – e credo che in questa nostra città è ben chiaro – che il cambiamento e la costruzione di un orizzonte nuovo per la società italiana sono operazioni che non possono e non devono concludersi al chiuso dei palazzi e delle segreterie dove ai grandi progetti o ai sogni di una comunità si oppongono le tabelle millesimali della babele delle coalizioni politiche. Dobbiamo aprire le finestre e dialogare – anche con i partiti – ma non delegando loro alcuna esclusiva o diritto di veto.- * La solidarietà sociale. Una città contro l’egoismo. Anche questo è un grande valore contenitore nel quale devono trovare spazio tanti grandi temi municipali. A partire da quello delicatissimo della integrazione multietnica e pluriculturale. Anche qui, in fondo, il mio, il nostro, dovrebbe essere il completamento di un lavoro lasciato a metà quando si interruppe il nostro progetto sulla comunità rom avviato a metà degli anni 90 quando pensammo, in sintonia noi Consiglio Comunale e Sindaco, cosa fosse vivere in una baracca di Gergeri, sentirne i rumori, gli odori, i sentimenti, la disperazione di chi pensa che non ne uscirà mai, di un ragazzino che guarda il fratello maggiore che ha finito la scuola e non ha un lavoro, di un bambino che compra l’eroina da uno spacciatore; dicemmo: immaginiamo di mettere una candid camera in questa barraccopoli e vediamo quanto questo sistema educativo sia marcio o una madre che sta alzata tutta la notte per tenere lontano i topi dalla culla del proprio bambino. Io l’ho vista questa realtà ed insieme – molti lo ricorderanno - abbiamo deciso di ridisegnare gli spazi di vita e di educazione di questa comunità pensando a cosa significa vivere nella più ricca società della storia senza speranza.- Ecco noi dobbiamo riprendere in mano questa sensibilità, queste antenne di civiltà, metterla in sintonia con tutte le diversità e farne un patrimonio della nostra comunità senza paure o pregiudizi. Abbiamo perso tante occasioni, una l’ho persa personalmente quando non sono riuscito a non far chiudere l’ultima scuola di formazione cattolica della nostra città, le gloriose Canossiane.- Ho bussato a tante porte, da laico, non praticante, da convinto radicale, da vecchio anticlericale, perché pensavo e penso che la perdita di una scuola cattolica fosse un impoverimento culturale della intera comunità. La scuola ha chiuso ma io non ho perso la voglia e la speranza di riportare in città la ricchezza della diversità. Non solo questa, naturalmente.- Anche quella politica. Vedete, io penso che quella della Lega – formazione che ai miei occhi ha anche qualche merito – sia, sul piano della ripresa identitaria, una risposta rabbiosa ed impaurita alla globalizzazione, questo rinchiudersi nella piccola patria padana escludendo lo straniero.- Lo dico spesso ai miei amici leghisti: io sono orgoglioso della mia condizione di terrone, sono fiero di essere calabrese, arriverò ad essere come il mio grande amico Faust D’Andrea (che saluto) che si commuove se gli porto una pietra della Sila o se sente nominare il nome Cosenza, offro la mia identità come un dono, per celebrare quella che un altro mio amico, un sacerdote, ha definito “la convivialità delle differenze”.- Questa deve diventare la città senza l’egoismo e senza discriminazioni nei confronti di nessuno, che siano essi anziani in difficoltà economiche o in precarie condizioni di salute o immigrati senza reti parentali o amicali, senza fissa dimora, persone con patologie mentali, detenuti o ex detenuti, disabili, insomma nessuno – proprio nessuno – dovrà sentirsi solo.- E questo sarà tanto più possibile quanto più si riuscirà ad organizzare e rendere virtuoso ed utile il patrimonio del sistema economico presente in città, il commercio, la valorizzazione del terzo settore, la rete delle nostre imprese volano di sviluppo e di ricchezza.- Con una premessa. Oggi sembra che noi abbiamo delegato l’organizzazione dello stato e dei suoi presidi anche locali, al sistema delle imprese. Io che sono un liberale e che credo nel mercato e nella virtuosità di una sana ricerca del profitto penso che sia sbagliato sovrapporre ad identificare le due cose. L’impresa è giustamente l’organizzazione che persegue gli interessi individuali e deve farlo bene.