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    Presidente Corte Costituzionale De Siervo apre manifestazioni Unita’ d’Italia

     

     

    Presidente Corte Costituzionale De Siervo apre manifestazioni Unita’ d’Italia al Rendano a Cosenza

    01 mar 11 Manifestazione di apertura ,al Teatro “Rendano”, delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, alla presenza del Presidente della Corte Costituzionale, prof.Ugo De Siervo. “Nel nostro Paese il legislatore dispone di grandi patrerie, ma accanto alle praterie ci sono le grandi montagne e noi siamo chiamati a tutelare le montagne.” Adopera un’efficacissima metafora il Presidente della Corte costituzionale, Prof.Ugo De Siervo, al termine della lectio magistralis su “La giustizia costituzionale come fattore di unificazione del nostro Paese”, pronunciata questa sera al Teatro “Rendano” in occasione della manifestazione ufficiale di apertura delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, promosse ed organizzate dall’Amministrazione comunale e dalla Presidenza del Consiglio comunale che ha avuto un ruolo determinante per la visita del Presidente De Siervo a Cosenza. Una metafora utile a ribadire con la giusta fermezza che “alla Corte costituzionale spetta un compito delicato, quello di intervenire in tutti quei casi in cui esiste un dubbio o si genera una crisi, ma soprattutto quando in dubbio è il rispetto delle regole da parte di altri organi costituzionali. Ma anche quando interviene – ha aggiunto il Presidente della Consulta – la Corte costituzionale agisce sempre con grande senso di responsabile prudenza prima di dichiarare l’illegittimità costituzionale di una legge. La Consulta esiste da 55 anni ed è organo estremamente produttivo, con all’attivo 18.000 decisioni e circa 9 mila sentenze.” Il Presidente della Corte Costituzionale difende il ruolo della Carta Costituzionale e quello della Consulta, rispondendo anche ad una precisa domanda rivoltagli sul palco del “Rendano” da una studentessa del Liceo Scientifico “Fermi” di Cosenza, Michela Grimaldi, che gli chiede se ritenga indispensabili processi di revisione costituzionale , soprattutto nella sua seconda parte e se questi possano alterare gli equilibri e incidere sui principi della prima parte, compromessi da quel federalismo che sembrerebbe sprovvisto dei caratteri della solidarietà e della sussidiarietà. “Le revisioni – ha risposto De Siervo - sono certamente possibili e si può anche modificare la stessa Corte costituzionale, ma è necessario che si adoperi la procedura aggravata prevista dalla Carta costituzionale. Poi, citando Adone Zoli, deputato democristiano antifascista ed ex guardasigilli, sottolinea come “una delle maggiori novità introdotte è stata quella di far sì che al di sopra del Parlamento, del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio ci fosse la Costituzione. Un primato che De Siervo rivendica con forza e che riguarda “il prezioso tessuto di regole condivise che determina l’effettiva esistenza di una casa comune e di una fedeltà sostanziale alla nostra Carta Costituzionale. Se non ci fosse stata la giurisprudenza della Corte costituzionale – ha detto ancora il Presidente De Siervo durante la sua lectio magistralis - non si sarebbero fatte le riforme del diritto di famiglia o del codice di procedura penale. Il nostro compito è stato anche quello di precedere Parlamenti un po’ pigri. E’ evidente – ha aggiunto – che la Corte non è esente da errori o fraintendimenti, ma il diritto di critica ci stimola ed è per noi opportuno. Ciò che posso assolutamente garantire è che la Corte costituzionale opera come organo indipendente e decidiamo tutto in 15. Le Corti costituzionali che non sono indipendenti dal potere politico contingente sarebbero inutili e non potrebbero mai funzionare. E’ naturale che possono esservi incomprensioni fisiologiche tra responsabili politici e giudici, così come possono esserci frizioni. Ora c’è, però, qualcosa di diverso. Occorre evitare di attribuire alla Corte un’opera aprioristica di