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      Attentati del 94 a Reggio Calabria dove morirono CC, arrestati 2 boss

       

       

      Attentati del 94 a Reggio dove morirono CC, arrestati 2 boss

      26 lug 17 Un'operazione della Polizia di Stato, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, è stata portata a termine per l'arresto dei boss Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano, elementi di vertice, rispettivamente, della 'ndrangheta e di Cosa nostra, nel quadro di un'unica strategia mafiosa di attacco allo Stato avvenuta negli anni '93 e '94. Graviano, fedelissimo di Totò Riina, è il capo mandamento del rione Brancaccio di Palermo mentre Filippone è legato alla potente cosca di 'ndrangheta dei Piromalli di Gioia Tauro. I due sono ritenuti tra i mandanti dei tre attentati compiuti contro i Carabinieri di Reggio, in cui due militari morirono e altri due rimasero feriti. All'operazione partecipano anche i Carabinieri. Nel primo attentato, il 18 gennaio 1994, morirono gli appuntati Antonino Fava e Giuseppe Garofalo; nel secondo, l'1 febbraio 1994, furono feriti l'appuntato Bartolomeo Musicò ed il brigadiere Salvatore Serra; il 1 dicembre 1994 rimasero miracolosamente illesi il carabiniere Vincenzo Pasqua e l'appuntato Silvio Ricciardo. Nell'ambito dell'operazione sono in corso di esecuzione anche numerose perquisizioni in diverse regioni d'Italia. Le operazioni sono eseguite dalla squadra mobile di Reggio Calabria, dal Servizio centrale antiterrorismo e dal Servizio centrale operativo della Polizia di Stato e partecipano anche i Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria.

      I boss. Boss GravianoGiuseppe Graviano (foto a destra), capo del mandamento mafioso di Brancaccio, coordinatore delle cosiddette "stragi continentali" eseguite da Cosa Nostra, è attualmente detenuto in regime di carcere duro. Rocco Santo Filippone (foto a sinistra), di 77 anni, di Melicucco, era a capo del mandamento tirrenico della 'Ndrangheta all'epoca degli attentati ai carabinieri. A quest'ultimo, la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria contesta anche il reato di associazione mafiosa per essere ritenuto, anche attualmente, l'elemento di vertice della cosca Filippone, direttamente collegata alla più articolata e potente cosca Piromalli di Gioia Tauro. Boss FilipponeA Filippone, secondo l'accusa, sono demandati compiti di particolare rilievo come quello di curare le relazioni e incontrare i capi delle altre famiglie di 'Ndrangheta al fine di dare esecuzione alle decisioni di maggior rilevanza criminale deliberate dalla componente riservata dell'organizzazione mafiosa calabrese. Tra queste anche quelle di aderire alla strategia stragista di attacco alle istituzioni dello Stato, attuata in Calabria, negli anni '93 e '94, in sinergia con Cosa Nostra attraverso il compimento degli omicidi e tentati omicidi dei carabinieri, materialmente eseguiti da Giuseppe Calabrò e Consolato Villani.

      Autori confessano ma nascondo movente. Hanno confessato di essere stati gli autori degli attentati ai carabinieri di Reggio Calabria, ma non hanno mai indicato quello che, per inquirenti ed investigatori reggini, è stato il vero movente, ovvero un attacco stragista allo Stato coordinato con Cosa Nostra. Giuseppe Calabrò e Consolato Villani - quest'ultimo minorenne all'epoca dei fatti - dopo l'arresto sono divenuti collaboratori di giustizia. Calabrò, tuttavia, ha sostenuto che l'agguato sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria del 18 gennaio 1994, in cui morirono gli appuntati Antonino Fava e Giuseppe Garofalo, fu una reazione per timore che potessero fermarli mentre, a bordo di un'auto, trasportavano armi. Recentemente, il 27 maggio 2016, Villani, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia a Palermo ha riferito che aveva chiesto il perché degli agguati ai carabinieri a Calabrò e che questo gli aveva riposto che "stavamo facendo come la banda della Uno bianca: attaccavamo lo Stato". Villani ha anche riferito di essere stato lui, su disposizione di Calabrò, a fare una telefonata in cui si rivendicava l'attentato costato la vita a Fava e Garofalo in cui disse "questo è solo l'inizio".