- Lo Stato deve sapere modellare il suo impianto facendo in modo che in esso, l’interesse individuale non confligga o addirittura sovrasti il bene comune ma lo sublimi, rendendo effettivo il concetto di Hume “ciò che è bene per il singolo è bene per la nazione e viceversa”. Non sono un innamorato della teoria “meno stato più individuo”. Io penso che non siamo stati penalizzati da uno Stato invadente, noi siamo stati danneggiati da uno Stato inefficiente e sprecone.- Pensate a quanto può fare un Comune in questo senso ed a quanto non fa. Pensate che la prima applicazione di regole comuni, ad esempio sul piano urbanistico, volte a riportare ordine in un mondo quasi anarchico, siamo stati, guarda un po’, sempre noi giovani amministratori senza casacca quando nel 1994 approvammo in due mesi la variante al piano regolatore che attendeva nei cassetti dell’ufficio tecnico del Comune da 20 anni.- E pensate a quanto può e deve fare in sanità, in una Regione ove l’85 del bilancio regionale è spesa sanitaria ed ove il 50% delle strutture è a gestione privata.- Su questo tema ho una certa competenza e voglio stasera spendere due minuti per dire due cose chiare, una di ordine generale ed una personale.- La prima è che per me, come (posso dirlo con certezza) per tutti gli operatori privati, il sistema sanitario del nostro Paese è – e deve rimanere – pubblico. Per tutti i motivi che ho detto prima (e cioè per la naturale comprensione dell’interesse particolare in quello generale) la “governance” del sistema deve essere in mano allo Stato, alle Regioni, alle Aziende Sanitarie che devono programmare, controllare, stabilire le tariffe, insomma mantenere sotto una sicura guida tutto il sistema a beneficio dei cittadini che – esercitando il costituzionale diritto alla libera scelta – possono rivolgersi per le loro cure a strutture pubbliche e private, le quali devono sottostare alle stesse regole di garanzia, sicurezza, organizzazione delle strutture pubbliche. Queste regole, che fanno del sistema sanitario italiano uno dei migliori del mondo sul piano della qualtià delle prestazioni e per l’eccellenza dei propri medici è stato disegnato nel 92 da Giuliano Amato, poi riorganizzato nel 99 da Rosy Bindi, e poi ancora nel 2007 da Livia Turco. Io ho avuto intensi momenti di confronto con ciascuno di essi, credo in questo sistema e difendo il servizio pubblico. Altra cosa è – ahinoi – se esso viene gestito male. Se ad esempio la nostra regione, sottoposta a piano di rientro, produce un disavanzo annuale di circa 600 milioni di euro perché ad esempio non si riesce ad organizzare una rete ospedaliera integrata ed efficiente che garantisca, ad esempio nella nostra città, un pronto soccorso civile e liste d’attesa meno lunghe. Credetemi si può fare in un giorno e senza costi anzi con consistenti risparmi. Ma quando vi sono ospedali – come quelli della Piana di Gioia Tauro – che, come dice l’inchiesta del Corsera, hanno 27 cuochi in organico e la mensa è appaltata all’esterno, è difficile che il piano sia effettivamente di rientro, continuerà ad essere di uscita.- Su tutto questo un Sindaco deve poter dire la sua ed imporre scelte diverse, a cominciare magari dalla discussione seria e concreta sulla facoltà di medicina.- La seconda osservazione è di tipo personale. Io sono pro-tempore presidente nazionale dell’AIOP la più grande associazione degli ospedali privati del Paese. E’ un grande onore per me. Così come non è dispregiativo ma solo sottilmente insinuante avermi definito il “re delle cliniche”. Il fatto è che, come tutti, ma proprio tutti, sanno io non ho, e non ho mai avuto, e mai avrò neanche una sola azione di una clinica in tutta Italia. Sono stato eletto per due volte presidente nazionale, con la fiducia dei tanti valorosi imprenditori della sanità e dei più grandi gruppi italiani – dal S. Donato alla Giomi, da Villa Maria all’Humanitas – forse proprio (o anche) per la credibilità data dal fatto – che sempre paga – di essere esente da interessi personali ma capace di battermi per le ragioni di fondo di una comunità che conta 600 ospedali privati, 140.000 dipendenti e 2 miliardi di fatturato.