censura preventiva e demolitoria di alcune linee legislative.” La lectio di De Siervo si chiude con un monito con il quale il Presidente della Consulta chiama tutti i soggetti in campo ad uno sforzo serio. “C’è assoluto bisogno di una Costituzione vitale e la giurisprudenza della Corte può aiutare il Paese a restare fedele ai valori di quello che De Siervo ama definire il “patto costituzionale”. Il pomeriggio si era aperto in un Teatro Rendano pieno di autorità (tra gli altri l’Arcivescovo di Cosenza-Bisignano, Mons.Salvatore Nunnari, il Presidente della Provincia Mario Oliverio, il Rettore dell’Università della Calabria Giovanni Latorre), assessori regionali, autorità militari e rappresentanti delle forze dell’ordine, con l’esecuzione dell’inno nazionale da parte dell’Orchestra e del Coro del Conservatorio “Giacomantonio” di Cosenza (130 elementi), rispettivamente diretti dai Maestri Donato Sivo e Luciano Lucani. La manifestazione, impeccabilmente condotta dal Capo Ufficio Stampa di Palazzo dei Bruzi Elena Scrivano, è proseguita con gli interventi del Presidente del Consiglio Comunale Antonio Ciacco e del Sindaco Salvatore Perugini (di cui abbiamo già riferito). A portare il suo saluto al Presidente De Siervo è stato anche il Prefetto di Cosenza Raffaele Cannizzaro. Gli ospiti, tra cui circa 300 studenti delle scuole cittadine, sono stati accolti nel foyer del “Rendano” dal tricolore storico che portarono a Cosenza i Fratelli Bandiera durante i moti insurrezionali del 1844. La lectio del Presidente De Siervo era stata preceduta agli interventi di due giovani cultori della materia, l’avv. Ermanna Grossi, che ha parlato de “ Gli organi di garanzia statutaria nel sistema di giustizia costituzionale” e l’avv. Achille Morcavallo che ha incentrato la sua relazione su “I controlli sostitutivi del Governo come garanzia dell’unità giuridica dello Stato”. La serata è stata conclusa da un concerto dell’Orchestra e del Coro del Conservatorio “Giacomantonio” che hanno eseguito musiche di Verdi e Rossini. Prima del concerto il Presidente De Siervo ha ricevuto due omaggi dal Presidente del Consiglio comunale Ciacco e dal Sindaco Perugini. Il primo ha donato al Presidente della Consulta una scultura in cristallo del maestro Pierluigi Morimanno, in ricordo dei 150 anni dell’Unità nazionale e del sacrificio dei fratelli Bandiera. Il libro di Alessandra Anselmi, “Calabria del viceregno spagnolo” è stato, invece, il dono prescelto da Perugini per il prof.De Siervo.

    Il saluto del Presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio
    Eccellenza, Autorità, Signore e Signori, è un grande onore per Cosenza e per la sua provincia, la più grande della Calabria, ospitare il Presidente della Corte Costituzionale per dare ufficialmente avvio ai festeggiamenti del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. E’ inutile dire, esimio Presidente, che guardiamo alla Sua figura e al ruolo che svolge la Consulta da Lei presieduta con grande stima ed ammirazione e vi consideriamo punti autorevolissimi di riferimento in un momento di grave crisi etico-morale che investe il nostro Paese ed in cui i valori e le certezze che, a tutti i livelli, fino a ieri sembravano consolidate spesso subiscono gravi e violenti attacchi. Il ruolo importantissimo della Consulta, la cui composizione, tra l’altro, è squisitamente a qualificazione professionale e conseguente a meccanismi di nomina diversificati è quello di difendere lo Stato di Diritto. Tale organo, infatti, non solo è adibito all’imprescindibile controllo di legittimità costituzionale su leggi e atti aventi forza di legge, ma anche alla risoluzione dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, tra Stato e Regioni e tra Regioni. Competenza, quest’ultima, che dovrebbe ribadire -neanche troppo velatamente- l’estraneità della Corte a qualsiasi meccanismo di faziosità politica. Troppo spesso, invece, è accaduto e accade che ci si dimentica che la Corte costituzionale svolge un ruolo super partes e che, come tale, è arbitro del