      Pentito: Ex pm disse che boss amico di amici. Nell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Reggio Calabria nell'inchiesta "'ndrangheta stragista" si fa anche il nome del magistrato di Cassazione in pensione Giuseppe Tuccio, attualmente imputato nel processo "Ghota" insieme agli avvocati Giorgio De Stefano e Paolo Romeo con l'accusa di avere fatto parte di un'associazione segreta finalizzata ad influenzare le decisioni degli enti locali di Reggio Calabria. Tuccio, nel 1982 era a capo della Procura della Repubblica di Palmi, ed in quella veste aveva interrogato il pentito Pino Scriva, originario di Rosarno, accusato, tra l'altro, di fare parte del commando che assassinò a Lamezia Terme nel 1970 l'avvocato generale dello Stato Francesco Ferlaino. Scriva, nella sua deposizione, indicò Rocco Filippone - arrestato stamani - come 'ndranghetista. "Quando questi (il procuratore Tuccio) - dichiarò poi Scriva - sentì questo nome, mi guardò e mi disse che Filippone 'è amico di un mio amico di Reggio Calabria'. Capii al volo - disse Scriva - che Rocco Filippone poteva dormire sonni tranquilli ed il suo nome non fu neanche scritto nel verbale redatto dal dottore Tuccio a conclusione dell'interrogatorio che io resi al predetto negli anni 1983/84 presso la caserma dei carabinieri di Tropea".

      'ndrangheta stragista. La 'ndrangheta fu protagonista, al pari della mafia, nell'attacco allo Stato portato tra il 1993 ed il 1994 in quella che fu definita la stagione delle "stragi continentali" con gli attentati di Firenze, Milano e Roma. E' quanto emerso dall'indagine della Polizia di Stato che ha portato all'arresto di boss calabresi e siciliani per gli attentati ai carabinieri a Reggio Calabria. L'operazione, non a caso, è stata denominata ''Ndrangheta stragista' dagli inquirenti. La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha ricostruito - attraverso l'apporto di nuovi e fondamentali elementi raccordati e collegati fra loro - le causali del duplice omicidio del 18 gennaio 1994 e dei due tentati omicidi dei Carabinieri dell'1 dicembre 1993 e dell'1 febbraio 1994. Gli attentati, riferiscono gli investigatori, si inquadrano nel contesto della strategia stragista che ha insanguinato il Paese nei primi anni '90 e in particolare nella stagione definita delle "stragi continentali". Protagonista di quella stagione, secondo quanto emerso dalle indagini, non fu solo Cosa Nostra (che tuttavia ebbe il ruolo operativo fondamentale nei termini già ampiamente descritti dalle sentenze di altre autorità giudiziarie) ma anche la 'ndrangheta. Gli attentati contro i carabinieri, secondo inquirenti ed investigatori reggini, non vanno letti ciascuno in maniera singola ed isolata, ma vanno inseriti in un contesto di più ampio respiro e di carattere nazionale nell'ambito di un progetto criminale, la cui ideazione e realizzazione è maturata non all'interno delle cosche di 'ndrangheta, ma si è sviluppata attraverso la sinergia, la collaborazione e l'intesa di organizzazioni criminali, che avevano come obiettivo l'attuazione di un piano di destabilizzazione del Paese anche con modalità terroristiche.