- E se c’è una cosa che mi inorgoglisce – voglio dirlo presentando a voi anche un aspetto che nel momento in cui chiedo un mandato popolare da privato deve diventare pubblico – è che tutto ciò è avvenuto senza muovermi da Cosenza. Non mi sono trasferito a Milano o a Roma, né prima né dopo la mia elezione, ho continuato a vivere qui tra di noi, i miei figli vivono a Cosenza, frequentano le scuole – pubbliche - di Cosenza e parlano il cosentino; è la politica sanitaria privata italiana che fa riferimento a Cosenza e non il contrario. Insomma voglio dirlo ai più giovani: si può arrivare a contare nel proprio mondo anche senza tessere di partito, anche senza famiglie che ti portano per mano ed anche da una piccola città del sud. Bisogna crederci, studiare, impegnarsi e non avere paura di affrontare sfide impegnative ed apparentemente insuperabili.- Come questa che comincia da qui questa sera. Noi abbiamo l’occasione di cambiare le cose, non la sprechiamo, non facciamoci intrappolare dai dogmi seguendo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e le vostre intuizioni. In qualche modo loro sanno cosa volete veramente, tutto il resto è secondario.- * La difesa dell’ambiente. Voglio ricordare i tre temi fondamentali del futuro, di un futuro che riguarda tutti sul piano nazionale, continentale, mondiale ma che sono di pertinenza dei Comuni: acqua, energia, rifiuti.- Le nostre grandi risorse, gli elementi che possono cambiare la dimensione e la qualità delle nostre vite da qui a poco. Come ho detto io non sono pregiudizialmente contro le gestioni private ma sono fortissimamente a favore dei servizi pubblici, che devono essere efficienti e costare il giusto. Le due cose non confliggono. Occorre avere le idee chiare.- Abbiamo tante idee su questi temi. Le declineremo, illustrandole anche in modo virtuale nel corso delle prossime settimane; dimostreremo ad esempio, che se lavorassimo – e si può, eccome se si può – sull’ottimizzazione della rete di trasmissione dell’energia, sapendo che in Italia viene disperso il sedici per cento dell’energia prodotta (e nella città di Cosenza quasi il doppio) avremmo l’equivalente di due centrali nucleari.- Se lavorassimo alla solarizzazione della città, o alla geotermia, se noi lavorassimo sulle energie rinnovabili potremmo proporre un nuovo modello di organizzazione dei territori e della vita delle comunità.- Noi proporremo su ciò una visione realizzabile immaginando che il fotovoltaico diventi un elemento dell’arredo urbano con un progetto di copertura degli ospedali, degli edifici pubblici, delle scuole, dei capannoni industriali ed anche di immobili privati in modo che il rinnovabile non sia solo limitato a “parchi di produzione energetica” ma sia anche un altro stile di convivenza e di vita dei cittadini, oltre che una risorsa ed un risparmio per le loro tasche.- Proporremo un progetto serio, credibile, fattibile di raccolta differenziata e smaltimento di rifiuti indicando i tempi della sua messa a regime, i costi di investimento ed i margini di risparmio che consentiranno ad ogni singolo contribuente.- Così come costruiremo un nuovo sistema di trasporti e viabilità integrato nel contesto dell’area urbana, questa entità virtuale che riecheggia nei discorsi di ogni politico alla quale al di là delle enunciazioni, dobbiamo dare senso e corpo istituzionale superando campanilismi medioevali, senza la quale troverebbe non poche difficoltà ogni progetto di metropolitana e di servizi comuni a costi ottimizzati.- Ma, l’ho detto, oggi sto facendo ciò che fanno tutti i candidati, presento delle idee, la mia idea che può essere – e certamente in parte lo è – simile a quelle di altri, ho indicato dei capitoli, dei temi e dei valori.- Il programma è altro, ed è qui la diversità che vi annuncio. Faremo altri incontri da qui a qualche settimana. Incontri a tema, nei quartieri ove illustreremo nei dettagli ogni singolo aspetto dei problemi, delle soluzioni, dei tempi, dei costi, sollecitando suggerimenti e confronti, ed un mese prima del voto presenteremo il nostro programma definitivo, quello che ciascuno potrà seguire nel corso del mandato e sul quale stabiliremo il nostro patto.