gioco, sanziona i giocatori, garantisce il rispetto delle regole della Carta costituzionale. Forse ci siamo troppo abituati alla modalità ‘da stadio’ e, quindi, alla reazione a caldo nei confronti dell’arbitro che estrae il cartellino rosso. Ai rapporti intercorrenti tra le Istituzioni di un Paese si addice molto di più il contegno e il fair-play degli scacchi. Ho voluto ribadire questo concetto per dire quanto grave sia oggi il pericolo che anche autorevolissimi organi dello Stato, che sono i “guardiani” ed i custodi severi dei valori e dei principi costituzionali, possano essere messi sulla graticola da chi, dimenticando gli ideali intorno a cui è nata l’Italia, si attarda ancora in una concezione manichea dello Stato, in cui ci sono i supporters da una parte e gli avversari dall’altra, i buoni e i cattivi. Non è così che si difende e si costruisce l’unità nazionale. Così come non la si difende e non la si costruisce con atteggiamenti vessatori e discriminatori nei confronti del Mezzogiorno e, soprattutto, della Calabria. Mi riferisco, in particolar modo, ai tagli erariali previsti nell’ultima manovra finanziaria del Governo e ai decreti attuativi di quello che impropriamente viene definito federalismo fiscale. Un federalismo che toglie ai poveri per dare ai ricchi. Basti pensare che per la Provincia di Cosenza, in base ai criteri indicati dal ministero competente, i tagli ai trasferimenti sono quantizzati in 11 milioni e 300 mila euro. E nel 2012 saranno ancora più pesanti. Quasi il doppio. Queste decisioni, assolutamente non condivisibili, rischiano di rendere la situazione finanziaria dei Comuni e delle Province calabresi e meridionali sempre più insostenibile ed intollerabile. Importanti servizi, infatti, rischiano di essere smantellati, i programmi di investimento taglieggiati, gli interventi per garantire l’esercizio delle competenze, compressi. L’ordinaria amministrazione rischia addirittura di essere fortemente compromessa. Tutto ciò rischia di affermare gravi elementi di disarticolazione del nostro Paese. A tal proposito devo dire di aver condiviso totalmente una Sua recente dichiarazione sul federalismo, quando lei ha affermato che “è molto improprio usare il termine federalismo per tutto ciò che sta accadendo in Italia, perché lo Stato federale è una cosa più seria, più grande e più complicata dell’autonomismo”. E poi ha aggiunto: “Qui si spaccia sotto il termine federalismo ciò che è autonomismo degli enti locali, il che va benissimo. Ma lo Stato federale è una cosa che ha una sua storia, una sua consistenza, delle sue caratteristiche, che sono ben lontane da quelle che ci sono qui”. Il Paese non può essere costituito da figli e figliastri. Abbiamo bisogno di ridefinire un nuovo patto sulla base del quale stabilire la coesione nazionale. Il Mezzogiorno e la Calabria desiderano contribuire alla sua crescita a patto che ognuno abbia le stesse opportunità degli altri. Lo hanno fatto ieri, partecipando attivamente al movimento di liberazione e unificazione nazionale come dimostrano episodi come il forte di Vigliena a Napoli (dove l’eroismo di Antonio Toscano non ha nulla da invidiare a quello più noto di Pietro Micca), le battaglie a Campotenese, l’eccidio dei martiri di Gerace, l’Angitola, Soveria Mannelli o personaggi come Giovambattista Falcone, Giovanni Nicotera, Agesilao Milano o Benedetto Musolino. Con uomini come Domenico Mauro, Luigi Giordano, Raffaele Laurelli, Domenico Frugiuele e tanti altri e con l'insurrezione del marzo 1844 - esplosa a favore di un «Regno italico costituzionale» - che esercitò tale fascino sui fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, da indurli a venire in Calabria con 18 compagni per aiutare gli insorti. La storia della città di Cosenza è profondamente segnata da atti di eroismo e di totale dedizione ad un ideale che smentiscono l’immagine di una Calabria terra di briganti, totalmente sorda ed indifferente al cambiamento, come vorrebbero farla apparire certi libri di storia. Lo hanno fatto ieri, dicevamo e lo vogliono fare