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    Caso Scajola: Domani la Rizzo dal Gip. Il Riesame tra un mese per aggravante mafiosa

    La Rizzo all'arrivo nel carcere di Arghillà

     

    Caso Scajola: Domani la Rizzo dal Gip. Il Riesame tra un mese per aggravante mafiosa

    22 mag 14 Dopo averlo annunciato tramite i media quando era ancora libera, Chiara Rizzo ha ora la possibilità di raccontare la sua verità ai magistrati che l'hanno fatta arrestare con l'accusa di avere favorito la latitanza del marito Amedeo Matacena - condannato a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa - e di averne schermato le società per sottrarle ad eventuali confische. L'appuntamento è alle 11.30 di domattina nel carcere reggino di Arghillà, dove la donna si trova da martedì sera, per l'interrogatorio di garanzia davanti al gip Olga Tarzia. Un appuntamento che giunge all'indomani della fissazione dell'udienza in cui il Tribunale del riesame dovrà decidere sull'appello presentato dalla Dda per vedere contestata l'aggravante mafiosa alla stessa Rizzo, a Claudio Scajola e alle altre persone arrestate. Udienza che sarà celebrata tra un mese, il 19 giugno, e che potrebbe cambiare non poco la posizione degli indagati. Nel frattempo Chiara Rizzo dovrà comunque difendersi dalle accuse che le sono state mosse dai pm Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio. Sempre che non decida di avvalersi della facoltà di non rispondere, in attesa di essere sentita dai pm. Decisione che sarà presa solo dopo che il gip avrà valutato le eccezioni che i legali della donna, gli avvocati Bonaventura Candido e Carlo Biondi, presenteranno prima dell'inizio dell'interrogatorio sul prolungamento del divieto di colloquio con la loro assistita. Se deciderà di rispondere, sono tante le domande che i pm hanno in serbo per Chiara Rizzo, a cominciare dai rapporti con Scajola, definito nell'ordinanza di custodia cautelare come completamente "asservito" alle necessità della donna. Ma perché lo era? L'ex ministro dell'Interno non era legato solo da vincoli di amicizia a Matacena ed alla moglie, ma, secondo l'ipotesi dell'accusa da cui nasce la richiesta di contestare l'aggravante della mafiosità, facevano 0000parte, insieme agli altri arrestati, "di un'associazione segreta collegata alla 'ndrangheta" che ha fornito un "qualificato contributo" al sistema delle cosche, diventando "terminale di un complesso sistema criminale". Un sistema finalizzato, tra l'altro, ad ottenere la candidatura di Scajola al Parlamento europeo, vista l'impossibilità di Matacena a farlo. Scajola, dunque, per i pm diventa "l'interlocutore destinato, in caso di elezione, ad operare" nella gestione e destinazione dei "finanziamenti", dal momento che la 'ndrangheta "ha necessità di disporre di parlamentari europei per canalizzare gli enormi flussi di denaro che derivano dai contributi gestiti in sede comunitaria". Tutti interrogativi che Chiara Rizzo potrebbe adesso chiarire.

    Alfano: Non abbiamo saputo proteggere Biagi. "Non abbiamo saputo proteggere Marco Biagi'". Il ministro dell'Interno Angelino Alfano lo dice senza troppi giri di parole: le istituzioni non furono in grado di garantire la sicurezza del giuslavorista ucciso il 19 marzo del 2002 da un commando delle nuove Brigate Rosse. Perché "noi abbiamo il dovere non solo della memoria - ha detto Alfano - ma anche della verità". Una verità che ora i magistrati di Bologna stanno cercando di scoprire, con una nuova inchiesta per omicidio per omissione - per ora contro ignoti - sulla revoca della scorta al docente. Un tema, quello delle protezioni, che per Alfano "è sempre difficile, se sono troppe ci si indigna, se sono troppo poche, si mettono a rischio le persone. Diceva Giovanni Falcone che la mafia uccide gli uomini che le istituzioni non sanno proteggere e noi non abbiamo saputo proteggere Marco Biagi. Questo è il dato reale". E se preferisce non pronunciarsi il presidente del Consiglio, Matteo Renzi ("c'è un'indagine della magistratura e quindi ne sto fuori"), per uno dei protagonisti di quella stagione, l'ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, "le Istituzioni certamente sottovalutarono un pericolo che fu autorevolmente segnalato dai servizi segreti con una rigorosa analisi che muoveva dalla consapevolezza dell'esistenza di un gruppo di fuoco, quello che uccise D'Antona, non ancora individuato e che conduceva alla possibilità di un'iniziativa terroristica intorno al ministero del Lavoro". "La pubblicazione del rapporto tra giovedì e venerdì precedenti l'attentato allarmò gli amici di Marco" conclude l'ex ministro. L'inchiesta intanto prosegue nel più stretto riserbo. In mano ai titolari del fascicolo, il procuratore capo Roberto Alfonso e il sostituto Antonello Gustapane, ci sarebbero due lettere 'vistate' dall'allora ministro dell'Interno, Claudio Scajola. E' su di lui che ci concentrano le attenzioni degli inquirenti. Si tratta delle missive scritte a mano da Luciano Zocchi, segretario personale dell'ex ministro, dopo le telefonate ricevute pochi giorni prima dell'omicidio da Enrica Giorgetti, moglie di Sacconi, e da Stefano Parisi, allora direttore generale di Confindustria, durante le quali i due segnalarono i rischi per il docente. Appunti che - ha raccontato Zocchi - Scajola avrebbe letto: "Sì, ho visto l'appunto su Biagi", gli avrebbe detto il 15 marzo 2002, quattro giorni prima dell'agguato in via Valdonica. Poi di questo il ministro non volle più parlare: "Ho capito che era a disagio". Zocchi e la moglie dell'ex ministro Sacconi sono già stati sentiti dai magistrati bolognesi. E tra le persone ascoltate ci sarebbero altri due testimoni, chiamati in causa dallo stesso Zocchi: l'attuale prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, e l'ex capo di Gabinetto del Viminale, Giuseppe Procaccini. L'ex segretario di Scajola ha raccontato che dopo aver ricevuto le telefonate e scritto gli appunti al ministro andò prima da Procaccini e poi da Pecoraro: "A entrambi feci vedere le fotocopie". Mai parlato invece con Roberto Maroni, ex ministro del Welfare, né visto suoi messaggi. "Ma questo non vuol dire nulla, magari sono passati per altri canali". Diverse, infatti, sono le versioni sulla missiva di Maroni. Non è confermata la notizia riportata da alcuni giornali che i magistrati bolognesi siano in possesso della lettera che l'attuale presidente della Lombardia avrebbe inviato a Scajola, in cui parlava di un pericolo per il professore. E Zocchi potrebbe essere convocato nuovamente dai magistrati romani, i primi a raccogliere il suo racconto sulla vicenda Biagi quasi un anno fa. Il pm Sergio Colaiocco, titolare degli accertamenti sui faldoni trovati in casa Scajola dagli inquirenti di Imperia in una perquisizione di un anno fa, starebbe valutando se convocare l'ex capo della segreteria per approfondire alcuni aspetti della vicenda. Il tutto in attesa di ricevere comunicazioni sulla classificazione dei documenti portati via dal Viminale dall'ex ministro.

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