- * Infine il sostegno alla cultura. E’ la mia, la nostra grande risorsa. Se è vero che, come dice Michele Arnoni Cosenza è l’Atene del sud noi dobbiamo esserne all’altezza. L’investimento in cultura è fondamentale per due ragioni: non solo perché la cultura fa crescere l’intelligenza in generale e la nostra economia ha bisogno di più intelligenze, di più valore aggiunto, di più ricerca ma anche perché una società povera di cultura una società regredita, una società segnata da analfabetismo di ritorno imboccherà non la via del futuro ma un vicolo cieco, una regressione tribale. Siamo il paese dei Verdi e Puccini, di De Filippo e Goldoni. Tagliare o non investire sulla lirica, sul teatro, sulla musica significa recidere una delle radici che ha fatto dell’Italia un paese straordinario. E cultura significa anche sport. Investire nello sport, senza gli inutili, clientelari contributi a pioggia significa attendersi ritorno sicuro in termini di crescita delle nuove generazioni, di sicurezza sociale, di radicamento di valori sani nella nostra società, tutti aspetti ai quali solo i superficiali non riconoscono una forte valenza anche economica.- Cultura significa, lo dico solo per appuntare qualche immagine sulla quale ritorneremo, ricostruire (è il termine esatto) il Rendano, il Morelli, l’Italia, la biblioteca civica, la città dei ragazzi, la Casa delle Culture, il MAB, le competenze, e la professionalità, spesso mortificate che ad esse hanno dedicato il loro lavoro; tutta la rete dei gruppi teatrali della città, il conservatorio, il Liceo artistico, palazzo Arnone. Ci torneremo, con dovizia di particolari e con attenzione puntigliosa, consapevoli che, come tutti mi dicono, la cultura costa ed un Comune come il nostro non si può permettere tante cose. Ed essi rispondo che per prima cosa non è vero che la cultura si deve gestire sempre in perdita. Con una intelligente politica e con le sinergie giuste noi possiamo trasformarla anche in una risorsa.- Poi – lo dico sul piano generale – non dirò mai che le cose non si possono fare perché la responsabilità è di chi ci ha preceduto. Non farò mai questo stucchevole scarico di responsabilità. So quello che ci aspetta e magari diremo subito le cose che non faremo. Certe inutili e ridondandi spese per festeggiamenti di qualche ora e di tanto costo non le faremo. Magari faremo qualche manutenzione in più.- E poi decideremo insieme le priorità le cose da fare ed i sacrifici eventualmente necessari. In piena trasparenza e condivisione; saremo una vera comunità; utilizzeremo il federalismo municipale come un’occasione per parlarci di più per ottenere forme di democrazia più partecipata per pensare insieme e per costruire un pezzo di futuro insieme.- E poi cultura significa anche un’altra cosa. Significa che noi non vogliamo essere il Sud che arranca e che tace e che se non tace si lamenta. No. Noi vogliamo essere il Sud che pensa di vivere in grande. Abbiamo bisogno di un grande disegno nuovo. Ed al centro di questo disegno c’è la parola magica che schiude le porte al futuro. E questa parola è “innovazione”. Una parola che ne porta con se un’altra che è Università; il nostro immenso giacimento di conoscenza e perciò di libertà. Per la politica che aspira a cambiare le cose – come noi vogliamo – uno degli ingredienti fondamentali è l’aumento e la disseminazione dei saperi perché “la libertà è direttamente proporzionale alle conoscenze”. La padronanza dei saperi consente un esercizio pieno di libertà. E cosa deve fare un governo municipale se non connettersi con il liquido amniotico in cui crescono i nostri giovani laureati la cui emigrazione o la cui inoccupazione è la più grande forma di impoverimento della nostra città? I giovani talenti che vanno via. Non abbiamo futuro se non siamo in grado di trattenere una generazione che si impegna, con fatica, che esprime creatività. Dobbiamo dare coraggio a questa generazione. E’ sempre stato fondamentale avere la sensazione che qualcuno scommettesse su di te. Qualcuno, il mondo degli adulti o, nel nostro caso la politica, se è capace di interpretare i tuoi sogni. E così nel terreno dell’innovazione proporremo una visione, nei prossimi giorni, che contiene un ossimoro, la città vecchia come città dell’innovazione della scienza, della banda larga, del recupero abitativo delle occasioni di lavoro, della ricerca, delle imprese hig-tech.