oggi: la Calabria e il Mezzogiorno vogliono fortemente contribuire alla crescita di quei valori e di quegli ideali che hanno reso forte e stimato il nostro Paese agli occhi del mondo intero. I problemi del Sud non sono in contrapposizione con i problemi del Nord e del Paese. Anzi! Essi convivono e si integrano con un’esigenza comune, che è quella di uscire immediatamente dalla crisi in atto. In questo contesto, pertanto, non può esserci alcuno sviluppo sociale, economico e culturale se non si assume il Mezzogiorno come priorità da porre al centro delle politiche nazionali. Il Paese non cresce, non avanza se con esso non cresce e non avanza l’intero Mezzogiorno. Per affermare una nuova crescita del Paese, il Mezzogiorno deve essere aiutato attraverso adeguate, intelligenti e moderne politiche nazionali tese a realizzare obiettivi di crescita e di recupero dei ritardi nei vari campi dell’economia, della società e dei servizi. Anche le risorse comunitarie nella disponibilità delle regioni meridionali, aggiungiamo noi, possono e devono essere più efficacemente utilizzate per la realizzazione della crescita economica e sociale dei nostri territori, se sono accompagnate e rafforzate da programmi nazionali che vanno in direzione dell’ammodernamento infrastrutturale, del sostegno alle imprese, dell’agevolazione dell’accesso al credito, della ricerca e dell’innovazione. Tuttavia, però, nonostante gli effetti devastanti della crisi, in questi anni al Sud e alla Calabria sono arrivate solo parole e promesse e, con esse, tagli pesanti alle risorse e agli investimenti. Non si parla più di ricerca, di innovazione, di sostegno alle imprese, alle autonomie locali, alla scuola e alle università del Meridione. La disoccupazione giovanile continua a crescere a vista d’occhio e si intensificano le partenze dalla Calabria verso altre regioni o Paesi dell’Europa dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze laureate alla ricerca disperata di un lavoro. Aumenta il precariato e cresce il lavoro nero. Il costo del denaro tocca, ormai, livelli insopportabili. Centinaia di aziende continuano a chiudere e a licenziare i propri dipendenti. Anche uno strumento innovativo come il Credito d’imposta è stato cancellato. Nel biennio 2007-2008 nella sola Calabria si sono persi duemila posti di lavoro. Oggi almeno altri 35 mila sono a rischio. Vecchie e nuove povertà si incrociano e generano nuove sacche di disperazione e di disagio. In questo contesto crescono solo vaste aree di rabbia e disperazione, mentre avanza e fa proseliti una criminalità organizzata sempre più spavalda e aggressiva. Il Sud e la Calabria vivono un momento ancora più difficile di quello che vive il Paese. Questa difficoltà, però, non costituisce fattore di ripiegamento e di rassegnazione. Grandi sono le energie , soprattutto tra l giovani generazioni, che alimentano una voglia di riscatto, di rinnovamento e di intraprendenza che devono trovare ascolto ed attenzione da parte dello Stato e delle Istituzioni- Nel Mezzogiorno sono stati commessi tanti errori. A cominciare da quelli delle classi dirigenti locali che spesso non hanno saputo guardare al di là del proprio naso. Oggi, però, ci sono le risorse intellettuali e morali per invertire questa tendenza negativa. Ci sono tante ragazze e tanti ragazzi che vogliono rimanere nella loro terra per cambiarla e farla progredire. Ci sono uomini e donne pronti a sacrificarsi per il progresso e per il rilancio economico di questo pezzo del Paese. Lo Stato, però, deve fare la propria parte, valorizzando il merito e le eccellenze che in questa terra ci sono e vogliono rimanere. L’Unità d’Italia sarà sicuramente più vera e più gioiosa quando insieme, il Nord e il Sud, avranno le stesse opportunità e la possibilità di scegliere, attraverso un federalismo serio, veramente solidale, fatto di regole giuste e condivise, improntate a principi di equità e giustizia, la propria strada, assumendosi la piena responsabilità delle proprie scelte e costruendo con le proprie mani il proprio futuro.