      Cade tesi nadrangheta estranea a stragi. "Cade in maniera netta l'assunto secondo cui la 'ndrangheta, o cosche di primo piano di essa, sia stata totalmente estranea alla svolta 'stragista' impressa da Cosa nostra negli anni '90. Molti aspetti di queste torbide vicende saranno chiariti". É quanto si apprende in ambienti investigativi che hanno coordinato l'inchiesta che ha portato all'arresto di Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano. Le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza hanno avuto l'effetto di un colpo di maglio su oltre venti anni di storia criminale da cui la 'ndrangheta emerge come "alleato" affidabile di Cosa nostra "nell'attacco coordinato allo Stato ed alle sue istituzioni più rappresentative, come l'Arma dei Carabinieri". Gli inquirenti parlano senza mezzi termini di "progetto di disarticolazione della democrazia e delle istituzioni", in un quadro politico, come quello degli anni '90, caratterizzato dall'instabilità istituzionale e dalla chiusura della Prima Repubblica. "Sfuma così il tentativo - dicono gli inquirenti - di depotenziare le responsabilità della 'ndrangheta, per come raccontato finora, a seguito del rifiuto del boss Giuseppe De Stefano agli emissari di Cosa nostra negli anni '90 durante un incontro nella zona di Nicotera, che avrebbe sancito la contrarietà della 'ndrangheta alle stragi. E invece 'l'accorduni' prese corpo proprio con gli autori dell'assassinio di don Pino Puglisi, ucciso dai Graviano a Brancaccio perché 'disturbava' taluni equilibri e complicità in quel quartiere di Palermo". Nel mosaico ricostruito dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria appaiono anche molti spunti di indagine chiuse frettolosamente negli anni '70 e negli anni '80, omicidi e intimidazioni contro personaggi pubblici che alla luce di quanto sta emergendo troverebbero una diversa valutazione, un filo di interessi economici e di potere tra parti deviate di istituzioni, estremismo di destra e, appunto, la 'ndrangheta.

      Perquisita abitazione Contrada. La procura di Reggio Calabria ha disposto una perquisizione in casa di Bruno Contrada, ex n. 2 del Sisde condannato per concorso in associazione mafiosa per cui, nelle scorse settimane, la Cassazione aveva revocato la condanna. La perquisizione rientra nell'inchiesta calabrese sugli attentati ai carabinieri. "Ci aspettavamo ed era ampiamente prevedibile - ha detto il legale di Contrada, l'avv. Stefano Giordano - una reazione da parte di chi ha perso e non si rassegna a questa inesorabile sconfitta". "Contrada è sereno - ha aggiunto il legale - e spera di non essere più disturbato nel sonno". Durante la perquisizione non sarebbe stato sequestrato nulla.

      Lombardo: Riina fece usare falange armata. "In numerose azioni, tra cui il duplice omicidio degli appuntati Fava e Garofalo e l'assassinio dell'educatore carcerario Umberto Mormile, viene usata dagli assassini la rivendicazione 'Falange armata', la stessa che viene usata anche per gli attentati a Roma ed a Firenze. Fu proprio Riina, come ci è stato riferito da Leonardo Messina e da altri importantissimi collaboratori, per il loro ruolo in cosa nostra, collaboratori di giustizia siciliani, che nell'estate del 1991 ad Enna, dove aveva riunito i vertici di cosa nostra siciliana, spinse ulteriormente l'organizzazione criminale a 'rompere le corna allo Stato' utilizzando la sigla 'Falange armata'". A dirlo il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. Una sigla, quella di "Falange armata" che, secondo gli investigatori, "è da farsi risalire a suggeritori da individuarsi in termini di elevatissima gravità indiziaria, in appartenenti ai servizi d'informazione dell'epoca, nei cui confronti, comunque, le indagini proseguiranno". "É di questo periodo, anche se numerosi riscontri datano tempi precedenti - ha sostenuto poi Lombardo - che si infittiscono i rapporti ed aumentano le pressioni di cosa nostra stragista sui vertici delle cosche più rappresentative della 'ndrangheta calabrese ai quali viene chiesto, in alcune riunione svoltesi a Nicotera (Vibo Valentia), Lamezia Terme e Milano, l'esplicita adesione al programma autonomista e stragista cui il capo corleonese voleva dare corso. A questa richiesta aderirono i De Stefano, i Libri, i Tegano di Reggio Calabria, i Coco Trovato e i Papalia di Platì creando un asse operativo con quello che appare sempre di più un grumo di interessi politici ed economici attorno a cui ruotano servizi segreti deviati, massoni vicini a Gelli e organizzazioni criminali".
      La strategia stragista portata avanti dalla criminalità organizzata agli inizi degli anni '90 "si arresta o si depotenzia non appena i corleonesi, la 'ndrangheta ed altre organizzazioni criminali come la camorra e la Sacra Corona Unita trovano nel nuovo partito di Forza Italia la struttura più conveniente con cui relazionarsi". A dirlo è stato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, incontrando i giornalisti per illustrare i particolari dell'operazione "'ndrangheta stragista"."Che la 'ndrangheta non sia coinvolta nelle logica delle stragi voluta da Toto Riina - ha detto Lombardo - è solo falsa politica. Numerose dichiarazioni che abbiamo riscontrato di collaboratori calabresi e siciliani, che erano 'disperse' in decine di inchieste separate, ci hanno permesso di ricostruire un mosaico che dà dignità a questa inchiesta e spiega i motivi che hanno portato all'attacco all'Arma dei carabinieri e ad altri rappresentanti dello Stato.