- E’ un sogno ma un grande realistico sognatore come Robert Kennedy a chi gli opponeva l’impraticabilità di talune scelte rispondeva: alcuni uomini vedono le cose come non sono e dicono “perché?” Io sogno le cose come non sono mai state e dico “perché no?”.- Ecco, io penso che insieme alle cose quotidiane, concrete, immediate, realizzabili, necessarie, indispensabili che una amministrazione ha il dovere di dare subito ai cittadini in termini di servizi, pulizia, manutenzione, traffico ad altro, deve avere anche l’ambizione di affascinare, di rompere gli schemi di cogliere la domanda di cambiamento partendo dalla nostalgia del futuro e dalla tutela della bellezza.- D’altra parte, amici, al Sud siamo la terra dei Gattopardi ma francamente a noi non può interessare essere gli sciacalli o le iene, per preparare una vittoria elettorale quale che sia e poi coltivare un orticello elettorale. Non ci interessa perché come vediamo da alcuni in Calabria una vittoria effimera di pochi prepara sconfitte durevoli per tutti.- E noi lavoreremo con l’Università per affondare le radici, far morire il seme e far crescere la pianta della città della cultura la nuova rinascita della Atene del sud.- Faremo una bella campagna elettorale, senza veleni, senza dietrologia o attacchi gratuiti, con lo stile del rugby, lo sport che ha forgiato il mio carattere, per il quale si va in campo non per scontrarsi con un nemico ma per incontrare un avversario.- * Ecco. Avrei finito amici, se non dovessi dire altre due cose. Se è vero che tutto ciò che abbiamo, l’abbiamo in prestito dai nostri figli, facendo ciò che comincia questa sera sono certo di restituire ai miei, ben custodito, il patrimonio di passione civile e di dignità morale che mi ha trasmesso mio padre il quale, nel suo disincanto di chi ne ha viste tante, di fronte al mio impegno di radicale un po’ sfrontato innamorato delle sue battaglie civili, aborto, divorzio, antiproibizionismo con le quali avrebbe cambiato il mondo, mi riportava alla realtà dicendomi che la città brucia. Io ora gli rispondo – usando una citazione di Alfredo Reichlin nel suo libro “Il midollo del leone” che di fronte alla città che brucia noi dobbiamo fare come Enea che si carica sulle spalle Anchise e va al fiume, alla foce del Tevere non per ricostruire Troia ma per costruire una nuova città ed avviare un nuovo mondo.- Dobbiamo credere in questa battaglia. Con la consapevolezza che è dura e difficile, e che magari potremo essere sconfitti, ma con la fierezza di chi deve farlo, con le unghie e con i denti, per sé e per le generazioni che verranno.- Per far questo deve spirare un altro vento nel Paese, una brezza che nasca da Cosenza, dalla città di Francesco Alimena, di Pietro Mancini, di Tommaso Arnoni, di Fausto Gullo, di Riccardo Misasi, di Luigi Gullo. E di Giacomo Mancini. Una brezza che sospinga i grandi ideali del socialismo e del liberalismo, quelli che hanno consentito la edificazione delle civiltà e delle tradizioni più nobili che non sono sopite nel nostro Paese, che potranno condurre, anche nell’immediato futuro ad una nuova stagione con la convinta affermazione di valori e principi che sono nella nostra Costituzione e che non devono essere cambiati ma che, da corpo estraneo alla nostra società, devono diventare la materia prima con la quale riscrivere le regole della nostra convivenza.- Noi tutti, ne sono sicuro, noi calabresi, noi cosentini sani, puliti, per bene crediamo di aver il diritto ed il dovere di farlo e di scrivere un altro bel pezzo della storia politica della nostra città”.

     

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