    Questo il testo dell’intervento integrale del Sindaco di Cosenza Salvatore Perugini
    “Illustrissimo Signor Presidente, ho l’onore, il privilegio e la responsabilità di porgere a Lei il saluto ed il benvenuto della nostra Città, della nostra Comunità Cosentina, della nostra Comunità Calabrese. Saluto e benvenuto che porgo a tutte le Autorità: istituzionali, politiche, religiose, civili e militari; alle forze sociali, produttive e professionali, alle cittadine e ai cittadini presenti, al mondo della Scuola, così adeguatamente rappresentato da tanti giovani e docenti. A Lei Signor Presidente il nostro ringraziamento per aver accolto l’invito ad essere qui, nel nostro Teatro “Alfonso Rendano”; Teatro di Tradizione, luogo della nostra cultura, della nostra identità, vanto della nostra Comunità. La Sua presenza, Presidente, ci inorgoglisce e, mi permetto dire, rappresenta una testimonianza di condivisa e reciproca sensibilità. Festeggiamo oggi, insieme, l’avvio delle celebrazioni del 150° Anniversario della Unità del Paese, partendo proprio dalla Carta Costituzionale. Partendo dal nostro Statuto, mirabile sintesi normativa di visioni diverse, di tensioni ideali, di passioni politiche, di valori etici, sociali, civili che, ancora oggi, interpellano ed incrociano le nostre coscienze; le coscienze di cittadini liberi, autenticamente democratici, sempre grati ai Padri costituenti per il loro straordinario e lungimirante impegno. Non posso qui non evocare, tra gli altri, e i tanti, un uomo illustre di questa terra: Costantino Mortati. Insigne giurista, raffinato costituzionalista che ha anche svolto il delicato compito di Giudice delle leggi. Una Carta Costituzionale, la nostra, ricca di principi fondamentali, di diritti inviolabili della persona, di diritti di cittadinanza, di doveri, di sapienti norme ordinamentali di organizzazione dello Stato, di separazione dei poteri, di controllo democratico. Una Carta che esalta la autonomia e l’indipendenza della funzione giurisdizionale. Una Carta permeata dei valori di sovranità popolare, di uguaglianza, libertà, equità sociale, solidarietà; valori che tracciano e segnano il cammino di un Paese che ha lottato per la sua Unità; per l’Unità di un Paese che, in un ordinato e rispettoso svolgimento di compiti e funzioni, persegua, con tenacia, il bene supremo dell’interesse collettivo e della coesione sociale. Signor Presidente, diciamocelo con franchezza: l’attuale fase per certi aspetti ci disorienta e ci preoccupa. Troppi conflitti istituzionali, troppe contrapposizioni e sovrapposizioni, troppe personalizzazioni, troppo individualismo. Troppa disgregazione e disarticolazione sociale. Poca discussione di contenuti sui temi veri dello sviluppo e della crescita del Paese. Molto poco frequentati, se non addirittura inesistenti, i luoghi della mediazione sociale, della elaborazione, del confronto e del dialogo politico, leale e rispettoso, anche se serrato. Diciamocelo con franchezza, Signor Presidente, il Paese unito ha necessità di ripartire, deve riprendere il suo cammino di crescita non solo sul piano economico ma, ancor prima e ancor di più, sul delicato terreno della sua corretta tenuta democratica. La Festa di compleanno sarà tale se tutti insieme faremo prevalere sul pessimismo della ragione l’ottimismo della volontà e dell’impegno. Se tutti insieme riusciremo a rinnovare, per noi e i nostri giovani, la speranza in un mondo migliore. Se tutti insieme manifesteremo consapevolezza piena e libera per superare le attuali punte di acuta e visibile criticità. Da Sindaco di una Città del Sud, insieme a tanti colleghi qui presenti e che saluto, di quel Mezzogiorno del Paese che ha tanto contribuito al processo di unificazione, da Sindaco che crede nei principi di responsabilità, adeguatezza, differenziazione, solidarietà sociale, sussidiarietà, leale collaborazione, desidero, oggi più di ieri, ricordare l’articolo 5 della nostra Costituzione, inserito tra i principi fondamentali. “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. Solo partendo da tale principio, che dovrà trovare concreta attuazione applicando le norme contenute nel Titolo V, si può puntare alla coesione sociale e al corretto funzionamento del sistema dei governi territoriali. Così, e solo così, si può e si deve tendere a realizzare importanti riforme strutturali, rifuggendo da spinte e demagogiche suggestioni o, ancor peggio, relegando la normazione ordinaria ad interventi non di sistema, che perdano di vista, minacciandola, l’Unità del Paese. In questo cammino, e con questa prospettiva di impegno e di speranza, nella quale fortemente crediamo, ci conforta e ci guida l’altissima funzione di custode e garante che caratterizza l’attività del nostro Presidente della Repubblica, On.le Gorgio Napolitano. In questo cammino ci accompagna il delicatissimo esercizio della funzione giurisdizionale di controllo delle leggi, che la Corte, da Lei autorevolmente presieduta, quotidianamente svolge, con assoluta autonomia, indipendenza, imparzialità di giudizio che a nessuno è dato diritto di mettere in discussione. Grazie, Presidente, per essere qui, nella nostra Città. Siamo pronti ad ascoltarLa.”