      Roberti: Puntavano a nuova classe politica. "Un disegno terroristico e mafioso servente rispetto ad una finalità più alta, che prevedeva la sostituzione di una vecchia classe politica con una nuova, diretta espressione degli interessi mafiosi". Così il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti ha commentato, incontrando i giornalisti, l'operazione "'Ndrangheta stragista". "Dopo il tramonto della Prima Repubblica e la lunga scia di sangue che ne ha segnato il trapasso - ha aggiunto Roberti - 'ndrangheta e Cosa nostra volevano mantenere il controllo assoluto sulla classe politica, proiettandosi su quella emergente nella nuova fase storica che si andava delineando. In questo quadro rientrava anche la decisone delle mafie di fare un attentato dinamitardo con un'autobomba nella terza decade del mese di gennaio del 1994 allo stadio Olimpico contro i carabinieri che avrebbe provocato, secondo chi lo aveva organizzato, almeno cento morti tra gli uomini dell'Arma, con effetti destabilizzanti per la democrazia".
      "L'inchiesta di oggi ha avuto la spinta iniziale con l'arrivo alla Dna di Piero Grasso, presidente del Senato, convinto della necessità di diradare le troppe nebbie che gravavano sulla morte di Falcone e Borsellino e sulla stagione delle stragi". Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. "L'operazione di oggi - ha aggiunto - conferma il carattere mafioso e terroristico dell'azione condotta dalla mafia e dalla 'ndrangheta contro i carabinieri, una sorta di 'terrorismo conservativo' finalizzato a bloccare il sistema e certuni equilibri. Un'azione stragista condivisa dalla 'ndrangheta che ha rovesciato vicende drammatiche sulla vita delle nostre istituzioni, recidendo vite oneste e fedeli allo Stato e alla democrazia, vittime alle quali oggi viene restituita giustizia e dignità"