    Intervento Presidente Consiglio Comunale, Ciacco
    “E’ vibrante l’emozione di celebrare, qui e ora, un evento storicamente simbolico. Il centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Che affonda e cristallizza le sue radici nella gloriosa stagione risorgimentale. Che, da qualcuno, poco più di 70 anni fa è stata definita una rivoluzione senza rivoluzione. Verosimilmente perchè parca di effervescenti risonanze popolari, ma guidata, indubbiamente, da avanguardie coraggiose. Nel cui contesto la terra di Calabria fu teatro di imprese eroiche e drammatiche: la rivolta antiborbonica di Reggio e di Gerace, proprio, qui, a Cosenza, la fucilazione, ardimentosamente coraggiosa, dei fratelli Bandiera. Non v’è dubbio, allora, che il Risorgimento è stato, senz’altro, la provvida incubatrice della nascita dello stato nazionale unitario. Così come non v’è dubbio che il risorgimento e il moto unitario sono stati processi dinamicamente complessi e travagliati. Che hanno, comunque, segnato un cammino di decisivo avanzamento storico. Attraversato da questioni e – perché no? – anche da antiche antinomie e da ferite che la comunità nazionale, forse, non ha ancora risolto 150 anni dopo la sua unificazione politica. E, allora, è giusto celebrare il centocinquantenario dell’Unità d’Italia senza adoperare l’ingombrante orpello della liturgia retorica. Ma senza neppure fecondare il parassitismo dell’indifferenza. Ma, anzi, fertilizzando il seme della vitale partigianeria. Che ci fa sentire interpreti, orgogliosamente entusiasti, del valore celebrativo dell’evento fondativo della Nazione. Che coincide con l’appassionato anelito di identità nazionale. Mai definitivamente appagato. Perché, quello stesso appassionato anelito, 80 anni dopo, in Italia seppe dar vita ad un secondo risorgimento: la guerra patriottica della resistenza. Sì, risorgimento e resistenza sono 2 nodi indissolubilmente connessi della storia italiana, che decodificano, entrambi, lo steso sentimento: il sentimento di appartenenza nazionale. Cosicché se il Risorgimento decreta la nascita del nostro stato unitario, con le insegne della monarchia sabauda, la Resistenza ne decreta la rinascita, su basi democratiche, nel segno della Costituzione repubblicana. Facendo riacquistare all’idea di nazione il suo fondamento di unità e il suo senso condiviso. E, assumendo, come fondamentale regola di convivenza del Paese, la Costituzione. Proprio la Costituzione repubblicana, che è intrinsecamente contaminata dalla dottrina risorgimentale. Perché, mutuando Calamandrei, oserei dire che quando io leggo nell’art. 2 della Carta costituzionale: “La repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” o quando leggo nell’art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, qui c’è la voce di Giuseppe Mazzini; e quando leggo nell’art. 8: “Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, qui si disvela il pensiero di Cavour; e quando io leggo nell’art. 5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”, qui si appalesa il pensiero di Cattaneo, e quando leggo nell’art. 52: “l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”, qui in filigrana c’è l’idea di Giuseppe Garibaldi e, quando, nell’art. 27, leggo: “non è ammessa la pena di morte”, qui si intravede la teoria di Cesare Beccaria. E, dunque, c’è un nobile e virtuoso parallelismo tra Risorgimento e Costituzione repubblicana. Quella Costituzione che Aldo Moro, con singolare espressività, ha definito “rigidamente democratica e arditamente sociale” e che Rivéro, eminente giuspubblicista francese definirebbe certamente “ambiziosa” e non moderata, perché la Costituzione italiana è profondamente intrisa di un’etica nazionale comune. Che, neutralizzando logiche aberranti, e, quindi, enfatizzando simboli “comunemente condivisi” lega l’unità e l’indivisibilità della Repubblica al riconoscimento e alla promozione delle autonomie regionali e locali. Raffigurando, quindi, le istituzioni locali come la base dell’edificio costituzionale e democratico del nostro Paese. Per riaffermare il valore irrinunciabile della Nazione unita, come Stato nazionale. Aperta a tutte le sfide. Anche a quelle più complesse e impegnative. Ma senza mai essere incline a impulsi disgregativi o a rigurgiti demolitori. E avendo come barra, democraticamente riformatrice gli inviolabili principi della Costituzione repubblicana. Come cifra del solidale e tollerante interesse nazionale. Irrobustendo le ragioni dello stare insieme e bandendo le tentazioni “microscioviniste” a difesa delle piccole patrie. E non indossando mai la maschera separatista della commedia dialettale. Piuttosto riaffermando la consapevolezza della nostra collettiva responsabilità istituzionale e rimarcando, sia pur, tutelando, le specifiche diversità, la consapevolezza dell’identificazione nazionale. La cui icona è la Costituzione della Repubblica. La Carta costituzionale è l’elemento unificante. Politicamente e culturalmente. In grado di farci sentire parte di un’unica comunità. Perché, quella Carta, affermando l’universale principio di inclusione, rinnega, espressamente, nell’art. 3, ogni interpretazione sostanzialistica delle differenze. Insomma, la Costituzione è il patto di amicizia e di fraternità di tutto il popolo italiano. Di tutto il popolo italiano. Così fu pensata e così fu redatta dall’Assemblea costituente. Nella cui aula sedevano illustri cittadini di Cosenza che qui stasera è doveroso ricordare: Fausto Gullo, Pietro Mancini, Benedetto Carratelli, Adolfo Quintieri e Quinto Quintieri. E illustri cittadini della provincia di Cosenza; Gennaro Cassiani, Alessandro Turco e Costantino Mortati, quest’ultimo, l’illustre costituzionalista che dell’Assemblea costituente è stato, addirittura, il Vice Presidente. Costoro hanno saputo posporre le faziosità della pur legittima lotta politica ai preminenti valori fondanti del patto costituzionale. Così è stato. Così deve continuare a essere. Perché in quei valori c’è l’unità sostanziale del nostro Paese. Della quale la Corte costituzionale è l’organo di garanzia. Perché garantisce il profilo di riconoscibilità dell’identità nazionale. Il profilo di identità, dentro il quale, tutti, indistintamente tutti, possano riconoscersi. Possano democraticamente riconoscersi. Consegnando alla giurisdizione costituzionale il ruolo e la funzione di arbitro e moderatore dei conflitti sociali. Di custode della pacifica convivenza. A presidio della democrazia. Ben sapendo che la democrazia non si esaurisce solo nelle regole. Non è esaustivo il clichè della democrazia esclusivamente formale, cioè della democrazia come insieme di regole procedurali. Occorre che le forme della democrazia operino in una sostanza democratica. In una generale concezione della vita. Della vita del Paese. Senza sostanza la democrazia si trasfigura in un guscio vuoto, assumendo le sembianze della maschera dell’oligarchia. Insomma, il cammino della democrazia non è un cammino facile. Ecco perché c’è la necessità – evocando Norberto Bobbio – di dover essere democratici “sempre in allarme”. Per difendere la Costituzione. Perché la Costituzione è la nostra Patria. E per ribadire l’incrollabile imperativo categorico dell’Unità nazionale. Ed è a questo imperativo, più che mai oggi cogente, che noi leghiamo l’accoglienza che oggi tributiamo, nella fascinosa cornice di questo teatro, e con l’onore dovuto, al sig. Presidente della Corte Costituzionale, il chiarissimo prof. Ugo De Siervo. Sig. Presidente, la sua visita è – e resterà – motivo di lustro e vanto per la storia della Città di Cosenza. Nei cui annali, oggi 1 marzo 2011, resterà incisa la firma del Presidente dei giudici delle leggi. Perché la Consulta è il giudice imparziale delle leggi italiane. E, allora, signor Presidente De Siervo, accolga i sensi più autentici della nostra ammirata gratitudine e sia benvenuto nella Città di Cosenza. Viva l’Italia Unita, viva la Costituzione Repubblicana”

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