      de Raho Ricomposto in unico mosaico strategia stragista mafie' "Con questa operazione abbiamo dato l'esatta dimensione di cosa sia oggi la 'ndrangheta". Lo ha detto il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho incontrando i giornalisti per illustrare i particolari dell'operazione "'ndrangheta stragista" insieme al procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, all'aggiunto Giuseppe Lombardo - che ha coordinato le indagini insieme al collega della procura nazionale Francesco Curcio, al pm della Dda reggina Antonio De Bernardo ed allo stesso de Raho - ed agli investigatori della Polizia di Stato che hanno condotto l'inchiesta. "Grazie all'apporto della Procura nazionale antimafia, struttura fortemente voluta da Giovanni Falcone - ha aggiunto de Raho - siamo riusciti a ricomporre dentro un unico mosaico le strategie di Cosa nostra, 'ndrangheta, con l'apporto di camorra e sacra corona unita, nel portare avanti il programma stragista voluto dal capo corleonese Riina e che trovò ampia convergenza nelle cosche Piromalli, De Stefano, Libri, Tegano e Papalia. Il lavoro certosino di ricostruzione di decine di deposizioni di collaboratori di giustizia, come Leonardo Messina, Giuseppe Spatuzza, Gioacchino Pennino, Antonino Fiume, Nino Lo Giudice e Consolato Villani, solo per ricordarne alcuni, hanno trovato conferma nell'adesione di una parte consistente della 'ndrangheta a perseguire l'obiettivo di attacco allo Stato, con l'uccisione dei carabinieri Fava e Garofalo il 18 gennaio del 1994, i tentati omicidi di altri due uomini dell'Arma, Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra il 1 febbraio successivo alla periferia sud di Reggio Calabria, sui cui autori, Giuseppe Calabrò, nipote di Rocco Filippone, e Consolato Villani, la giustizia ha fatto il suo corso, ma ancora mancano i mandanti, i nomi degli strateghi che decisero quei crimini. I carabinieri erano il simbolo di uno Stato da abbattere, scelte fatte non a caso. Abbiamo dato inoltre la dovuta importanza al ruolo di Rocco Santo Filippone, capobastone di Melicucco, paese della Piana di Gioia Tauro, nella cui abitazione furono fatte numerose riunioni di 'ndrangheta sollecitate dai Piromalli, riuscito finora a scomparire dal radar della giustizia per le sue gravi responsabilità. I Piromalli, infatti, gli avevano affidato il ruolo di loro rappresentante nelle plurime riunioni con Cosa nostra che egli stesso convocava per approntare le azioni criminali". L'inchiesta, inoltre, conferma il ruolo di primo piano negli equilibri della 'ndrangheta dei fratelli Rocco e Francesco Musolino, 'boscaioli' aspromontani, che negli anni '80 "istruivano" il pentito siciliano Gioacchino Pendino su come costruire una 'rete' di interessi fatta da piduisti, ndranghetisti e settori della pubblica amministrazione per estendere l'influenza criminale sulle decisioni della politica e delle istituzioni. "Rocco Musolino - ha detto Lombardo - è morto da incensurato nella sua abitazione a novant'anni. Il suo nome è legato all'omicidio, avvenuto per motivi ancora da chiarire interamente nel novembre del 1977 a Gambarie d'Aspromonte del boss Giorgio De Stefano, fratello maggiore di Paolo, Giovanni e Orazio De Stefano". Giorgio De Stefano, cugino e omonimo del penalista coinvolto attualmente nel processo "Ghota", era ormai un capo di assoluto carisma criminale nazionale. Nella riunione degli anni '70 al ristorante il "Fungo" a Roma, partecipò insieme ai Piromalli, ai Papalia e ad alcuni personaggi legati all'estremismo di matrice neofascista di Roma per discutere le strategie criminali ed i rapporti con i servizi deviati e la criminalità economica. Nella sua abitazione del quartiere Archi, nella periferia nord di Reggio Calabria, fu trovato un fucile mitragliatore Ingram di fabbricazione inglese, modello identico a quello usato da Pierluigi Concutelli per assassinare il giudice Vittorio Occorsio che indagava sui collegamenti tra mondo criminale, neofascismo e pezzi deviati delle istituzioni.

      Curcio: Simbolo Stato da abbattere. "I carabinieri erano ormai l'obiettivo della 'Falange Armata' perché individuati come un simbolo dello Stato da abbattere". Lo ha detto il sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Curcio. "Per avvalorare un clima di maggior terrore - ha continuato - i poteri criminali avevano deciso di usare questa sigla, rivendicando il delitto dell'educatore carcerario Umberto Mormile, avvenuto a Lodi l'11 aprile del 1990". Mormile, da fedele servitore dello Stato, denunciò i contatti non registrati nelle carceri, che fruttarono premi e favori, tra uomini della 'ndrangheta e non meglio precisati personaggi legati ai servizi deviati. Incontri testimoniati dal pentito Antonino Cuzzola, mai interamente verificati in tutti i loro risvolti.

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